Germania e Polonia: dove le cave di lignite si mangiano comunità e villaggi

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Di Hans von der Brelie Agenzie:  Diego Giuliani
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Al confine fra i due paesi, estrazione e miniere hanno portato alla scomparsa di interi agglomerati. Perché allora Berlino e Varsavia non cambiano rotta? Viaggio nella terra del carbone, a caccia di r

Spazzata via dalle ruspe, come tante altre prima di lei. Un cumulo di macerie è quanto resta di un’altra casa della comunità sorba: minoranza etnica insediata al confine tra Germania e Polonia, proprio dove le cave di lignite stanno mangiando interi villaggi. Timore diffuso è qui che insieme a boschi e foreste, a scomparire sia tutta la loro cultura.

Per fare spazio ai giacimenti, molti hanno già dovuto lasciare il villaggio di Rohne. E altri ancora li seguiranno.

“Soltanto qui intorno vogliono far evacuare 1.700 persone – ci racconta Edith Penk, che vive qui con il figlio Christian -. Tutti questi scavi, questi lavori su larga scala per estrarre la lignite stanno distruggendo la nostra comunità, la nostra storia, il nostro paesaggio…”.

“Questi sono i villaggi e i luoghi che saranno spazzati via – prosegue Edith, mostrandoci una mappa -. Resterà solo un immenso cratere”.

A rischio anche le tombe. Ma ci si interroga anche sui legami con il cancro

La nonna di Christian riposa in un piccolo cimitero nei boschi. È un baluardo della cultura sorba, ma sorge sopra strati di lignite che secondo molti minaccerebbero ormai le stesse tombe. Gli interrogativi, riguardano però soprattutto chi resta.

“Viviamo fra tre grandi cave di lignite. Quanto ci resta di più importante è la salute – dice Christian -. In molti, qui nei dintorni, ormai hanno però il cancro…”.

Il rapporto con le ciminiere che costellano il paesaggio è al momento solo un’ipotesi. Anche il padre ha però il cancro e Christian vuole vederci chiaro. Per questo sostiene a gran voce la realizzazione di uno studio sul tema.

La lignite avanza, i biogas perdono terreno (e terreni)

“Fermate la folle distruzione degli insediamenti” è quanto si legge su un cartello a Proschim. Anche la chiesa, secondo gli abitanti, rischia qui ormai di scomparire.

Le ruspe si sono già mangiate parte dell’azienda di Hagen Rösch: gestisce un’impresa che coniuga agricoltura e produzione di biogas, ma l’estrazione della lignite sta mettendo in ginocchio la sua attività.

“Negli ultimi decenni le cave di lignite si sono prese una quantità enorme dei nostri terreni agricoli e hanno distrutto 200 dei nostri posti di lavoro – racconta -. Eppure oggi in Germania, circa il 30% dell’energia proviene da fonti rinnovabili. La produzione elettrica eccede ormai il nostro fabbisogno, i prezzi al consumo sono bassissimi. Non abbiamo quindi più bisogno della lignite. Né di deturpare l’ambiente”.

Il villaggio di Horno: fenice risorta dalle sue macerie

Se interi villaggi sono scomparsi, altri sono stati ricostruiti. Indicazioni in tedesco e in lingua sorba sorgono ormai nella “nuova Horno”: fenice, risorta dalle macerie che aveva lasciato l’estrazione della lignite. Nei locali di una chiesa inaugurata da poco, Thomas Burchardt torna per noi alla sua infanzia e ci mostra su un plastico le otto che ha invece visto scomparire. Ventinove, in totale, quelle rase al suolo nella regione.

Thomas, che oggi milita per la “ONG Klinger Runde”: http://www.klinger-runde.de/, ha assistito alla morte e alla rinascita del suo villaggio. “Ho visto Horno morire – racconta -. Hanno cominciato sradicando gli alberi. Poi hanno divelto i marciapiedi, hanno sventrato il villaggio… È stato terribile. Un ricordo che mi fa ancora male”.

“La cosa peggiore – prosegue – è che non c’era bisogno di tutto questo. La Germania esporta già tantissima elettricità. La regione di Lausitz, la nostra regione, non dovrebbe essere sacrificata per l’export. La lignite è poi la fonte d’energia più inquinante in assoluto”

Qui un report sugli effetti delle centrali a carbone sul cambiamento climatico

Le centrali sul territorio UE che producono più CO2

*Source: 2013, Europe's dirty 30 - CAN Europe and WWF*In un museo l’omaggio a chi ha ceduto alle ruspe: “L’archivio dei villaggi estinti”

Il villaggio che è risorto ospita oggi anche un museo dedicato a quelli scomparsi. Lo chiamano “archivio dei villaggi estinti”: un monumento alla memoria di una cultura e una minoranza, sulla carta tutelate fin nelle più alte istanze.

