Coronavirus, niente più rimesse dall'estero: ancora più grave la crisi nei Balcani e nell'Est Europa

Coronavirus, niente più rimesse dall'estero: ancora più grave la crisi nei Balcani e nell'Est Europa
Diritti d'autore Due donne moldave spazzano per terra nel parco Stefan Cel Mare di Chisinau, nel 2008 - JOHN MCCONNICO/AP
Diritti d'autore Due donne moldave spazzano per terra nel parco Stefan Cel Mare di Chisinau, nel 2008 - JOHN MCCONNICO/AP
Di Lillo Montalto Monella
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Moldavia, Kosovo, Ucraina, Bosnia ed Erzegovina e Montenegro, in primis: le rimesse incidono per una percentuale superiore al 10% del PIL in questi Paesi. In assenza di rimesse, caleranno i consumi interni. Non solo: le aziende estere qui ridurranno gli investimenti.

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La crisi economica legata alla pandemia di Covid-19 potrebbe essere più marcata, in alcuni Paesi dell'Europa orientale e dei Balcani, per l'improvviso venir meno delle rimesse dall'estero. La Banca Mondiale stima che nel 2020 ci sarà un calo del 20% nel flusso dei soldi che ogni anno i lavoratori emigranti mandano in patria - da 554 a 445 miliardi di dollari. Il più grande declino della storia recente.

In Europa, a rimetterci saranno soprattutto Moldavia, Kosovo, Ucraina, Bosnia ed Erzegovina e Montenegro, dove le rimesse dei "gastarbajteri" (come vengono indicati in serbo-croato) incidono su oltre il 10% del PIL. L'allarme arriva anche da altri istituti come Ocse e Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo.

Le rimesse per le economie del sud-est Europa arrivano soprattutto da Italia, Germania e Austria, indica in uno studio l'Ocse. In Albania e Croazia, due economie già messe alla prova dai recenti terremoti, le casse nazionali sono già in emorragia.

Ci sono famiglie che dipendono dalle rimesse per la sussistenza, ma anche membri del gruppo familiare che non ritengono conveniente lavorare perché guadagnerebbero meno di quanto si vedono inviare dall'estero da genitori, cugini o fratelli. Inutile dire che il mercato del lavoro così non decolla. 

Non solo: c'è il problema della fuga dei cervelli. Nell'Europa centro-orientale, dal 20 al 30% della popolazione ormai vive all'estero. Anche se nell'immediato l'emigrazione ha un effetto positivo sul tasso di disoccupazione interno, calato negli ultimi anni, a lungo andare l'impatto sulla presenza di manodopera qualificata è negativo. A dirlo è Anita Richter, analista del South East Europe Regional Programme di Ocse. "Le aziende che vogliono investire nei Balcani hanno già difficoltà a trovare lavoratori qualificati. Nel lungo periodo, le rimesse devastano il mercato del lavoro interno".

Quando tutto riaprirà dopo la crisi Covid-19, scrive la World Bank in un documento pubblicato oggi, paradossalmente questi Paesi saranno ancor più dipendenti dai flussi di rimesse perché gli investimenti diretti esteri caleranno ulteriormente. 

Il calo delle rimesse, aggiunge Richter, porterà anche ad un calo dei consumi interni, perché usate dalle famiglie principalmente per i consumi. 

In termini assoluti, è l'Ucraina il Paese che riceve più rimesse in Europa: quasi 16 miliardi di dollari nel 2019, soldi in arrivo soprattutto dalla Polonia (circa due terzi del totale), Repubblica Ceca, Russia, Stati Uniti e Regno Unito.

Scoppiata la pandemia di Covid-19, molti ucraini che lavoravano all'estero - circa 3-4 milioni - hanno avuto difficoltà a trovare lavoro, anche perché i severi controlli alle frontiere hanno impedito a molti lavoratori temporanei e stagionali di spostarsi anche tra paesi vicini. Alcuni di loro sono tornati in Ucraina, ma molti sono rimasti bloccati all'estero. L'Italia è la terza destinazione più popolare tra gli ucraini (11% del totale dei lavoratori migranti) dietro la Polonia (40%) e la Russia (25%).

