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Medio Oriente, Simon Harris: "La soluzione dei due Stati è l'unica via per la pace"

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Diritti d'autore euronews
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Di Shona Murray
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Il riconoscimento dello Stato della Palestina da parte di Irlanda, Spagna e Norvegia ha riportato in auge la soluzione dei due Stati. Ne abbiamo parlato con il premier irlandese Simon Harris in The Global Conversation

Il riconoscimento dello Stato della Palestina da parte di Irlanda, Spagna e Norvegia ha riportato in auge la soluzione dei due Stati. L'Irlanda ritiene che questa sia l'opzione migliore per dare una speranza ai Palestinesi e per offrire sicurezza e prosperità a lungo termine a Israele. Ne abbiamo parlato con il premier irlandese Simon Harris in The Global Conversation.

Perché il riconoscimento della Palestina proprio ora?

Perché dobbiamo mantenere viva la speranza e il sogno di una soluzione a due Stati in un momento in cui, purtroppo, altri stanno lavorando per minarla. L'Irlanda crede che il modo per portare pace e stabilità in Medio Oriente sia la soluzione dei due Stati. Ma è difficile realizzarla se non se ne riconosce l'esistenza. L'Irlanda avrebbe preferito che questo fosse parte di un processo di pace. Era l'obiettivo iniziale del nostro programma di governo. Non possiamo aspettare all'infinito: è passato molto tempo dagli Accordi di Oslo. Dobbiamo far sentire la nostra voce sull'importanza di una soluzione a due Stati, perché è ciò che garantisce al popolo israeliano e palestinese, e alla regione in generale, la stabilità e la pace che meritano. Abbiamo lavorato a lungo con le controparti europee. Ci siamo mossi in sintonia con la Norvegia e la Spagna. Mi aspetto che nelle prossime settimane anche altri Paesi europei riconoscano la Palestina.

A chi si riferisce quando dice che altri stanno cercando di minare questo processo?

Non credo che il governo Netanyahu sia impegnato in alcun modo nella realizzazione di una soluzione a due Stati. Abbiamo sentito molta retorica sul tema. C'è un consenso diffuso, emerso negli anni, sulla necessità della soluzione a due Stati. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a molti sforzi per spegnere questa speranza. Sono consapevole del fatto che stiamo riconoscendo la Palestina in un momento in cui si sta verificando un'inconcepibile catastrofe umanitaria a Gaza, una catastrofe di dimensioni che non riusciamo ancora a comprendere. Per questo è importante dare forza alle voci moderate, sia in Palestina che in Israele, perché c'è molta retorica in malafede su ciò che l'Irlanda e altri Paesi stanno facendo nel riconoscere la Palestina. Non si tratta di Hamas. Noi detestiamo Hamas, è un'organizzazione terroristica. Non offre nulla ai palestinesi in termini di futuro. Sono una minaccia per gli israeliani e per i palestinesi. Quello che è accaduto il 7 ottobre è stato un massacro terroristico disgustoso. Tutti gli ostaggi dovrebbero essere rilasciati senza condizioni. Ma gli irlandesi sanno meglio di molti altri cosa significa avere un'organizzazione terroristica che in molti modi dirotta la propria identità. Hamas non è la Palestina, e siamo in grado di distinguere tra i due.

Israele, però, dice che questo fa il gioco di Hamas perché arriva in risposta al 7 ottobre.

E noi non lo accettiamo. Riconosciamo pienamente lo Stato di Israele. Riconosciamo il loro diritto a vivere in pace e sicurezza. È perfettamente accettabile dirlo. Ma lo è anche dire che esiste uno Stato di Palestina e riconosciamo il loro bisogno di vivere in pace e sicurezza. Dobbiamo cercare di rompere quelli che sono stati cicli generazionali di risentimento, odio, ritorsioni, morte, miseria e paura. Il modo per farlo è un processo di pace politico che riconosca i due Stati. Vogliamo che il popolo israeliano, che non può essere definito dalle decisioni del suo governo, viva in pace e sicurezza. Ci sono molte persone in Israele e in Palestina, molti genitori in entrambi i Paesi, in entrambi gli Stati, che vogliono che i loro figli crescano in Paesi sicuri e protetti. È questo che stiamo cercando di realizzare dicendo, insieme ad altri Paesi, che c'è una via politica per avanzare in questo senso, ed è la soluzione dei due Stati.

Cosa risponde alle critiche di alcuni Paesi europei e degli Stati Uniti nei confronti della Corte Internazionale di Giustizia e della Corte Penale Internazionale per alcuni dei casi che stanno portando avanti contro Israele e Hamas?

Riconosco il diritto di ogni Paese di esprimere le proprie opinioni su qualsiasi questione. Da una prospettiva irlandese, però, credo sia molto importante rispettare l'indipendenza di queste strutture giudiziarie internazionali. Credo che siano importanti. Non voglio fare alcun tipo di commento sulle decisioni che prenderanno nei giorni, nelle settimane e nei mesi a venire.

