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Commissario Ue e nomine Rai: la due partite di Meloni legate dal report sullo stato di diritto

La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni
La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni Diritti d'autore Domenico Stinellis/Copyright 2024 The AP. All rights reserved
Diritti d'autore Domenico Stinellis/Copyright 2024 The AP. All rights reserved
Di Michela Morsa
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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Entro il 30 agosto la presidente del Consiglio deve presentare alla Commissione europea i suoi candidati all'esecutivo, mentre quanto prima deve accordarsi con la maggioranza per eleggere il nuovo Cda della rete pubblica: la polemica sul report sullo stato di diritto in Italia ha complicato tutto

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Non sarà un agosto di ferie e relax per la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Entro il 30 agosto la premier italiana deve riferire alla Commissione europea i nomi scelti come candidati all'esecutivo europeo: un appuntamento fondamentale per Meloni. Da mesi punta a un incarico di peso per l'Italia, preferibilmente un portafoglio economico, ma la partita non è scontata da quando a Bruxelles il peso della premier e del gruppo dei Conservatori e riformisti europei si è ridimensionato.

Ancora prima e quanto prima, in teoria entro il 9 agosto, quando si chiudono i lavori parlamentari per le ferie estive, la premier deve nominare i nuovi vertici Rai. Un dossier quanto mai urgente, dato che il 24 luglio la presidente della rete pubblica italiana, Marinella Soldi, ha annunciato le sue dimissioni per volare a Londra alla volta della Bbc.

Due partite all'apparenza lontane, ma più intrecciate di quanto sembri. In primis dalla pubblicazione, la scorsa settimana, del report della Commissione europea sullo stato di diritto, che ha messo sotto la lente d'ingrandimento la gestione della Rai da parte della politica italiana. E in seconda battuta dal delicato rapporto con gli alleati della maggioranza di governo, unita in Italia ma schierata in tre diversi gruppi in Europa.

La corsa (accidentata) al portafoglio economico in Commissione Ue

Sebbene l'Italia non abbia ancora presentato formalmente le sue candidature a Bruxelles, il nome più quotato è quello dell'attuale ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr Raffaele Fitto, ex vicepresidente del gruppo Conservatori e riformisti europei all'Europarlamento.

Per lui - o chi per lui - Meloni vorrebbe il portafoglio della Coesione, il commissario che si occuperà della gestione di un terzo del bilancio dell'Unione, della supervisione del Recovery fund e della gestione del piano per ridurre gli oneri amministrativi.

Ma a prescindere dal candidato, l'ambizione di Meloni potrebbe infrangersi sulle recenti frizioni con Bruxelles e, in particolare, con la rieletta presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen.

La premier, infatti, ha contestato prima con una lettera e poi in conferenza stampa da Pechino le sei raccomandazioni all'Italia contenute nella relazione sullo sviluppo dello stato di diritto nei Paesi membri della Commissione.

"Cara Ursula...": la lettera di Meloni sull'ingerenza politica nella Rai

A infastidire Meloni, tanto da spedire una lettera indirizzata personalmente a von der Leyen dalla Cina, dov'è stata in visita ufficiale dal 28 al 31 luglio, è stata la sezione riservata alla libertà di stampa e d'espressione in Italia, in cui Bruxelles si dice preoccupata dai casi di intimidazione ai danni dei giornalisti da parte dei politici, dalla mancanza di tutela del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, dal ritardo nella riforma della legge sulla diffamazione, così come dalle ingerenze da parte della politica nella Rai.

Nell'articolata lettera alla "cara Ursula", la premier ha sottolineato come "le raccomandazioni nei confronti dell'Italia non si discostano particolarmente da quelle degli anni precedenti, tuttavia per la prima volta il contenuto di questo documento è stato distorto a uso politico da alcuni nel tentativo di attaccare il governo italiano", leggi l'opposizione e le testate giornalistiche più critiche nei confronti dell'esecutivo di destra.

Poi si è soffermata sui tre punti secondo lei più critici, tutti riguardanti la Rai e l'ingerenza della classe politica nella gestione e nella linea editoriale della rete pubblica, negando ogni faziosità da parte del suo governo.

La Commissione europea ha risposto con stupore, ma senza esporsi. "Abbiamo ricevuto la lettera di Meloni e la stiamo valutando", ha detto la portavoce Anitta Hipper il 30 luglio, sottolineando che il report è il "risultato" di consultazioni con gli stessi Stati membri e quindi i singoli governi nazionali. Meloni, tornando sulla questione nel primo punto stampa da Pechino nella stessa giornata, ci ha tenuto a specificare che la lettera non era altro che una "riflessione comune" e che i rapporti con la Commissione europea non stanno peggiorando.

Ascesa e declino di Meloni a Bruxelles

Sarà, ma di certo l'episodio non arriva in un momento roseo. In meno di due mesi la presidente del Consiglio ha visto ridursi l'influenza su Bruxelles appena guadagnata ed è indubbio che abbia dovuto incassare qualche colpo.

A ridosso delle elezioni europee Meloni era corteggiata sia dall'estrema destra che da von der Leyen - che si era persino detta disponibile ad accogliere Fratelli d'Italia nel Ppe - ed era ormai considerata la kingmaker del post-voto. Colei che, grazie al successo nelle urne degli ultraconservatori, avrebbe potuto spostare a destra l'Unione, e pretendere per gli esponenti del suo gruppo qualche alto incarico.

