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Come si dividerà la destra radicale al Parlamento europeo?

Il primo ministro ungherese Viktor Orbán e la presidente del Consiglio italiana Giorgia meloni, due dei volti principali della destra radicale in Europa
Il primo ministro ungherese Viktor Orbán e la presidente del Consiglio italiana Giorgia meloni, due dei volti principali della destra radicale in Europa Diritti d'autore Andrew Medichini/Copyright 2024
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Di Vincenzo Genovese
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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Un supergruppo nuovo, i due gruppi attuali, tre o persino quattro gruppi: tutte le ipotesi sono ancora possibili. Intanto salta la riunione costitutiva del gruppo dei Conservatori e riformisti europei

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I partiti della destra radicale al Parlamento europeo sono alle prese, in queste settimane, con negoziati che definiranno la loro collocazione. Molte le possibilità sul tavolo.

Gli scenari a destra

L'ultima ipotesi che circola nei corridoi di Bruxelles è quella di quattro gruppi complessivi: gli attuali Conservatori e riformisti europei (83 deputati) e Identità e democrazia (58 eurodeputati), più due nuove formazioni ancora in costituzione.

Ogni gruppo ha bisogno di un minimo di 23 eurodeputati provenienti da almeno 7 Stati membri dell’Ue, una soglia difficile ma non irraggiungibile.

Ad esempio il partito tedesco Alternative für Deutschland, forte dei suoi 15 rappresentanti in Parlamento, sembra spingere per un nuovo gruppo di partiti sovranisti assieme ai polacchi di Konfederacja e altri partner minori, dagli spagnoli di Se Acabò La Fiesta (tre deputati) ai romeni di Sos (due deputati).

Delegazioni anche molto piccole consentirebbero di raggiungere la soglia dei sette Paesi necessari: i due slovacchi di Hnutie Republika, l'eurodeputato greco di Nikè e l'ungherese di Mi Hazánk.

Anche il primo ministro ungherese Viktor Orbán, che dopo vari contatti con Ecr ha riununciato a entrare nel gruppo, sembra in grado di formarne uno tutto suo, a forte trazione orientale. Oltre al suo partito, Fidesz, ne farebbero parte gli slovacchi di Smer del primo minsitro Robert Fico (espulsi nella scorsa legislatura dai Socialisti e democratici), i cechi di Ano, che hanno appena lasciato Renew Europe, e gli sloveni di Sds, che però dovrebbero prima uscire dal Partito popolare europeo.

Questi quattro partiti da soli garantirebbero il numero minimo di deputati necessari, mentre la soglia dei Paesi di provenienza potrebbe essere raggiunta grazie all'ingresso degli eurodeputati di altri partiti attualmente non affiliati a nessun gruppo politico: ce ne sono da Grecia, Cipro, Bulgaria, Lettonia, Lituania, Cechia e Slovacchia.

In ogni caso, la divisione della destra radicale in gruppi diversi non ne attutisce necessariamente l'impatto sugli equilibri del Parlamento. Tolto il tema della guerra in Ucraina e degli aiuti militari da fornire o meno al governo di Kiev, le forze di quest'area politica sono piuttosto concordi sul resto: linea dura contro l'immigrazione irregolare, opposizione ai provvedimenti del Green Deal e a qualsiasi ulteriore integrazione dell'Ue che possa ridurre i poteri degli Stati nazionali. Marceranno forse divisi, nei cinque anni della legislatura, ma saranno pronti a votare uniti.

Il futuro dei Conservatori e riformisti europei

Gli equilibri della destra radicale a Bruxelles riguardano da vicino anche il destino del gruppo dei Conservatori e riformisti europei (Ecr), che con 83 eurodeputati è diventato il terzo più numeroso dell'Eurocamera dopo aver inglobato cinque membri del partito romeno Aur.

Ma la riunione costitutiva del gruppo è stata inizialmente rinviata e poi cancellata del tutto questo mercoledì, dopo che i membri del partito polacco Diritto e Giustizia (PiS), il secondo partito più grande del gruppo, non si sono presentati in numero sufficiente, segnalando divisioni sulla direzione futura del partito.

Il gruppo dovrebbe riunirsi nuovamente il 3 luglio.

Nel frattempo, Identità e Democrazia ha dichiarato di essere aperta alla formazione di un "supergruppo" di destra che potrebbe vedere le due fazioni fondersi per esercitare una maggiore influenza politica a Bruxelles.

Il nodo politico principale riguarda la presidenza della Commissione europea, che secondo l'accordo negoziato fra le tre famiglie politiche principali del Parlamento, popolari, socialisti e liberali, sarà affidata ancora a Ursula von der Leyen.

Il partito guidato da Giorgia Meloni potrebbe sostenere la candidatura dell'attuale presidente, magari in cambio di una vicepresidenza della Commissione o comunque di un portafoglio di rilievo per il futuro commissario italiano. Quello polacco, invece, si oppone fermamente.

Più in generale, Ecr sembra alle prese con un dilemma di approccio in vista della prossima legislatura: aumentare o meno la cooperazione con il Partito popolare europeo, o al contrario mantenere le posizioni più oltranziste tipiche della destra radicale. Soprattutto se dovessero nascere altri gruppi alla sua destra, sarà più difficile per popolari, socialisti e liberali attuare un "cordone sanitario" nei confronti di Ecr.

Mentre alcune delegazioni sono chiaramente schierate per l'ipotesi della collaborazione, come Fratelli d'Italia e i Democratici svedesi, il PiS starebbe ancora discutendo la linea interna. Secondo fonti parlamentari, non è escluso che il partito polacco abbandoni il gruppo.

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