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Affitti brevi, "l'Ue può fare poco, ma è apprezzabile il focus su trasparenza e crisi abitativa"

Protesta contro il turismo di massa a Barcellona
Protesta contro il turismo di massa a Barcellona Diritti d'autore Emilio Morenatti/Copyright 2024 The AP. All rights reserved.
Diritti d'autore Emilio Morenatti/Copyright 2024 The AP. All rights reserved.
Di Samuele Damilano
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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A partire dalla situazione a Barcellona, dove i residenti protestano contro l'iperturistificazione della città, il punto sulla situazione degli affitti brevi con il Professore della Sapienza Filippo Celata

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"Non c'è una formula magia per trovare una soluzione al bilanciamento tra indotto economico generato dal turismo e tutela dei residenti e del tessuto sociourbanistico", spiega Filippo Celata, dottore di ricerca in geografia economica e professore ordinario di Economic Geography, Sviluppo locale e Spatial Data Analysis presso l’Università romana La Sapienza. "Quando combattiamo contro l’iperturistificazione lo facciamo anche per il turismo sostenibile, autentico, rispettoso dell’ambiente in cui è situato".

La città di Barcellona è il recente caso più emblematico, o almeno più eclatante, di mobilitazione dei residenti contro l’iperturistificazione. Il sindaco Collboni ha annunciato che non rinnoverà le licenze degli appartamenti che scadono nel 2028. È la decisione giusta?  

Bisogna dire, innanzitutto, che è da molti anni che la città di Barcellona si impegna per implementare misure contro la proliferazione incontrastata degli affitti brevi. È del 2012 la norma che vieta la concessione di nuove licenze nella ciudad vella. Una misura su cui in Italia si sta ragionando solo adesso, nella città di Firenze. Per quanto riguarda l’annuncio di Collboni, si tratta di sicuro di una misura drastica, che va associata a una serie di regole e norme la cui vaghezza è stata oggetto di critiche. A questo stadio non è possibile valutare in che modo verrà attuata e quali saranno gli effetti per affrontare una situazione che è diventata insostenibile.

È possibile garantire il diritto alla casa dei cittadini della città, dove, negli ultimi dieci annigli affitti sono aumentati del 68 per cento, senza rinunciare al significativo indotto economico proveniente dal turismo, 12.7 miliardi di euro nel 2023?

Le parole di Collboni sono senz’altro simbolo di una volontà politica di fare tutto il possibile per migliorare la situazione. E, in quanto tale, è stato criticato sia da destra, per l’impatto negativo che questa misura avrebbe sul settore turistico, sia da sinistra, dove lo rimproverano per la promozione di altre forme di turistificazione attraverso la proliferazione di alberghi. Ciò che chiedono i manifestanti e le associazioni nelle proteste per il diritto alla casa e contro gli affitti brevi, è un ripensamento del modello economico della città, che non sia incentrato solo sul turismo.  

Secondo l’associazione di appartamenti turistici di Barcellona Apartur, invece, questi alloggi rappresentano solo lo 0,77 per cento di quelli presenti in città e la misura potrebbe far scomparire il 40 per cento del turismo locale.

Il problema è che però la gran parte di questo stock immobiliare è abitato da famiglie residenti, e dunque non dovrebbe essere considerato nel calcolo. Quello che è poi oggetto di locazione, destinato agli affitti, è una quota molto minore che farebbe alzare la percentuale. Pensiamo all’Italia, dove nel 2021 la quota di persone in affitto in Italia si attestava al 26,3% Inoltre, deve essere considerata anche la dimensione dello spazio, del concentramento in una certa area dell’offerta di alloggi. Non è, dunque, un dato presentato in maniera corretta.

Anche perché  l’aumento degli affitti non è l’unica conseguenza dell’iperturistificazione.

Sempre nell’ambito dell’emergenza abitativa, c’è un problema di disponbilità di immobili, che va oltre il potersi permettere o meno un affitto. Con la premessa che siamo in prossimità del Giubileo, un turista a Roma in questo momento, solo nella piattaforma Airbnb, ha a disposizione più di 23mila interi appartamenti. Sul sito di Immobiliare, gli annunci che riguardano effettivamente appartamenti in affitto a lungo termine sono poche centinaia. La proporzione non è tanto dissimile nelle principali città turistiche italiane.

