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Paesi Bassi: il nuovo governo olandese vuole un opt-out dalla politica migratoria dell'Ue

I Paesi Bassi sono vincolati dalle disposizioni del Nuovo Patto sulla Migrazione e l'Asilo.
I Paesi Bassi sono vincolati dalle disposizioni del Nuovo Patto sulla Migrazione e l'Asilo. Diritti d'autore Bottaro Mauro/European Union
Diritti d'autore Bottaro Mauro/European Union
Di Jorge Liboreiro
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

Amsterdam potrebbe presto andare incontro a uno scontro totale con Bruxelles sulla questione più esplosiva dell'agenda politica: l'immigrazione. Il nuovo governo olandese, guidato da Dick Schoof, ha promesso di adottare le regole sull'immigrazione più dure di sempre

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Il nuovo governo dei Paesi Bassi si è insediato da appena un giorno ma già è al lavoro su uno dei temi cruciali tra quelli che hanno dominato la campagna elettorale nel Paese: inasprire le regole sull'immigrazione.

Dick Schoof, un indipendente di 67 anni ed ex capo dei servizi di intelligence, ha assunto la carica di primo ministro, sostenuto da una coalizione di quattro partiti: il Partito per la libertà (Pvv), di stampo nazionalista e di estrema destra; il conservatore-liberale Partito popolare per la libertà e la democrazia (Vvd), il Movimento civico contadino (Bbb), populista e favorevole agli agricoltori e l'emergente Nuovo contratto sociale (Nsc), di centrodestra.

Dato il peso dominante del Pvv nell'inattesa alleanza, il loro programma comune è fortemente incentrato sulla migrazione, un tema scottante che ha causato il crollo del precedente governo.

L'accordo di coalizione del governo olandese prevede la riduzione dei flussi migratori

L'accordo contiene una serie esaustiva di proposte per ridurre i flussi migratori che, secondo i partiti, "mettono sotto pressione" gli alloggi, la sanità, l'istruzione, le risorse finanziarie e la coesione sociale. Le iniziative comprendono procedure di ammissione più severe, l'inversione dell'onere della prova per diminuire il numero di decisioni positive, l'espulsione, "anche forzata", delle persone prive di un permesso di soggiorno valido e il rimpatrio immediato dei migranti irregolari fermati alle frontiere belga e tedesca.

Poi, su un punto cruciale, il programma recita: "Una clausola di opt-out dalla politica europea in materia di asilo e migrazione sarà presentata alla Commissione europea il prima possibile".

L'ambiziosa richiesta, che deve ancora essere presentata formalmente, ha subito attirato l'attenzione di Bruxelles, in quanto è emersa nella stessa settimana in cui gli Stati membri hanno dato l'approvazione finale al Nuovo patto sulla migrazione e l'asilo, una revisione onnicomprensiva che prevede regole collettive per gestire l'arrivo dei richiedenti asilo.

La riforma ha richiesto quasi quattro anni di negoziati e ha concluso un'impresa politica dispendiosa il cui inizio risale alla crisi migratoria del 2015-2016. La notizia che i Paesi Bassi, membri fondatori dell'Unione e con un'economia prospera, volessero ritirarsi dalle leggi passate e future è stata accolta con sgomento e profondo scetticismo. Dopo tutto, le clausole di opt-out nell'Ue sono una rarità e i casi in cui sono applicate si possono contare sulle dita di una mano.

La Danimarca ne ha due: dalla zona euro e dallo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (Slsg). Anche l'Irlanda ne ha due: dall'Slsg e dall'area Schengen, a causa del confine comune con il Regno Unito. La Polonia, invece, ne ha uno: quello della Carta dei diritti fondamentali, che riguarda solo la sua applicazione pratica.

L'opt-out tra strumento per l'interesse nazionale e norma arbitraria

L'Ue è un sistema di regole comuni che devono essere applicate uniformemente per essere efficaci e, in caso di conflitto, prevalere sulle norme nazionali. Altrimenti, il mercato unico andrebbe in frantumi e si trasformerebbe in un impossibile labirinto di norme arbitrarie.

Ecco perché le clausole di opt-out sono straordinarie: la loro esistenza sfida la logica di fondo dell'Unione e crea una lacuna permanente nel corpo legislativo condiviso. Sono intrinsecamente politiche perché rispondono a un interesse nazionale altamente sensibile - o a un'intensa lamentela - che, se non fosse affrontato, impedirebbe un obiettivo politico più ampio.

La Danimarca ha chiesto per la prima volta l'opt-out dall'eurozona, dagli affari interni e dalla politica di sicurezza e difesa comune dopo che il Trattato di Maastricht del 1992 è stato respinto dagli elettori danesi. (La clausola sulla difesa è stata abolita dopo che la Russia ha lanciato la guerra in Ucraina).