Ma tutto ciò non mostra le profonde divisioni all'interno dell'Unione europea? E non la indebolisce sulla scena globale, dove ha avuto per molto tempo una posizione coesa sulla situazione a Gaza?

Penso che sia deplorevole. Capisco le prospettive che i diversi Paesi portano al tavolo, anche se sono in disaccordo con alcuni di essi. C'è stato un momento importante ad aprile, durante il primo Consiglio Europeo a cui ho partecipato come premier: le conclusioni adottate chiedevano un cessate il fuoco immediato, un passo avanti rispetto a frasi come "pausa umanitaria". La posizione irlandese - cessate il fuoco immediato, flusso di aiuti umanitari e inizio di un processo politico - sta rapidamente diventando l'opinione principale in Europa. Ma ci sono diverse opinioni in merito.

Crede che l'Unione europea abbia fatto abbastanza per sostenere il diritto internazionale? L'Unione non è altro che un sistema basato sulle regole. Alcuni funzionari chiedono alla Commissione di fare di più per criticare ciò che sta accadendo a Gaza, così come criticano ciò che sta accadendo in Ucraina.

Credo che si possa e si debba fare di più, e lo dico in ogni occasione possibile alle controparti europee. Mi riferisco in particolare agli accordi di associazione tra l'Unione europea e Israele, che contengono clausole sui diritti umani. Non sono state inserite per rendere il documento più lungo. Hanno un effetto reale, significativo. Non capisco perché la revisione, che chiede semplicemente di rivedere l'accordo dal punto di vista dei diritti umani, non abbia avuto luogo. È deplorevole e continuerò a chiedere che ciò avvenga. Il mio predecessore e il premier spagnolo, Pedro Sanchez, hanno firmato una lettera in tal senso. Quella lettera esprime ancora oggi la posizione irlandese.

Alcuni Stati membri dicono che, da una prospettiva storica, non si sentono a loro agio nel criticare Israele. In particolare la Germania.

La parte da cui dovremmo stare tutti è quella del diritto internazionale e dei diritti umani. È questa la prospettiva irlandese. Spesso viene travisata, accidentalmente o intenzionalmente. Non si tratta di essere filo-israeliani o filo-palestinesi. Si tratta di essere a favore del diritto internazionale, dei diritti umani, della pace. Quello che sta accadendo a Gaza è inconcepibile. Ci sarà un momento, in futuro, in cui figli e nipoti ci chiederanno: avete fatto abbastanza? Questo dovrebbe tenerci svegli la notte. Ci sono bambini a Gaza, a Rafah, che vanno a dormire la notte senza sapere se si sveglieranno. Crediamo nella pace e in un cessate il fuoco: queste sono le conclusioni del Consiglio europeo di aprile. Dobbiamo porci una domanda molto semplice: stiamo facendo tutto il possibile per creare le condizioni per un cessate il fuoco?

Chi sono i suoi partner in questo Stato palestinese? Lei ha detto che è importante essere dalla parte giusta della storia per dare vita alla soluzione dei due Stati. Quali saranno le implicazioni pratiche?

A livello legale significa che la rappresentanza della Palestina qui in Irlanda, invece di essere un ufficio di rappresentanza, può richiedere a tempo debito di diventare un'ambasciata. E la nostra rappresentanza a Ramallah potrà fare altrettanto. Ma non si tratta solo di questo. Si tratta di leadership politica e morale. Si tratta di dire ad altri Paesi dell'Unione europea che stanno valutando questa possibilità, che anche loro possono farlo. Volevo che ci muovessimo in sintonia con altri Paesi. I tre Paesi che si sono mossi questa settimana per riconoscere lo Stato della Palestina, Spagna, Norvegia e Irlanda, hanno un lungo curriculum in termini di impegno per la pace in Medio Oriente.

Ma supponiamo che in futuro, in caso di elezioni, Hamas costituisca un nuovo governo all'interno dell'Autorità Palestinese. Alcune persone sostengono Hamas...

Io sono contrario ad Hamas, è un'organizzazione terroristica. Il 7 ottobre ha commesso un'atrocità. Non lo dimentichiamo, neanche ora che ci sono dialoghi sul riconoscimento della Palestina. Quello che Hamas ha fatto al popolo di Israele è stato spregevole, brutale. La presa di ostaggi è un'ulteriore crudeltà. Quegli ostaggi dovrebbero essere rilasciati senza condizioni. Dovrebbero esserci elezioni democratiche in tutti i Paesi: l'esito di elezioni democratiche decide i governi dei popoli. Ma non c'è futuro per il popolo palestinese con Hamas. Stiamo cercando di dare potere alle voci moderate. Nel nostro Paese è successo. Credo che sia importante dire una cosa per i telespettatori non irlandesi. In Irlanda abbiamo avuto un'organizzazione terroristica che a volte ha cercato di far credere che parlasse a nome del popolo, ma non era così. La pace in Irlanda è stata raggiunta attraverso un processo di pace, che ha portato alla situazione in cui siamo oggi.

