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Italia, Senato approva la presenza di gruppi pro vita nei consultori

L'aborto ritorna nell'agenda politica italiana. Il Senato vota su accesso ai consultori di gruppi di supporto alla maternità, inserita come emendamento a decreto Pnrr
L'aborto ritorna nell'agenda politica italiana. Il Senato vota su accesso ai consultori di gruppi di supporto alla maternità, inserita come emendamento a decreto Pnrr Diritti d'autore Luca Bruno/Copyright 2022 The AP. All rights reserved
Diritti d'autore Luca Bruno/Copyright 2022 The AP. All rights reserved
Di Gabriele Barbati
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Il Senato approva l'accesso di gruppi anti-abortisti nei consultori, malgrado le polemiche sull'inserimento dell'aborto in un emendamento al decreto sul Pnrr. L'approvazione era scontata come già alla Camera una settimana fa

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Il Senato italiano ha votato martedì un provvedimento che consente di operare all'interno dei consultori familiari alle associazioni anti-abortiste (anche chiamate pro vita).

La misura ha sollevato numerose critiche per le modalità e per le tempistiche, nonostante il diritto all'aborto sia tornato nell'agenda politica con una risoluzione dello stesso Parlamento europeo questo mese

Il permesso all'attività di gruppi di "supporto alla maternità" e alle donne alle prese con un'interruzione di gravidanza è stato infatti inserito nel decreto sulle misure finanziate dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che andava convertito in legge entro il 1 maggio, e su cui la maggioranza ha posto la fiducia, rendendone pressochè scontata l'approvazione.

L'emendamento, a firma di Lorenzo Malagola di Fratelli d'Italia, è già passato alla Camera dei Deputati che ha approvato il testo sul Pnrr il 16 aprile, alla vigilia delle elezioni regionali in Basilicata, con 185 voti favorevoli, 115 contrari e 4 astenuti.

La misura sui consultori un tentativo di svuotare la legge 194 sull'aborto

Il voto di martedì è stato preceduto da una protesta davanti al Senato.

"La legge 194 non è fatta per l'autodeterminazione del proprio corpo in merito all'aborto" ha detto una delle donne presenti, Bianca Monteleone

"La legge è estremamente paternalistica, perché prevede la tutela sociale della maternità e l'aborto come un'eccezione che deve essere ostacolata il più possibile, ad esempio attraverso misure statali" ha aggiunto Monteleone.

Per gli attivisti a favore dell'aborto (anche detti pro scelta) si tratta di un tentativo di attaccare la 194, seppure non frontalmente. 

"Sta già accadendo in alcune regioni" come il Piemonte, avverte la ginecologa Silvana Agatone, presidente dell'associazione pro scelta Laiga. 

"Personaggi che non si sa che qualifica abbiano. Sicuramente non hanno studiato, non hanno superato esami per andare a parlare con le donne di argomenti per cui il consultorio ha già figure altamente qualificate" avverte Agatone.

Governo, gli attivisti nei consultori per "applicare davvero" la legge sull'aborto in Italia

La legge che ha depenalizzato l'aborto in Italia, infatti, è stata il frutto di un compromesso politico nel 1978 che però non è mai stato rivisto per adeguarlo ai tempi, come invece accaduto altrove in Europa. 

Dalla sua elezione nel settembre 2022, il governo guidato dalla destra di Giorgia Meloni non ha mai messo in discussione apertamente la 194, come chiesto dai gruppi pro vita e in difesa della famiglia tradizionale che l'hanno sostenuto.

"Penso che si debba garantire una libera scelta e credo che per fare una libera scelta sia necessario avere tutte le informazioni necessarie. Questo è quello che prevede la legge 194 e credo che sia la cosa giusta da fare", ha detto Meloni martedì da Bruxelles.

Quasi tutti concordano nel non toccare la 194, da un lato e dall'altro nel dibattito sull'aborto per motivi diversi, perciò il confronto si è spostato sul potenziale delle provisionidella legge.

Il dibattito sulla legge 194 sull'aborto mai chiuso dal 1978

Il governo Meloni sostiene la presenza nei consultori familiari di gruppi di supporto alla maternità, in quanto applicherebbe pienamente gli articoli 1 e 3 della legge 194. 

"Lo Stato, le regioni e gli enti locali promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite" si legge nell'articolo 1 della legge.

L'articolo 3 indica invece tra le responsabilità dei consultori quella di contribuire "a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza" e la possibilità di avvalersi di associazioni di volontariato che "possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita".

Il precedente dell'art. 9 della 194: quasi 2/3 dei ginecologi non fa aborti

Il rischio che un'applicazione letterale della legge, a oltre 40 anni dal suo concepimento, possa far diventare la libertà di abortire una vera e propria odissea per tantissime italiane, ha l'esempio più chiaro nell'intepretazione estensiva data all'articolo 9 sull'obiezione di coscienza.

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Inizialmente prevista per rispettare gli eventuali dilemmi etici di ginecologi e operatori sanitari chiamati a intervenire durante un aborto in ospedale, l'obiezione di coscienza nel 2021 è arrivata a riguardare il 63,6 per cento dei ginecologi e il 40,5 per cento degli anestesisti in Italia, secondo l'ultima relazione annuale sulla legge del Ministero della Salute sull'attuazione della 194.

Secondo il ministero, in Italia si eseguono ogni anno circa 60mila interruzioni di gravidanza (63.653 nel 2021) e si rivolge ai consultori per ottenere il certificato medico obbligatorio il 42,8 per cento delle donne che intendono abortire.

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