I tabù infranti dall'Unione Europea per sostenere l'Ucraina

Ursula von der Leyen e Volodymyr Zelensky si sono incontrati due volte a Kiev dall'inizio della guerra
Ursula von der Leyen e Volodymyr Zelensky si sono incontrati due volte a Kiev dall'inizio della guerra Diritti d'autore AP/Ukrainian Presidential Press Office
Di Jorge LiboreiroVincenzo Genovese
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Aiuti militari finanziati con fondi comunitari, sequestri di beni senza precedenti e una direttiva che spalanca le porte dell'Europa ai rifugiati. In un anno l'Unione ha adoperato strumenti finora inutilizzati

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L'invasione dell'Ucraina da parte della Russia il 24 febbraio 2022 ha avuto molteplici conseguenze in Europa. Tra queste, una ventata di novità nelle politiche dell'Unione Europea, che per sostenere il governo di Kiev ha infranto diversi tabù e affrontato dibattiti inconcepibili prima dell'inizio del conflitto.

Il tabù delle armi

All'inizio del 2020, la maggior parte dei Paesi europei che appartengono alla Nato impegnava nella spesa per la difesa meno del 2% del proprio prodotto interno lordo, la soglia stabilita come obiettivo dalla Nato nel 2014. La politica di difesa comune annaspava e l'idea di un esercito comune dell'Ue si discuteva più nei think tank che nelle riunioni ministeriali.

Ma lo shock dell'invasione ha cambiato le carte in tavola: tre giorni dopo l'offensiva del Cremlino, l'Unione Europa ha deciso di finanziare l'acquisto e la consegna di attrezzature militari a un Paese in guerra: per la prima volta i soldi dei cittadini europei sono stati utilizzati direttamente per acquistare armi.

Lo strumento utilizzato si chiama European Peace Facility (Epf) ed è un fondo istituito nel 2021 per finanziare le operazioni militari svolte in Paesi terzi nell'interesse dell'Ue. La sua dotazione complessiva è di circa cinque miliardi e mezzo di euro fino al 2027, ma probabilmente dovrà essere ritoccata: in dodici mesi di guerra, 3,6 miliardi sono stati versati all'Ucraina in sette diverse tranche.

Gli Stati membri dell'Unione hanno anche concordato una missione di assistenza militare per addestrare soldati ucraini sui propri territori e in futuro potrebbero persino acquistare armi in maniera congiunta, come hanno fatto per i vaccini anti-Covid19.

Complessivamente, l'assistenza militare fornita dall'Unione all'Ucraina, sia a livello collettivo che bilaterale da parte dei singoli Paesi è stimata in circa 12 miliardi di euro. Molto meno degli oltre 44 miliardi di dollari forniti dagli Stati Uniti, ma comunque la cifra più alta di sempre.

Il tabù della dipendenza dal gas russo

Un'altro tabù infranto riguarda la dipendenza degli Stati europei dai combustibili fossili russi, che il giorno dell'invasione dell'Ucraina, rappresentavano circa il 40% delle entrate del bilancio di Mosca.

L'anno precedente, l'Ue aveva speso 71 miliardi di euro per acquistare petrolio greggio russo e prodotti raffinati, mentre per il gas la dipendenza dalla Russia era stimata al 40%, con punte di oltre il 90% per alcuni Paesi dell'Est Europa. 

Da quando le bombe sono cominciate a cadere su Kiev e le altre città dell'Ucraina, l'Unione ha intrapresouna corsa contro il tempo per diversificare il proprio mix energetico. Il carbone russo è stato rapidamente bandito, il petrolio è stato gradualmente eliminato (pur con qualche eccezione) e il gas è stato progressivamente sostituito da quello norvegese o da quello liquefatto proviente via mare  da Stati Uniti, Qatar, Nigeria e Algeria. Tanto che oggi rappresenta meno del 15% delle importazioni totali.

La provenienza del gas utilizzato nell'Ue, nel 2021 e 2022

In parallelo, la Commissione europea ha elaborato piani ambiziosi per potenziare la diffusione delle energie rinnovabili e promuovere il risparmio energetico e gli Stati hanno concordato un tetto al prezzo del gas, in grado di decurtare ulteriormente le entrate del Cremlino.