Anche gli israeliani moderati, che accettano la soluzione due Stati, potrebbero essere preoccupati se ci fosse uno Stato palestinese perché, a prescindere dalla sua buona volontà, potrebbe comunque esserci un governo guidato da Hamas, che minaccerebbe la sicurezza di Israele.

È per questo che abbiamo bisogno di un processo di pace politico. Ed è per questo che i Paesi di tutto il mondo, compresa l'Irlanda, devono essere pronti a portarlo avanti. Ma non possiamo avviarlo finché non finiranno le violenze. La catastrofe umanitaria deve terminare, gli aiuti devono fluire. Poi potrà essere avviato un processo di pace politico. La sicurezza di Israele è vitale in questo processo di pace. L'ho detto chiaramente quando abbiamo riconosciuto lo Stato della Palestina: il popolo di Israele ha il diritto di vivere in pace e sicurezza, così come il popolo palestinese. La comunità globale ha il diritto di sostenere un processo di pace che garantisca questo ad entrambi gli Stati. In Irlanda abbiamo visto i benefici del sostegno globale al processo di pace. Non ho dubbi che l'Unione europea, gli Stati Uniti e altri siano pronti a sostenerlo. Riteniamo importante la questione della sicurezza di Israele e del popolo israeliano, ma quello che sta accadendo oggi deve finire. L'idea che ciò che sta accadendo ora sia sostenibile, o che garantisca in qualche modo la sicurezza di Israele, è fuori luogo. È un vicolo cieco. Per la pace serve un processo di pace politico che riconosca due Stati. Ci sono state molte speranze disattese in passato. Ma questo scenario orribile, dall'attacco terroristico contro Israele alla catastrofe umanitaria per il popolo palestinese, deve diventare il punto di partenza verso la pace. L'unico modo per raggiungerla è attraverso un processo politico.

Il sostegno alla Palestina del Ppe, il gruppo del Parlamento europeo di cui lei fa parte, non è molto forte. Su molte questioni il Ppe si sta spostando a destra. Ursula von der Leyen ha detto che potrebbe lavorare con l'Ecr, che ha gruppi di estrema destra al suo interno. Il Ppe potrebbre lavorare con Identità e Democrazia, che ha al suo interno gruppi di estrema destra. È preoccupato per la direzione che il Ppe potrebbe prendere dopo queste elezioni europee?

Sono preoccupato per l'ascesa dell'estrema destra in tutta l'Unione europea. Mi preoccupa in relazione all'estrema destra qui in Irlanda. È importante che i centristi escano allo scoperto e cerchino di convincere il maggior numero di persone in vista delle elezioni europee. Il centro deve reggere, ora più che mai, sia qui in Irlanda, sia nell'Unione Europea. Non voglio vedere alcuna sbandata verso destra. Per questo che mi sto battendo, qui in Irlanda, per vedere eletti gli europarlamentari di Fine Gael. Voglio che i colleghi del Ppe facciano lo stesso in tutta l'Unione europea. Per evitare qualsiasi sbandamento bisogna massimizzare il numero di eletti dai partiti centristi.

Quindi si opporrebbe se, per restare nella sua posizione di presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen stringesse un accordo con l'Ecr e con Identità e Democrazia?

L'Irlanda renderà noto il suo punto di vista dopo le elezioni. Ma so che, quando partecipo al Consiglio europeo, il blocco principale di primi ministri è quello del Ppe. Questo ci garantirà un punto di partenza importante nelle discussioni dopo le elezioni. Ma è importante chi eleggiamo al Parlamento europeo. Non voglio vedere una sbandata verso destra. Dobbiamo stare al centro. Abbiamo del lavoro da fare qui in Irlanda. Il centro ha bisogno di essere visto come un'entità in grado di fornire risultati. Quando al centro si crea un vuoto su una tema, in particolare per quanto riguarda il discorso sulla migrazione, questo vuoto viene riempito e spesso sfruttato dall'estrema destra. Questo non è giusto. Il Ppe a livello europeo e io in qualità di leader del Fine Gael, un membro del Ppe qui in Irlanda, dobbiamo dimostrare ai cittadini che siamo in grado di rispondere ad alcune delle domande che ci pongono sul tema della migrazione. Voglio sottolineare una cosa, perché a volte la questione viene distorta. La migrazione e l'immigrazione sono una cosa positiva. Questo Paese ha tratto enormi benefici dall'immigrazione. Basta guardare il servizio sanitario e vari settori della nostra economia. Ma molti cittidani ci dicono: "Potete dimostrarci che il sistemi è efficiente e basato sulle regole?". I politici centristi, come me, dovrebbero dimostrare all'opinione pubblica che la capiamo. Credo che questo sia il modo migliore per contrastare una sbandata verso gli estremi.

