Con oltre 4,8 milioni di cittadini rifugiati in Europa, il nuovo ministero dell’Unità Nazionale coordina iniziative per mantenere l’identità ucraina e favorire il ritorno post-bellico
A quattro anni dall’inizio dell’invasione russa su larga scala, l’Ucraina lancia un’offensiva diplomatica e sociale rivolta non al nemico, ma ai propri cittadini fuggiti all’estero. Con oltre 4,8 milioni di ucraini protetti temporaneamente in Europa, Kiev ha creato il ministero dell’Unità nazionale, affidato a Oleksiy Chernyshov, ex vice primo ministro, con un mandato chiaro: mantenere vivi i legami con la diaspora e motivare il ritorno post-bellico.
“Più la guerra continua, più gli ucraini si integrano in altri Paesi,” ha dichiarato Chernyshov, sottolineando la necessità di un legame costante, anche solo simbolico, con chi oggi vive fuori dai confini nazionali.
“Unity Hub”: i centri all’estero che aiutano i rifugiati ucraini
La risposta concreta di Kiev sono i “Unity Hub”, centri multifunzionali aperti in diverse città europee. L’obiettivo? Fornire supporto legale, psicologico, culturale ed educativo ai rifugiati ucraini, aiutandoli a integrarsi nei Paesi ospitanti, senza perdere il legame con le proprie radici. Ma soprattutto, questi spazi avranno il compito di mantenere viva la prospettiva del ritorno, una volta raggiunta una pace stabile.
L’iniziativa ha ottenuto l’appoggio della Commissione europea, che ha esteso il regime di protezione temporanea fino a marzo 2027. “Questo offre più di 20 mesi di chiarezza per pianificare la propria vita”, ha spiegato Chernyshov, che punta a trasformare i rifugiati in protagonisti della ricostruzione.
La diaspora ucraina come risorsa per l’Europa
L’integrazione lavorativa dei rifugiati ucraini è stata sorprendentemente rapida. Secondo l’Ocse e la Rete europea per le migrazioni, la partecipazione al mercato del lavoro da parte dei beneficiari di protezione temporanea (BoTP) ha superato il 40 per cento in Paesi come Estonia, Lituania, Danimarca e Paesi Bassi. In Polonia, il tasso di occupazione ha toccato il 60 per cento. Più basse invece le percentuali in Germania (18 per cento) e Svizzera (14 per cento).
“Gli ucraini sono professionisti qualificati, e i mercati del lavoro europei competono per integrarli”, ha spiegato Chernyshov, sottolineando che questa esperienza potrà essere cruciale per il futuro economico dell’Ucraina.
Il ritorno in Ucraina? Possibile solo con pace stabile
Il governo ucraino sa che il ritorno dei rifugiati dipende da due fattori chiave: pace e opportunità. “Una volta che l’Ucraina sarà ricostruita, i Paesi europei cercheranno collaboratori locali per progetti di ripresa. Chi meglio degli ucraini già integrati nei loro sistemi economici?”, ha detto Chernyshov.
Tuttavia, avverte, il ritorno non potrà essere imposto. Nessuna pressione o obbligo. “Non possiamo e non vogliamo costringere nessuno a tornare. Solo l’amore per l’Ucraina e il successo del Paese potranno motivare chi è partito”.
Bruxelles nomina un inviato speciale per i rifugiati ucraini
Per rafforzare il coordinamento tra l’Ue e Kiev, la Commissione europea nominerà un inviato speciale per gli ucraini protetti temporaneamente. Il suo compito sarà fornire informazioni su come gestire la transizione verso nuovi status giuridici, ma anche facilitare, gradualmente, il rientro in patria quando le condizioni lo permetteranno.
Un ritorno che, sottolineano da Kiev, non può essere solo una questione amministrativa. Finché la guerra continuerà e le città saranno sotto attacco, la sicurezza sarà il primo ostacolo.
Il ritorno dipenderà dalla fine della guerra, non da Kiev o Bruxelles
Molti rifugiati sono già rientrati temporaneamente o stabilmente quando le condizioni lo hanno consentito. “Nel marzo 2022, migliaia sono tornati a Kiev non appena è stato possibile”, ha ricordato Chernyshov.
Ma finché Mosca continuerà la sua aggressione, le prospettive di un ritorno massiccio rimarranno incerte. La decisione, per molti, non sarà presa a Bruxelles o a Kiev, ma sul campo di battaglia.
“Solo una pace duratura – ha concluso Chernyshov – potrà trasformare i ‘Unity Hub’ da spazi di supporto all’estero in ponti per tornare a casa.”