L'opt-out è stato esteso quando il Trattato di Amsterdam del 1997 ha proposto di conferire alle istituzioni dell'Ue il potere di legiferare nelle aree coperte dallo Slsg, come migrazione, giustizia, sicurezza e diritti fondamentali. Fino ad allora, lo Slsg era stato saldamente nelle mani dei governi, senza il coinvolgimento della Commissione europea.

L'Irlanda ha chiesto lo stesso trattamento ed entrambe le nazioni hanno ottenuto un protocollo che le esenta da qualsiasi decisione adottata nell'ambito dello Slsg. I protocolli furono aggiunti al Trattato di Amsterdam e sono tuttora in vigore. La clausola irlandese, tuttavia, è flessibile e consente a Dublino di scegliere di aderire o meno alle norme sulla migrazione caso per caso.

La Polonia ha poi seguito l'esempio. In vista del Trattato di Lisbona del 2007, che ha conferito alla Carta dei diritti fondamentali piena efficacia giuridica, il Paese ha chiesto di non essere sottoposto alla sua applicazione giudiziaria, temendo che il carattere liberale della Carta si scontrasse con i valori conservatori della famiglia. È stato quindi redatto un protocollo per limitarne l'applicazione in Polonia. (L'effettiva portata di tale clausola è stata contestata da allora).

Improbabile al momento un accordo di opt-out per i Paesi Bassi

Per Elise Muir, direttrice dell'Istituto di diritto europeo della Ku Leuven, "la risposta è semplice: uno Stato membro non può rinunciare alla legislazione dell'Ue dopo che è stata adottata. Lo scopo dell'adesione all'Ue è quello di impegnarsi a rispettare le sue leggi".

Le attuali clausole di non partecipazione, ha osservato Muir, sono state previste in occasione dell'adesione di nuovi Paesi o della revisione dei trattati, "ma al momento è improbabile che ciò accada e richiede l'approvazione unanime di tutti gli Stati".

In alternativa, ha aggiunto, si potrebbe proporre un opt-out mentre è in corso un progetto di legge. Tuttavia, il Nuovo Patto è ormai definito e non c'è alcuna voglia di riaprire la revisione. Mark Klassen, professore di diritto della migrazione all'Università di Leida, non è altrettanto convinto della posizione olandese e sottolinea che i Paesi Bassi sono "pienamente vincolati dall'acquis in materia di asilo, sia nella forma attuale che dopo le riforme con il patto sulla migrazione".

Il Patto, con le sue disposizioni volte ad ampliare lo screening dei nuovi richiedenti, ad accelerare le procedure di esame, a ridistribuire i richiedenti asilo e a creare un pool finanziario comune, è stato introdotto per garantire una reale solidarietà all'interno dell'Ue, della cui mancanza risentivano in particolare i Paesi del Sud. In altre parole, fare in modo che tutti si facciano carico della sfida transfrontaliera.

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Il primo ministro Dick Schoof è a capo di un gabinetto di quattro partiti
Il primo ministro Dick Schoof è a capo di un gabinetto di quattro partitiPeter Dejong/Copyright 2024 The AP. All rights reserved

"Non sarebbe congruente con la riforma se i Paesi Bassi potessero negoziare un opt-out, che è anche una delle ragioni principali per cui è impensabile che tale opt-out venga raggiunto", ha detto Klassen.

Il professore ritiene che l'esecutivo olandese sia ben consapevole delle scarse possibilità di ottenere un'approvazione unanime per un opt-out che, se concesso, probabilmente allontanerebbe i richiedenti asilo dai Paesi Bassi e li porterebbe verso i Paesi limitrofi, e sospetta che ci sia un'altra ragione dietro questa mossa audace: la campagna elettorale.

"Credo fermamente che il nostro nuovo governo sappia e capisca che non esiste una procedura per ottenere l'opt-out facendone richiesta alla Commissione", ha dichiarato Klassen. "Questa rimarrà una promessa vuota per gli elettori del partito di estrema destra della coalizione".

In una dichiarazione rilasciata a Euronews, la Commissione europea ha rifiutato di commentare i programmi politici e ha sottolineato il fatto che, durante la votazione finale del Patto il 14 maggio, i Paesi Bassi hanno votato a favore di tutti gli atti legislativi presentati.

"I Trattati non prevedono norme (sotto forma di protocollo) che regolino una clausola di opt-out per i Paesi Bassi in questo ambito (settore degli affari interni)", ha dichiarato un portavoce della Commissione. "Una volta adottato, il diritto dell'Ue è vincolante per tutti gli Stati membri interessati e, dopo la sua entrata in vigore, è applicabile secondo le disposizioni specifiche contenute in ciascun atto giuridico. Gli strumenti del Patto saranno vincolanti per i Paesi Bassi".

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