La proposta dei Verdi di abolire la legge berlinese sulla neutralità riapre il dibattito sulla libertà religiosa nello spazio pubblico. Un confronto che divide l’Europa tra neutralità, sicurezza e inclusione
A Berlino si è acceso un acceso dibattito che potrebbe avere ripercussioni ben oltre i confini della Germania. Il gruppo dei Verdi del Bundestag ha presentato una mozione per abolire la legge sulla neutralità (Neutralitätsgesetz), una norma che vieta ai dipendenti pubblici — tra cui insegnanti, poliziotti e giudici — di indossare simboli religiosi visibili durante l’orario di servizio.
La legge, pensata per garantire la neutralità ideologica dello Stato, è oggi vista da molti come uno strumento di esclusione, soprattutto nei confronti delle donne musulmane che indossano il velo.
Questa iniziativa ha immediatamente proiettato Berlino all’interno di una discussione europea più ampia sul delicato equilibrio tra laicità, libertà religiosa e inclusione sociale. L’Europa si presenta oggi come un mosaico di approcci diversi: mentre alcuni Paesi adottano linee dure, altri lasciano ampi margini di espressione individuale. In mezzo, il principio di neutralità si confronta con le istanze dell’identità e della coesione sociale.
L’Europa divisa tra neutralità e pluralismo
In assenza di una normativa unitaria a livello europeo, ogni Paese ha sviluppato un proprio approccio — influenzato dalla storia, dalla cultura giuridica e dalle sensibilità politiche locali. La Francia, ad esempio, si distingue per la sua rigorosa dottrina della laicità, applicata anche ai minimi livelli dell’amministrazione pubblica. Il divieto di simboli religiosi visibili è visto come un modo per garantire uno spazio pubblico imparziale, ma viene spesso criticato per i suoi effetti discriminatori.
Il Belgio segue una linea simile, giustificando il divieto del velo integrale con motivi di sicurezza e integrazione. La Corte europea dei diritti dell’uomo, nel 2017, ha sostenuto queste misure, accettando la motivazione legata all’ordine pubblico.
L’Austria ha introdotto una legge che vieta la copertura del viso nei luoghi pubblici, mentre la Danimarca ha optato per un divieto assoluto nel 2018, in nome della trasparenza sociale e della sicurezza.
Dall’altra parte dello spettro, troviamo Paesi come la Svezia e la Spagna, dove prevale un approccio più permissivo e decentralizzato. In Spagna, ad esempio, manca una normativa nazionale: le decisioni sono lasciate alle singole scuole o istituzioni, e il governo ha minimizzato la necessità di intervenire. La Svezia, invece, ha mantenuto un forte orientamento libertario, anche se alcune iniziative locali hanno tentato di imporre restrizioni in nome dell’integrazione.
Soluzioni ibride e tensioni latenti
Tra i due poli — l’imposizione della neutralità e la difesa della libertà religiosa — si collocano soluzioni ibride, spesso soggette a controversie. In Portogallo, per esempio, non esistono divieti espliciti, ma le istituzioni possono applicare codici di abbigliamento neutrali, purché non discriminatori. I Paesi Bassi hanno optato per un divieto parziale, applicabile in ambienti specifici come ospedali, scuole e trasporti pubblici.
In Grecia, le tutele legali coesistono con una pratica meno uniforme: un caso del 2022 ha mostrato come le regole sull’uniforme possano sovrapporsi ai diritti religiosi, innescando controversie sulla legittimità delle restrizioni.
In Italia, una legge del 1975, nata in ambito antiterrorismo, viene talvolta invocata per vietare la copertura del viso, anche se non pensata per l’abbigliamento religioso.
La Bulgaria, invece, ha introdotto nel 2016 un divieto nazionale di copertura del volto, con eccezioni per motivi sanitari o professionali, mentre l’hijab — che lascia scoperto il volto — rimane generalmente tollerato.
Neutralità o inclusione? Un equilibrio ancora da trovare
La mozione dei Verdi tedeschi riporta al centro dell’agenda politica europea un tema complesso e fortemente divisivo. Il nodo della questione non è solo giuridico, ma culturale e identitario: quanto spazio deve avere la religione nella sfera pubblica? E quali sono i limiti legittimi alla sua espressione quando entra in conflitto con i valori di neutralità dello Stato?
Nel contesto berlinese, abolire la Neutralitätsgesetz significherebbe aprire le porte a una maggiore inclusività nel pubblico impiego, ma anche ridefinire il ruolo simbolico dello Stato come attore neutrale. Una scelta che molti giudicano necessaria per garantire pari accesso al lavoro e non discriminazione, ma che altri temono possa compromettere la coesione sociale.
Quel che è certo è che l’Europa rimane lontana da una sintesi condivisa. Le risposte continuano a oscillare tra modelli rigidi e normativi e approcci pragmatici e flessibili, senza che emerga un modello dominante. Berlino, con la sua storia di frontiere e unificazione, si trova ancora una volta a fare da cartina di tornasole per una questione che tocca il cuore della democrazia pluralista.