Il tabù della confisca

Tra le molte sanzioni imposte dall'Ue alla Russia c'è anche il divieto totale di effettuare transazioni nell'Ue con la Banca centrale russa, mossa che congela di fatto la metà dei suoi 643 miliardi di dollari di riserve estere.

Ora l**'Ue potrebbe investire queste risorse per finanziare la ricostruzione dell'Ucraina**. Si tratta di un'azione molto complicata dal punto di vista giuridico-legale, perché equivarrebbe a una vera e propria confisca, che non ha precedenti nella storia europea: le riserve valutarie sono beni statali e godono di una protezione speciale ai sensi del diritto internazionale.

Ma la Commissione europea sembra determinata a trovare una strada. "La Russia deve pagare per la distruzione causata e per il sangue versato", ha detto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. Un'ipotesi potrebbe essere quella di investire il denaro sui mercati e destinare all'Ucraina i proventi, lasciando intaccato il capitale originario.

Nel frattempo sono allo studio varie possibilità per confiscare i beni privati ​​sequestrati in tutta Europa agli oligarchi russi, come yacht, immobili e opere d'arte.

Il tabù dell'asilo

La guerra in Ucraina ha inciso pure su uno dei temi più controversi della politica comunitaria: la politica migratoria, la cui riforma è in stallo dal settembre 2020.

Ma quando i primi profughi ucraini hanno iniziato a varcare i confini dei Paesi europei limitrofi, l'Unione si è rapidamente attivata: a pochi giorni dallo scoppio del conflitto, è stata attivata la**Direttiva 2001/55, che concede a tutti i cittadini ucraini un diritto di "protezione temporanea" nei Paesi dell'Unione**.

In pratica, a tutti gli ucraini è stato concesso un permesso di soggiorno nell'Ue valido fino a marzo 2023 (e poi prorogato di un anno), senza la necessità di fare richiesta di asilo, come invece avviene per tutti gli altri rifugiati. 

In questo modo vengono aggirate lunghe procedure burocratiche e gli ucraini possono accedere rapidamente a istruzione, assistenza sanitaria e mercato del lavoro dell'Unione. Al momento ne beneficiano quattro milioni di persone, con Polonia e Germania che ospitano circa un milione di ucraini a testa.

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Inoltre la Commissione sta provando a facilitare l'inserimento dei nuovi arrivati nei Paesi ospitanti, anche attraverso una nuova piattaforma di ricerca di lavoro online, chiamata EU Talent Pool.

Il tabù dell'allargamento

Dopo l'ingresso della Croazia nel 2013, l'Unione Europea ha smesso di allargarsi, nonostante in lista d'attesa per l'adesione ci siano diversi Paesi. 

Mentre le altre candidature procedono al rilento, quella ucraina sembra avere una marcia in più, almeno nelle prime fasi del processo: il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha firmato la richiesta di adesione il primo marzo 2022, mentre la presidente della Commissione Ursula von der Leyen apriva alla possibilità dichiarando: "Vogliamo l'Ucraina con noi".

Già a giugno la Commissione ha valutato la domanda, suggerendo di conferire a Kiev lo status di Paese candidato, cosa che poi è avvenuta formalmente alla fine del mese con l'approvazione del Consiglio europeo.

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Di solito, il tempo necessario per questo "primo passo" verso l'entrata nell'Ue è molto di più: alla Bosnia-Erzegovina, l'ultimo Paese a diventare "candidato" all'ingresso, sono serviti ad esempio sei anni e mezzo dalla presentazione della domanda.

Tutte le tappe del processo di adesione dovranno passare per l'approvazione unanime dei 27 Stati membri e molti leader nazionali hanno già fatto capire che non ci sarà nessuna "corsia preferenziale" a causa della guerra. Ma proprio il coinvolgimento dell'Ucraina in un conflitto che tocca anche l'Unione potrebbe dare slancio alle speranze di Kiev, come ha fatto capire anche il presidente Zelensky nella sua visita a Bruxelles.

I prossimi tabù da infrangere

Nonostante il risoluto processo decisionale a cui si è assistito negli ultimi 12 mesi, l'Ue ha ancora altri tabù di fronte a sé: le sanzioni sul settore nucleare della Russia,il divieto di importazione dei diamanti russi o l'esclusione dal sistema di pagamenti Swift di Gazprombank, la banca russa che gestisce i pagamenti legati alle forniture di energia. Viste le scelte senza precedenti compiute finora, nulla è escluso per il futuro.

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