Ma poi l'estrema destra non ha sfondato, i gruppi tradizionali dell'Europarlamento hanno ottenuto di nuovo la maggioranza potendo decidere le nuove nomine e Meloni si è ritrovata con un pugno di mosche in mano: ha protestato, ha tentato senza successo di influenzare il processo decisionale, trovandosi poi costretta dalle circostanze a opporsi alla rielezione di von der Leyen, portando per la prima volta l'Italia fuori dalla maggioranza europea.

A sentire la premier tutto ciò non avrà alcuna ripercussione sulle nomine all'esecutivo europeo: "Sto parlando con von der Leyen", ha assicurato Meloni dalla Cina. Ma anche secondo il Financial Times, gli ultimi avvenimenti hanno evidenziato "segni di cedimento" nella collaborazione tra Roma e Bruxelles, e proprio la scelta del commissario sarà un "test chiave" della reputazione di Meloni nell'Unione europea.

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Le grane per Meloni non finiscono qui. A complicare il gioco politico a Bruxelles - e non solo - c'è il rapporto con gli alleati di governo, con Salvini che cerca di metterla all'angolo per sottrarle voti a destra. È anche per queste tensioni intestine alla maggioranza italiana che Meloni non ha potuto sostenere la sua "amica Ursula".

Ora avrà bisogno dell'approvazione di Lega e Forza Italia per proporre i candidati per la Commissione, una situazione in cui mediare è necessario e, forse, anche fare concessioni su altri dossier: le nomine Rai, appunto.

Lo stallo sulle nomine dei vertici Rai

Il dossier Rai è da settimane nel calendario della premier, ma la partita è stata accelerata dalle dimissioni di Soldi, arrivate nel momento peggiore: è dai tempi del secondo Governo Berlusconi che la Rai non era così sotto i riflettori, in Italia e in Europa. A causa del polverone sollevato dal report sullo stato di diritto di Bruxelles e delle numerose accuse di ingerenza nella linea editoriale della rete pubblica - ormai soprannominata da opposizione e critici "TeleMeloni".

Diversi esponenti del Partito democratico, del Movimento 5 stelle e di Alleanza verdi sinistra hanno criticato le esternazioni "irrituali" e "vittimistiche" della presidente del Consiglio nella lettera a von der Leyen, chiedendo a Meloni di presentarsi davanti alla Commissione di vigilanza Rai per dare spiegazioni. Ora si interrogano sull'eventuale legame della vicenda con le nomine del nuovo Cda, approfittandone per chiedere una riforma della governance Rai.

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C'è chi legge nella lettera la volontà della premier di accelerare le nomine: rivolta più all'opinione pubblica interna che a un interlocutore istituzionale europeo, servirebbe a smentire la narrazione delle opposizioni sulla faziosità della Rai e a superare lo stallo sui nomi nella maggioranza.

Gli alleati di governo si sono accordati su giovedì 12 settembre, data in cui l'aula del Senato voterà la nomina dei due componenti del cda della Rai, solo il primo di diversi passaggi per arrivare alla nuova struttura di comando della rete.

La Lega spinge per indicare un incarico di rilievo e forse sarà accontentata

Camera e Senato devono scegliere due membri del Cda a testa, altri due sono nominati dal Consiglio dei ministri su proposta del ministro dell'Economia e uno dai dipendenti Rai. Dopo il voto il nuovo Consiglio d'amministrazione si riunisce per eleggere l'amministratore delegato e indicare il presidente, che deve poi essere sottoposto al voto della Commissione parlamentare di vigilanza.

Fratelli d'Italia vorrebbe chiudere la questione prima della pausa estiva, ma molti nella maggioranza, soprattutto della Lega, vorrebbero rinviare tutto a settembre. Per questo lunedì è fissata una riunione dei capigruppo al Parlamento per fissare una data per il voto e secondo quanto scrive Ansa, interpellando fonti interne, al massimo entro lunedì dovrebbe tenersi un vertice del centrodestra per fare il punto sul dossier.

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Le difficoltà non diminuiscono se si guarda al totonomi. Il nodo resta la nomina del nuovo presidente. "La premier - scrive Ansa - proverà a chiudere il cerchio sui nomi, a partire dal presidente che deve avere l'avallo dei due terzi della Commissione di vigilanza con il necessario soccorso, quindi, di una parte dell'opposizione". Lo schema al quale starebbe lavorando FdI è quello di Simona Agnes (quota Forza Italia) alla presidenza e Giampaolo Rossi (quota FdI) come amministratore delegato, mentre alla Lega spetterebbe un consigliere.

Salvini spinge però per indicare il direttore generale e molti esponenti del Carroccio si dicono convinti che alla fine uno tra l'attuale direttore della produzione Marco Cunsolo, che sarebbe in vantaggio, e il direttore di Rai pubblicità Maurizio Fattaccio alla fine la spunterà.

Una partita tutta interna quella delle nomine Rai, ma che in mancanza di un accordo in tempi stretti tra i partiti di maggioranza potrebbe finire per pesare anche sul fronte europeo.

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