“Fra i 136 villaggi che sono stati spazzati via, una buona parte erano sorbi – spiega ancora Thomas Burchardt -. Veri e propri tesori storici e culturali sono andati perduti per sempre. Questa regione di insediamenti sorbi è tutelata dalla Costituzione. Ogni attentato alla sua integrità è una violazione della Costituzione da parte del governo regionale”.

“Via dalla lignite, ma ci vorranno decenni”: parola ai gestori delle cave

Le cave di lignite appartengono a Vattenfall: una compagnia pubblica svedese che sta provando a reindirizzarsi verso un business più eco-sostenibile. Una transizione che richiederà però del tempo.

“Chi produrrà elettricità quando non ci sarà abbastanza vento o abbastanza sole? Come stoccare le energie rinnovabili? Sono interrogativi fondamentali, che a mio avviso restano però al momento senza vere risposte – ci dice Thoralf Schirmer, portavoce di Vattenfall a Cottbus -. Riteniamo quindi che lo sfruttamento della lignite per la produzione di energia elettrica proseguirà almeno fin oltre il 2020. Forse fino al 2030, o magari anche al 2050”.

Le ambizioni del governo tedesco, la tassa fantasma sulla lignite e l’ombra del lobbying

Obiettivo del governo tedesco è ridurre le emissioni di CO2 del 40% entro il 2020. L’ipotesi di una tassa volta a scoraggiare l’estrazione della lignite è naufragata sul nascere. Il progetto oggi allo studio prevede invece di sovvenzionare le aziende, che congelino le loro attività.

Claudia Kemfert dirige il dipartimento energia della società di ricerca Diw e lavora come esperto indipendente, tra gli altri, in seno al panel sul cambiamento climatico che svolge funzione di consulenza sulle politiche energetiche della Commissione Europea.

“In Germania il problema consiste anzitutto nel fatto che la lobby del carbone è potentissima – spiega -. Non è da escludere che l’accordo con il governo preveda anche dei sussidi sotterranei. Se fosse così, sarebbe allora incompatibile con la legislazione europea”.

La lignite in Polonia: promesse di guadagni milionari e investimenti congelati

In territorio polacco, i timori sono gli stessi. Questo castello appena al di là della frontiera è ora all’abbandono. Un tempo ospitava l’asilo che Anna ha frequentato da piccola. Oggi, l’eventualità che lasci spazio a una cava di lignite congela ogni investimento e ipotesi di riqualificazione.

“È disabitato da anni. Ormai sta andando in rovina, ma le autorità locali non vogliono venderlo – ci spiega Anna Dziadek, che milita per un ONG che si batte contro l’estrazione della lignite -. La ragione risiede nel fatto che politici e lobby della lignite promettono che qui apriranno nuove cave, nuove centrali e che ci saranno enormi guadagni per tutti. E nel frattempo, qualsiasi iniziativa da parte di piccoli investitori è vietata”.

Anna è però convinta che il progetto del polacco PGE Group potrà essere fermato, prima che divori il villaggio e la fattoria di una sua amica. Mentre il liquore di ciliegie viene imbottigliato, Anna condivide con noi i suoi conti e le sue riflessioni: una nuova cava e una nuova centrale richiederebbero a suo avviso un investimento da sette miliardi di euro.

“Nel 2009 abbiamo organizzato due referendum locali – racconta ancora Anna -. La gente non vuole più alcun investimento nella lignite.
Prima o poi le lobby dovranno rassegnarsi e abbandonare i loro folli piani”.

La battaglia di 350.org: spingere gli investitori a ritirarsi dal carbone

Abbandonare i combustibili fossili e ritirarsi dal business delle energie non rinnovabili è il messaggio di 350.org: un gruppo di attivisti che ha già convinto grandi compagnie assicurative e soggetti come i Rockfeller a ritirarsi dagli investimenti nel carbone.

“Abbiamo raggiunto importanti investitori come il Fondo pensionistico governativo della Norvegia, che tra quelli pubblici, uno dei più grandi al mondo – spiega Melanie Mattauch, coordinatrice della comunicazione di 350.org a livello europeo -. E ora sta ritirando i suoi investimenti dall’industria del carbone”.

La lezione di Edith ai grandi della COP21: “Chi non si batte ha già perso in partenza”

Una battaglia, che nel loro piccolo continuano a combattere anche Edith e suo figlio Christian. La speranza è l’ultima a morire, dicono: il compito di tenerla in vita spetta però anzitutto alla politica, a cui Edith invia un messaggio.

“Se alla conferenza sul clima ci si piegherà agli interessi dell’industria non ci resterà molto da sperare – dice Edith -. Chi non si batte, ha già perso in partenza. Io per prima sono pronta ad alzare la voce per far valere i miei diritti. Mi batterò per impedire che lo sfruttamento della lignite prosegua”.

Dalla Conferenza del clima di Parigi, Edith si attende risposte e impegni concreti. E come lei milioni di altre persone, che non rinunciano al sogno di un domani eco-sostenibile.

Reporter - Brown coal

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