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Popolari e conservatori: un'alleanza complicata al prossimo Parlamento europeo

Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen hanno sviluppato un buon rapporto di lavoro negli ultimi due anni.
Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen hanno sviluppato un buon rapporto di lavoro negli ultimi due anni. Diritti d'autore Geert Vanden Wijngaert/Copyright 2023 The AP. All rights reserved.
Diritti d'autore Geert Vanden Wijngaert/Copyright 2023 The AP. All rights reserved.
Di Vincenzo GenoveseJorge Liboreiro
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen non ha escluso la possibilità di collaborare con il gruppo Ecr, in caso di nuovo mandato

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Durante il primo dibattito elettorale fra i candidati capolista in vista delle elezioni di giugno, von der Leyen ha di fatto aperto alla collaborazione con i Conservatori e riformisti europei rispondendo a una domanda sul tema.

“Dipende molto dalla composizione del Parlamento e da chi appartiene a quale gruppo”: una considerazione che ha fatto scattare Bas Eickhout, candidato capolsita del gruppo Verdi/Ale, ed è stata criticata pure da  Nicolas Schmit, candidato socialista e attuale commissario per il Lavoro e i diritti sociali: “Sono rimasto un po' sorpreso dalla sua risposta”

Il grppo Ecr è infatti formato da partiti di destra radicale, euroscettici o comunque molto critici verso le istituzioni comunitarie: Fratelli d'Italia, Diritto e giustizia in Polonia, Vox in Spagna, Nuova alleanza fiamminga in Belgio, Democratici svedesi in Svezia e Reconquête!,il movimento fondato da Éric Zemmour, in Francia.

Von der Leyen ha in passato escluso ogni collaborazione con i partiti "anti-europei", identificando però in questa categoria solo quelli appartenenti al gruppo Identità e democrazia, di cui fa parte la Lega.

"I Conservatori vogliono avere un ruolo decisivo nel cambiare rotta alle politiche europee"
Giorgia Meloni
Presidente del Consiglio italiana e presidente dei Conservatori e riformisti europei

Il piano di Meloni

L'apertura di von der Leyen sembra un assist a Giorgia Meloni, che è presidente del gruppo Ecr e che non fa mistero di voler cambiare la maggioranza all'Europarlamento, come ha ribadito pure alla conferenza di Fratelli d'Italia a Pescara in cui ha annunciato la sua candidatura in tutte le circoscrizioni elettorali.

Meloni vorrebbe passare dalla grande coalizione trasversale che sostiene oggi la Commissione (Partito popolare europeo, Socialisti e democratici e liberali di Renew Europe) a un'alleanza tutta di destra, sul modello di quella che governa in Italia: un partito appartenente al Ppe, Forza Italia, uno del gruppo Identità e democrazia, la Lega, oltre a Fratelli d'Italia. Come ha detto a Pescara, la premier spera di "creare una maggioranza che metta insieme le forze di centrodestra e mandare all'opposizione la sinistra anche in Ue: è una impresa difficile ma possibile e dobbiamo tentare".

Uno scenario forse possibile numericamente, grazie alla crescita dei gruppi di destra radicale. Il sondaggio Euronews/Ipsos prevede un totale di 334 eurodeputati per le tre forze di destra, che potrebbero sfondare il numero richiesto per la maggioranza, 361, con l'aggiunta di alcuni partiti che oggi risultano fra i non affiliati, come Fidesz del primo ministro ungherese Viktor Orbán.

Giorgia Meloni and Ursula von der Leyen have worked closely on migration and asylum policy.
Giorgia Meloni and Ursula von der Leyen have worked closely on migration and asylum policy.Roberto Monaldo/LaPresse

Meloni-von der Leyen: sintonia crescente

Dalla formazione del governo in Italia, del resto, si è assistito a una convergenza progressiva verso le rispettive posizioni tra Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni. La presidente del Consiglio ha adottato un approccio determinato ma meno aggressivo nei confronti delle istituzioni europee, rispetto all'incendiaria retorica della sua campagna elettorale. 

La presidente della Commissione è sembrata allinearsi al governo italiano su una delle tematiche più controverse, l'immigrazione irregolare, sposando i progetti di accordi con i Paesi terzi per ridurre le partenze e approvando di fatto l'accordo italiano con l'Albania per l'esternalizzazione dei processi di richiesta di asilo. Meloni ha accettato i compromessi scaturiti dai negoziati sul Patto migrazioni e asilo, la riforma della politica migratoria portata a termine prima della fine della legislatura, che invece non piace a molti dei suoi alleati degli altri Paesi.

Meloni e von der Leyen si sono recate insieme a Tunisi, Lampedusa e, più recentemente, al Cairo, dove hanno annunciato con orgoglio un nuovo accordo da 7,4 miliardi di euro per rilanciare l'economia dell'Egitto e rafforzare i controlli alle frontiere: tutti viaggi che dimostrano, anche simbolicamente, una sintonia sulla cosiddetta dimensione esterna della gestione del fenomeno migratorio.

Da fonti diplomatiche risulta che la mediazione italiana sia stata importante anche per convincere il primo ministro ungherese Orbán a concedere il suo assenso su un fondo da 50 miliardi all'Ucraina: un aiuto su un tema cruciale per la presidenza di von der Leyen. 

Un matrimonio difficile

Un'alleanza strutturale fra popolari e conservatori, comunque, sembra difficile. Come spiega a Euronews Doru Frantescu, fondatore del think tank EU Matrix, lo slittamento a destra che i sondaggi prevedono per il prossimo Parlamento europeo non significa necessariamente un cambiamento nella maggioranza. Anche perché popolari e conservatori sono allineati su alcuni temi, dalla linea dura sull'immigrazione alla politica estera, compreso il supporto all'Ucraina, ma pure molto distanti su altri. I conservatori, ad esempio, sono tendenzialmente più protezionisti in economia, i popolari più orientati al libero mercato. 

"Sono in disaccordo anche sul rafforzamento dei poteri delle istituzioni europee, sull'allargamento dell'Ue e sul controllo da parte delle istituzioni europee dello Stato di diritto negli Stati membri. Quindi è chiaro che qui non possono formare una maggioranza".

Più probabilmente, singoli partiti di destra radicale, come Fratelli d’Italia potrebbero sostenere l’elezione di von der Leyen, o di un altro esponente del Partito popolare europeo se ottengono qualcosa in cambio.

 "Non sarà un sostegno incondizionato, non avrebbero motivo di farlo", dice Frantescu. "Fratelli d'Italia userà i tanti voti che probabilmente otterrà come leva negoziale per una posizione importante, come un portafoglio di rilievo nella prossima Commissione Europea: quello alla Concorrenza magari, o comunque qualcosa relativo alla governance del mercato interno."

L'assenso di Meloni, infatti, è cruciale non solo e non tanto per il sostegno parlamentare alla conferma del prossimo presidente della Commissione (numericamente sembra ancora possibile una maggioranza senza partiti del gruppo conservatori). 

Ma anche e soprattutto per la scelta di chi guiderà l'Ue nei prossimi cinque anni: dopo ogni elezione il potere di nominare il presidente della Commissione europea spetta al Consiglio europeo, cioè all’organo che riunisce i capi di Stato e di governo dei 27 Paesi membri. La decisione può essere presa “a maggioranza qualificata”, cioè con il parere favorevole di 15 Stati su 27, purché rappresentino almeno il 65% della popolazione complessiva. E difficilmente verrà presa senza il consenso dell'Italia.

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