Nagorno-Karabakh: perché il conflitto è riesploso proprio ora?

Un gruppo di militari armeni nel Nagorno-Karabakh, Azerbaigian, 29 settembre 2020
Un gruppo di militari armeni nel Nagorno-Karabakh, Azerbaigian, 29 settembre 2020 Diritti d'autore AP/Armenian Defense Ministry
Di Euronews
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A causare l'escalation hanno contribuito sia fattori interni che esterni, mentre l'Armenia valuta l'indipendenza della regione

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Domenica sono ricominciate le violenze tra le forze armene e azere nella regione del Nagorno-Karabakh. Si tratta dei combattimenti più pesanti dal 2016, all'interno di un conflitto che si trascina da anni.

I ripetuti appelli internazionali per un cessate il fuoco finora sono caduti nel vuoto. Ma perché gli scontri sono ricominciati proprio ora? Tutto quello che c'è da sapere sul conflitto in sei domande e risposte.

Cosa c'è in gioco?

Gli ex Stati sovietici dell'Azerbaigian e dell'Armenia hanno combattuto una guerra sanguinosa nella regione montuosa del Nagorno-Karabakh all'inizio degli anni Novanta.

Migliaia di persone sono state uccise da entrambe le parti. Centinaia di migliaia sono state sfollate.

La guerra si è conclusa con una tregua nel 1994, anche se da allora ci sono state sporadiche violenze.

"Si tratta di una questione di identità per entrambe le parti", ha detto a Euronews il dottor Kevork Oskanian, Honorary Research Fellow dell'Università di Birmingham, specializzato in politica eurasiatica.

"Il Nagorno-Karabakh - ha aggiunto - è fondamentale per l'identità sia degli armeni che degli azerbaigiani, è molto difficile scendere a compromessi quando si tratta di una parte così profonda della propria identità. Questa è anche la ragione per cui i leader di entrambe le parti sanno che sarà molto difficile vendere qualsiasi tipo di soluzione al loro popolo".

Anche per gli attori esterni c'è molto in gioco: secondo Paul Stronski, senior fellow del programma Russia ed Eurasia al Carnegie Endowment for International Peace, la questione energitica ha un'importanza cruciale.

"Questa - ha detto Stronski a Euronews - è una via di transito fondamentale per l'energia che dal Caspio viaggia verso l'Europa attraverso l'Azerbaigian, la Georgia e la Turchia".

In termini di sicurezza internazionale, Stronski ha aggiunto che la ripresa degli scontri è "destabilizzante in Georgia, destabilizzante proprio accanto all'Iran, e destabilizzante proprio accanto al Caucaso settentrionale russo".

Perché ora?

Le ragioni dell'ondata di violenza nella regione possono essere attribuite a fattori sia a lungo che a breve termine.

Il conflitto si sta "trascinando da molto tempo", ha detto Oskanian. Da parte azera "Ilham Aliyev ha promesso di restituire il territorio al controllo azero da quando è diventato presidente a metà degli anni 2000".

Aliyev ha armato il Paese con una tecnologia militare all'avanguardia, che ha aumentato la pressione per mantenere quella promessa.

"La parte armena non sembra pronta a scendere a compromessi sul controllo del Nagorno-Karabakh - ha detto Oskanian - dobbiamo tenere presente che l'Armenia è soddisfatta dello status quo. Quello che vuole fare è normalizzare il suo controllo sulla regione".

Il motore a breve termine degli scontri sono le scarmucce dello scorso luglio, che hanno creato più di un grattacapo ad Aliyev.

La gente di Baku ha detto di essere pronta a combattere una guerra con l'Armenia, mettendo in imbarazzo il leader, che ha dovuto fare qualcosa per "salvare la faccia".

Stronski considera anche la pandemia COVID-19 come un fattore che ha contribuito alle violenze, poiché ha "messo a nudo le reti di sicurezza sociale e i problemi di governance in entrambi i paesi".

Inoltre, secondo Stronski, la crisi del coronavirus e altri eventi hanno fatto uscire la questione del Nagorno-Karabakh dal radar degli attori internazionali.

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"L'Europa - ha sottolineato - sta vivendo la cosiddetta 'seconda ondata' di COVID, quindi ha meno capacità di intervenire. Anche la Russia ha i suoi problemi COVID, problemi con la Bielorussia e problemi dovuti al crescente malcontento popolare, mentre gli Stati Uniti sono stati assenti dalla regione sotto l'amministrazione Trump. Il mondo è distratto, ecco un'altra ragione per cui questo sarebbe potuto accadere".