Il Ppe, però, sembra sbandare in quella direzione per quanto riguarda, ad esempio, la possible esternalizzazione delle frontiere, qualcosa di paragonabile a ciò che il Regno Unito fa con il Ruanda. È d'accordo con questo?

Non credo sia simile. Quello che il Ppe propone, e certamente tutto ciò che l'Irlanda sosterrà, deve essere conforme ai diritti umani, alla Convenzione europea sui diritti dell'uomo. Siamo molto chiari al riguardo. Insomma, spetta al Regno Unito decidere la sua politica migratoria, ma credo che sia molto lontana da alcune idee discusse in Europa.

Perché c'è uno spostamento a destra? Perché la gente non crede nell'Europa sociale del passato, dove almeno c'era una parvenza di difiesa dei diritti dei lavoratori e così via?

Prima di tutto bisogna vedere se questo spostamento c'è davvero. I sondaggi vanno e vengono. In Irlanda, al momento, suggeriscono che il centro potrebbe reggere molto meglio del previsto alle europee. Staremo a vedere. Stiamo vivendo tempi difficili. Ci sono sfide complicate da affrontare: la guerra in Ucraina, il Medio Oriente, la crisi migratoria, l'inflazione. I politici centristi, me compreso, devono spronare sé stessi a fare meglio. Per affrontare l'emergenza climatica non bisgogna dare lezioni alle persone, ma portarle dalla tua parte. Per affrontare l'emergenza climatica non bisogna scegliere tra gli agricoltori e il pianeta, ma tutelare entrambi.

Non trova deplorevole che il Ppe si sia allontanato dalla legge sul ripristino della natura e da quelle sulla biodiversità? Ursula von der Leyen era la paladina del Green Deal, ma di recente ne ha preso le distanze perché potrebbe lavorare con l'estrema destra.

Non spetta a me parlare a nome della presidente von der Leyen, ma non credo sia una caratterizzazione corretta di ciò che sta facendo. I deputati del Fine Gael hanno votato a favore della legge sul ripristino della natura. Siamo stati in grado di dimostrare la nostra indipendenza di pensiero. È questo che conta. Non sono soddisfatto quando una proposta viene parcheggiata in un angolo di Bruxelles in attesa di essere rivista dopo le elezioni europee. Ma sono convinto dell'impegno della presidente von der Leyen per il Green Deal. In Irlanda dobbiamo fare la nostra parte a livello nazionale. È importante mostrare al settore agroalimentare, da cui l'Europa dipende, che esiste un modo per continuare a esistere e prosperare, affrontando al contempo l'emergenza climatica. La convinzione che non si possano fare entrambe le cose alimenta l'estremismo. Dobbiamo fare entrambe le cose: aiutare gli agricoltori nella transizione e salvare il pianeta.

Un'ultima domanda sull'Ucraina. Geograficamente l'Irlanda è molto lontana, ma è un membro dell'Unione europea. Negli ultimi mesi la situazione in alcune zone nell'est dell'Ucraina è arrivata a un punto critico a causa della mancanza di armi e di coerenza sulla questione del supporto militare. Cosa può fare l'Irlanda a questo proposito? C'è la consapevolezza che questa probabilmente sarà una guerra lunga e l'Ucraina potrebbe non avere il sostegno degli Stati Uniti. Come vede la situazione? Sosterrebbe, ad esempio, gli eurobond per la difesa?

Non sono sicuro che i bond per la difesa siano la strada da seguire. Ci sono molti Paesi, compresi quelli che forniscono assistenza militare all'Ucraina, che non sono sicuri sui bond. L'Irlanda continuerà a fornire all'Ucraina una serie di aiuti umanitari, ma anche assistenza in materia di sminamento e sicurezza informatica. Stiamo lavorando con l'Ucraina ad entrambe le questioni. Ho parlato tre volte con il presidente Zelensky da quando sono premier. Ho parlato con il premier dell'Ucraina. Il mese prossimo guiderò la delegazione irlandese al vertice di pace in Svizzera. Sto anche lavorando per fare appello al maggior numero possibile di Paesi, in particolare a quelli del Sud globale con cui l'Irlanda ha rapporti, affinché inviino una rappresentanza. Il vertice di pace è un'opportunità importante per il mondo di parlare con una sola voce. La situazione in Ucraina è molto preoccupante. Lo so dalle conversazioni con le controparti europee, la questione della difesa aerea è un problema reale e urgente. Alcuni Paesi europei stanno valutando cosa si può fare di più per dare un aiuto concreto all'Ucraina.

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