Juventus-Ferrari, cosa resta dell'impero?

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Di Alberto De Filippis
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La corazzata del capitalismo sportivo italiano in gravi difficoltà

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Cos'hanno in comune la più vincente e conosciuta squadra di calcio italiana, la formula Uno e la Liga spagnola? Una crisi sistemica che sembra aver investito un gruppo per anni saldissimo, oggi guidato da John Elkann, imparentato con la famiglia Agnelli, i proprietari della Fiat.

Malgrado 9 titoli consecutivi in queste ore si è dimesso l'intero consiglio di amministrazione della Juventus di Torino con il testa il presidente Andrea Agnelli. La dirigenza della squadra è stata messa alla porta e adesso i nomi per i sostituti si rincorrono. Troppo grande un passivo di 254 milioni di euro e operazioni che si sono rivelate veri e propri bagni di sangue come quella che un paio d'anni fa ha portato Cristiano Ronaldo in bianconero. Se i titoli nazionali si sono moltiplicati la Champions in questo decennio è rimasta un sogno, così come l'obiettivo di diventare grandi anche in Europa.

Il passivo è talmente grande che addirittura la Lega calcio spagnola ha chiesto all'Uefa immediate sanzioni per violazione delle norme sul fair play finanziario su cui sta indagando la Guardia di Finanza italiana. In particolare, l'accusa di aver contabilizzato i trasferimenti al di sopra del loro valore equo e aver sottovalutato le spese. 

Rivoluzione anche in Ferrari, altra controllata della galassia Elknan dove un campionato non esaltante ha portato alle dimissioni di Mattia Binotto, da 28 anni alla testa del reparto tecnico delle rosse. 

Pessimi i risultati di questi utlimi anni. Una rivoluzione che rischia di costare carissima a quella che un tempo era considerata la corazzata del capitalismo sportivo italiano.

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