Oltre 700 persone vennero barbaramente uccise a Makobola, superstiti e autorità chiedono giustizia e un tribunale internazionale per elaborare il lutto e ricominciare
Il 30 dicembre di 22 anni fa si consumava il massacro di Makobola, in Repubblica democratica del Congo. Oltre 702 persone, appartenenti alla comunità Babembe vengono selvaggiamente uccise a Makabola, a 15 chilometri da Uvira.
I morti sono in larga parte donne e bambini, abbandonati alla merce del popolo Bembe che vuole vendicare l'occupazione di terre considerate loro proprietà da sempre da parte dei miliziani ruandesi dell'RDC.
I sopravvissuti e i leader della comunità attendono ancora giustizia. Jean Jacques Elakano, consigliere dell'Ufficio del presidente commenta: "È un messaggio di cordoglio rivolto ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime, la nostra presenza qui vuole essere di monito per gli autori di questi crimini. Prima o poi sarà fatta giustizia e noi siamo per lo stato di diritto, lo stesso capo dello stato ha parlato di istituire un tribunale internazionale per giudicare i crimini commessi in Congo".
Le ferite di chi piange figli e nipoti non si rimarginano, malgrado il tempo trascorso, Obedi Nyamangyoku, della comunità Fizi chiede giustizia per riconciliarsi con il mondo.
"Perché giustizia sia fatta, la verità deve essere detta, e non c'è verità senza commemorazione. Il fine ultimo è che tutte le comunità possano vivere insieme".
Sadiki Onge Mbalamwezi è sopravvissuta alla barbarie:
"Vogliamo che i responsabili del massacro di Makobola vengano puniti secondo la legge; gli autori dei massacri in Ruanda sono stati arrestati. Perché per noi non si vuole giustizia?".
In attesa che la giustizia faccia i primi passi, anche quest'anno la comunità ha pagato il suo tributo alla memoria delle vittime.
L'antefatto
Nel dicembre 1998, la parte orientale della Repubblica Democratica del Congo era occupata dalla milizia armata dell'RDC (Rassemblement Congolais pour la Démocratie (RCD). Il 25 dicembre decidono di spostare la loro posizione da Makobola I (che si trova nel territorio di Uvira) a Makobola II (dall'altra parte del fiume, ma già in territorio di Fizi. ).
Per il popolo Bembe, questa è una vera provocazione: l'occupazione delle terre dei loro antenati da parte di "stranieri" è inaccettabile. Così martedì 29 dicembre 1998 alle ore 17 inviano un'ambasciata alla popolazione in cui annunciano un attacco alla città per scacciare i miliziani, principalmente ruandesi.
E alle 17.30 in punto sferrano l'attacco con cui sbaragliano le truppe ruandesi dell'RCD la cui salvezza resta la fuga. Fino alla mattina di mercoledì 30 dicembre, i Mayi-Mayi sono i padroni del villaggio, ma verso le 10 circolerà la notizia che rinforzi delle truppe ruandesi sono in viaggio per Makobola, da Uvira. I Mayi-Mayi, venuti a conoscenza del loro arrivo, decidono di ritirarsi dal villaggio, riconquistando le montagne che sovrastano Makobola II.
L' RCD entra a Makobola senza incontrare alcuna resistenza. La peggio tocca agli abitanti del villaggio, accusati di collaborare con il nemico. Il villaggio viene dato alle fiamme, in cui troveranno la morte la maggiorparte delle vittime.
Il governatore provinciale di allora, Norbert Basengezi Katintima minimizzerà e punterà il dito contro la Chiesa cattolica che invece denucia senza sosta l'eccidio di Makobola.
A dargli manforte, è il capo del RDC Wamba Dia Wamba che nelle sue dichiarazione lascia intendere che all'origine del massacro ci sia il Burundi.