Alexei Malashenko, responsabile della ricerca scientifica del think tank Dialogue of Civilizations Research Institute, concorda con questa osservazione: "Negli Stati Uniti l'attenzione si concentra sulle elezioni e, in termini di politica estera, sui Balcani e sul Medio Oriente".

Quale sostegno dall'estero potrebbero ottenere le parti in conflitto?

I principali attori esterni sono la Russia e la Turchia. La Turchia, secondo Oskanian, pur avendo sempre sostenuto l'Azerbaigian ha recentemente intensificato il suo coinvolgimento nella regione sotto forma di esercitazioni congiunte.

Una possibile spiegazione del crescente interesse della Turchia è il tentativo di fare pressione sulla Russia in quello che "rivendica come il proprio cortile di casa". Un'altra spiegazione potrebbe essere ricercata in fattori interni.

"Entrambi gli stati sono stati turchi che parlano lingue simili, ma c'è anche una grande diaspora azera in Turchia - spiega Oskanian - l'immagine della Turchia che aiuta il fratello azero fa il gioco di Erdogan a livello nazionale".

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La Russia invece ha una posizione più equivoca e in passato ha armato entrambe le parti. Fa parte di un'alleanza formale con l'Armenia chiamata Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO), ma l'intesa non si estende al Nagorno-Karabakh.

"Mosca ha legami con entrambe le parti - dice Oskanian - ed è interessata a tenere le cose sotto controllo, ma non è nemmeno interessata ad avere una soluzione definitiva del conflitto. Il Nagorno-Karabakh è un conflitto che crea divisioni nel Caucaso meridionale, è l'unica ragione per cui la Georgia, l'Azerbaigian e l'Armenia non possono cooperare trilateralmente. Crea un punto di pressione che la Russia ha usato con un approccio 'divide et impera' nella la regione".

Quali potrebbero essere le conseguenze?

"Penso si corra il serio rischio che potenze esterne vengano risucchiate nel conflitto", ha detto a Euronews Laurence Broers del centro studi britannico Chatham House.

Per Broers la Turchia "si troverebbe in una posizione difficile se l'Azerbaigian non si comportasse bene sul campo di battaglia nei prossimi giorni, perché allora il vero significato del suo sostegno sarebbe messo in discussione".

Lo stesso vale per la Russia in relazione al comportamento delle forze armene. Sergey Markedonov, ricercatore capo del Centro per la sicurezza euro-atlantica dell'Istituto statale di studi internazionali di Mosca, ha detto che un fattore chiave da tenere d'occhio è quanto a lungo le due parti siano pronte a continuare il confronto e "quanto profonda sia l'escalation".

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Un altro aspetto da considerare è se la fiammata si diffonderà in direzione di Nakhichevan e Tavush, al confine tra Armenia e Azerbaigian.

"Sarebbe una situazione completamente diversa, ovvero uno scontro diretto tra due Stati indipendenti - sottolinea Markedonov - naturalmente, questo sarebbe lo scenario più indesiderabile. Penso che oggi le due parti stiano cercando di evitarlo, ma la logica dietro la lotta può essere piuttosto imprevedibile".

E se l'Armenia riconoscesse l'indipendenza del Nagorno-Karabakh?

Malashenko, tuttavia, non pensa che le recenti minacce di Erevan di riconoscere ufficialmente l'indipendenza della regione cambierebbero qualcosa: se ciò accadesse, il territorio rimarrebbe di fatto sotto il controllo armeno.

D'altra parte Oskanian ritiene che una una mossa del genere "scatenerebbe una tempesta di fuoco diplomatica", quindi non pensa che Ervan arriverà a tanto, a meno che i combattimenti non si intensifichino drasticamente o si protraggano per mesi o ancora più a lungo.

Quante sono le probabilità di un accordo?

"Sono state proposte molte soluzioni diverse - dice Broers - ognuna di queste opzioni è per motivi diversi inaccettabile per le parti".

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Quello che dobbiamo vedere è una trasformazione dei rapporti, dei termini del conflitto, più contatti, più iniziative pratiche.

Broers sottolinea che "non è molto sorprendente che la diplomazia non abbia avuto successo", perché è difficile andare avanti con una soluzione diplomatica nel contesto di "una corsa agli armamenti regionale e di ripetute escalation": per l'accademico c'è stata una mancanza di impegno e di attenzione da parte della comunità internazionale.

Malashenko ritiene che una conferenza internazionale tra Armenia e Azerbaigian che coinvolga rappresentanti di alto livello, come i ministri degli esteri, potrebbe essere una buona soluzione per ridurre le tensioni nella regione.

"La Turchia, la Russia, alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti - dice Malashenko - potrebbero partecipare a questi negoziati".

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