Il Piccolo di Trieste calcola in 200mila a Belgrado, e 250mila a Bucarest, il numero di lavoratori che ha fatto ritorno in patria perché rimasti senza lavoro all'estero. "Autisti, operai, badanti, muratori, e poi tanti che lavoravano in nero nella Ue, costretti a tornare perché senza protezione sanitaria".

Il presidente serbo Vučić ha accusato alcuni gastarbajteri di essere tornati a casa pur sapendo di essere malati "per potersi curare gratuitamente". Come misura deterrente, la quarantena per i cittadini di ritorno è stata estesa da 14 a 28 giorni.

Nei campi di tutta Europa, nel frattempo, si fa sentire la mancanza di manodopera proveniente dall'Est. Alcune aziende in Germania e Regno Unito hanno organizzato voli charter per far arrivare agricoltori rumeni per la raccolta di frutta e verdura. A Londra, Berlino e Parigi i governi hanno invitato i disoccupati a dare una mano nei campi.

Una pattuglia rumena al confine con la Moldavia. Siamo al checkpoint di Ungheni, la foto è stata scattata nel 2011 - APVadim Ghirda

L'Unione europea avrà bisogno dei lavoratori dell'Est Europa non appena inizierà la ripresa, ma i primi a ritrovare lavoro saranno probabilmente coloro che hanno un passaporto comunitario come rumeni e bulgari, osserva sul quotidiano Danas Mihail Arandarenko, economista all'Università di Belgrado. 

Per gli altri Stati come Serbia, Bosnia ed Erzegovina, Moldavia e Ucraina l'impatto sarà quindi ancora più grande.

Cosa fare?

The International Centre for Migration Policy Development (ICMPD) definisce "i migranti e i lavoratori mobili" come "gli eroi non celebrati di 30 anni di espansione globale di beni e servizi, iniziata con la caduta del muro di Berlino nel 1989".

"Per le persone nei paesi in via di sviluppo, la differenza tra sopravvivenza e catastrofe potrebbe essere la velocità con la quale verrà ripresa quella connessione vitale di rimesse dei più ricchi parenti trasferitisi all'estero", si legge sul sito del Centro internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie. "Mentre le rimesse sono rimaste sorprendentemente stabili anche dopo il crollo del 2008, la situazione attuale è diversa". 

In passato, le rimesse sono state anticicliche. Ovvero: in tempi di crisi e difficoltà, i lavoratori mandavano più soldi a casa. Tuttavia, non c'era mai stato un così significativo blocco dei movimenti a livello globale. 

Nel 2021, la Banca Mondiale prevede che il flusso di rimesse rimbalzi, in risalita del 5.6% (a 470 miliardi di dollari), ma le prospettive restano incerte quanto l'impatto del Covid-19 sulle economie regionali.

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Abbiamo contattato l'operatore Western Union (che, assieme a MoneyGram, è uno dei leader del settore), ma al momento di scrivere non abbiamo ricevuto risposta. Ocse però segnala che, se parliamo di rimesse europee destinate a paesi del continente, l'incidenza delle transazioni effettuate con questi operatori non è così significativa come in altre parti del mondo. 

La Banca Mondiale suggerisce interventi incisivi a breve, medio e lungo termine per sostenere i migranti bloccati, le infrastrutture per le rimesse e l'accesso a sanità, alloggio, istruzione e lavoro per i lavoratori migranti nei paesi ospitanti/di transito e per le loro famiglie a casa. "Nei paesi ospitanti, gli interventi di protezione sociale dovrebbe anche sostenere le popolazioni migranti", ritiene Michal Rutkowski, Direttore Globale dell'Ufficio per le Politiche Sociali della World Bank.

ICMPD sprona i governi ad inserire le rimesse nella lista delle attività essenziali, oltre a costringere gli operatori a ridurre a zero i tassi di transazione tradizionalmente elevati durante la crisi. Alcuni lo stanno già facendo volontariamente.

La Banca Mondiale stima che nel mondo vengano trasferiti tramite canali ufficiali 554 miliardi di dollari di rimesse. Ovviamente, più povero è il Paese, più è dipendente dai soldi che arrivano dall'estero. Oltre il 30% delle economie di Tonga, Haiti e Nepal è fatto di "remittances", come vengono chiamate in inglese, anche se manca il dato per Paesi come Somalia o Siria.

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