E per quanto riguarda gli effetti sul tessuto sociale?

È stato dimostrato un forte impatto del mercato degli affitti brevi sul tessuto commerciale della città. Poiché, secondo lo slogan “live like a local”, chi va in un appartamento è portato a usufruire dei servizi commerciali circostanti, e i servizi per gli abitanti, alimentari, estetisti o edicole, chiudono per la mancanza di clienti.

Fino ad arrivare all’estremo della chiusura di scuole nel centro di Roma per lo spopolamento dell’area (tra il 2014 e il 2019 nell’area del centro storico la popolazione è diminuita del 35,8 per cento secondo uno studio a cura del Comune di Roma). Al loro posto aprono ristoranti e negozi di abbigliamento. Aumenta l’omogeneità dell’offerta, indice dello scadimento della sua qualità. Diventano luoghi dedicati al consumo con effetti chiari sullo spazio pubblico. I turisti lo riempiono di vuoti.

Quando combattiamo contro l’iperturistificazione lo facciamo anche per il turismo sostenibile, autentico, rispettoso dell’ambiente in cui è situato. Un tempo pensavamo che per conoscere la vera Roma, la vera Firenze, bisognasse andare nel centro, e che la periferia fosse un agglomerato di spazi vuoti e privi di interesse. Oggi, a causa dell’appropriazione dello spazio dei turisti e dell’alienazione dei residenti, si ha l’impressione opposta.

Per invertire questa tendenza, varie città europee hanno imposto un limite ai giorni in cui un appartamento può essere destinato a un affitto per turisti. New York, invece, ha introdotto una norma per cui un intero appartamento non può essere destinato all’affitto per un periodo inferiore di 30 giorni, a meno che non vi risieda anche il proprietario. Esiste una formula vincente?

Partiamo dal presupposto che una cosa non esclude l’altra. Imporre un limite ai giorni in cui un appartamento può essere affittato serve a far sì che non diventi un’attività imprenditoriale vera e propria, per cui sarebbero necessarie regole diverse. La misura si associa di solito anche all’obbligo di residenza del proprietario dell’immobile, ché, altrimenti, un periodo di 90 giorni, come quello previsto a Parigi, non sarebbe sufficiente. La seconda modalità, adottata anche da Amsterdam, dove non si può affittare per un periodo inferiore a 7 giorni, potrebbe essere definita “affitto breve, ma non brevissimo”. Nell’ottica di evitare che l’affitto a mo’ di Airbnb diventi un surrogato, un’alternativa secca a una forma di ricettività più strutturata come quella degli alberghi.

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L’Italia sta facendo abbastanza in termini di regolamentazione?  

Di misure concrete in Italia ne vediamo ancora poche. Il tentativo della città Firenze di non voler più concedere permessi nel centro storico, ha due limiti: il congelamento della situazione attuale, che sta causando lo spopolamento dell’area, e il rischio di un’espansione al di fuori del centro, che rischia di instaurare le stesse dinamiche in altre aree della città. Di certo manca una legge a livello nazionale cui si possano aggrappare i Comuni che soffrono questo fenomeno. C’è stata di recente una proposta di legge del collettivo “Alta tensione abitativa”, che puntava a introdurre le licenze a termine, le stesse su cui fa perno la decisione di Collboni. Nè è stato, per ora, un nulla di fatto.

A livello europeo, il Consiglio dell’Unione europea ha approvato un Regolamento che consente maggiore trasparenza e condivisione di dati. Ma nulla per contrastare il caro affitti. Quali sono gli strumenti che ha in mano l’Ue?

Il problema principale dell’Unione europea è che agisce in un’ottica pro market, per favorire il mercato e la concorrenza. In termini di regolamentazione di questi temi, pertanto, non può fare molto. Tuttavia, il tema della trasparenza dei dati è fondamentale per poter eseguire accertamenti, per il controllo fiscale, i dati sulle transazioni e a livello statistico. Si tratta comunque di un passo importante, nell’ottica di un’attenzione della Commissione alla crisi abitativa, come sottolineato da Von der Leyen, che è da apprezzare. Adesso bisognerà vedere come si concretizza.

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