L'Unione europea e la sfida della migrazione: come gestire l'aumento dei flussi?

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Di Anelise Borges
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L'intervista a António Vitorino, direttore generale dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni

Il numero di richiedenti asilo che arrivano in Europa è salito alle stelle. Più di 40mila persone senza documenti hanno attraversato il Mediterraneo dall'inizio dell'anno: uno dei tassi più alti dalla crisi migratoria del 2015. E nei primi tre mesi circa 700 persone sono morte o risultano disperse durante il viaggio. Per discutere di questa nuova crisi imminente Euronews ha raggiunto António Vitorino, direttore generale dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni.

Non mi sembra si tratti in realtà di una nuova crisi imminente, ma di un ulteriore capitolo della stessa crisi umanitaria che si manifesta in Europa da più di otto anni - a cosa sta assistendo la vostra organizzazione nel Mediterraneo centrale?

Il Mediterraneo centrale è una rotta per l'Europa in costante crescita. Anche durante la pandemia le cifre hanno continuato a crescere. E come lei ha detto, i dati dei primi tre mesi di quest'anno sono quattro volte superiore a quelli dell'anno scorso nello stesso periodo. Quindi è chiaro che ci sono diverse rotte di viaggio per l'Europa all'attivo ora, soprattutto verso l'Italia. E l'Italia è oberata da questa pressione.

**Leggo da una pubblicazione dell'Iom: "I ritardi nei salvataggi guidati dallo Stato sulla rotta del Mediterraneo centrale hanno avuto un ruolo in almeno sei incidenti (naufragi) che quest'anno hanno portato alle morte di almeno 127 persone. La totale assenza di risposta a un settimo caso è costata la vita ad almeno 73 migranti..." Direbbe che i governi europei hanno le mani sporche di sangue...
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Credo che sia urgente che gli Stati membri europei prendano sul serio una proposta presentata dalla stessa Commissione per affrontare le tre questioni chiave in gioco: in primo luogo, bisogna impedire alle persone di imbarcarsi - in viaggi pericolosi - e questo dipende dalla cooperazione con i Paesi di partenza. In secondo luogo, è necessaria un'iniziativa guidata dallo Stato per le operazioni di ricerca e soccorso - non possiamo lasciarle alle sole Ong - e naturalmente dobbiamo evitare che le persone muoiano nel Mediterraneo. In terzo luogo, e questo è molto importante, c'è bisogno di prevedibilità nei punti di sbarco, perché non possono semplicemente andare nel porto più vicino e c'è bisogno di istituire un processo di trasferimento rapido per non sovraccaricare i Paesi geograficamente esposti.

È interessante quello che dice sul coordinamento quando si tratta di accogliere queste persone... i porti di sbarco. A differenza sua, non lavoro su questo tema da molto tempo... ma mi sento piuttosto scoraggiata quando vedo che nulla sembra cambiare, anno dopo anno. È come se potessi usare le stesse parole, le stesse immagini per descrivere la situazione... Lei conosce l'Unione europea, è stato un commissario... Perché pensa che sia così? Perché i governi europei non riescono a unirsi per affrontare questo problema?

In effetti, ha ragione. La Commissione europea ha presentato la proposta di un patto sull'asilo e la migrazione per avere un approccio e degli standard comuni tra tutti gli Stati membri dell'Ue. È evidente che i progressi nell'adozione degli strumenti giuridici del Patto non hanno fatto molti passi in avanti. Questo dimostra che ci sono ancora differenze nella prospettiva in cui la migrazione è vista dai diversi Stati membri. Ma il mio punto chiave è che nessun Paese può affrontare una sfida da solo. Solo lavorando insieme possiamo avere successo. E per questo, credo sia assolutamente necessario esercitare una forte pressione sulle istituzioni europee e sugli Stati membri per arrivare a un approccio comune.

Sulla base dei dati raccolti e delle aree che state monitorando specificamente in Europa, ci sono luoghi che vi preoccupano in questo momento?

Abbiamo avuto una crisi molto grave in Bielorussia, al confine con la Polonia. E ho detto molto chiaramente che condanniamo qualsiasi tipo di strumentalizzazione di migranti e rifugiati da parte di uno Stato per fini politici. Questo tipo di situazioni non può ripetersi. Non possiamo accettare che vengano illuse persone in preda alla disperazione con l'idea di passaggi semplici e veloci verso un altro Paese o verso l'Europa. È una violazione del diritto internazionale, una violazione dei diritti fondamentali di migranti e rifugiati. E ciò che è accaduto l'anno scorso non può ripetersi.

Se parliamo di una lezione positiva che l'Europa ha mostrato al mondo nell'affrontare le rotte migratorie - e le opzioni legali per gli spostamenti delle persone - direi che la guerra in Ucraina è un buon esempio di ciò che si può fare quando i Paesi si uniscono e cercano di trovare un piano coeso. Ma ci sono state molte critiche a riguardo, perché alcuni - e cito attivisti e operatori umanitari - hanno detto che sembrava dipendesse da un doppio standard. Quando i rifugiati ci assomigliano, quando hanno la nostra stessa religione, allora vengono accolti. Cosa risponde a questo?

Credo che l'uso della Direttiva sulla protezione temporanea, che ho proposto quando ero commissario nel 2020 e che è stata poi approvata, si sia rivelato uno strumento molto efficace di solidarietà e sostegno. Ma è una situazione molto impegnativa, perché hai a che fare con persone traumatizzate dalla guerra, vulnerabili agli abusi e allo sfruttamento, in particolare donne e bambini. E devi trovare le risorse necessarie per sostenere una permanenza prolungata nei Paesi di accoglienza, perché ora siamo già a più di un anno dall'inizio dell'invasione russa e le prospettive di ritorno in Ucraina non sembrano dietro l'angolo, perché le persone potranno tornare solo quando saranno soddisfatte le condizioni di sicurezza per la ricostruzione dell'Ucraina, di cui ci sarà grande bisogno.

In questo momento le crisi sono molteplici, ma ce n'è una che incombe su tutte le altre: il cambiamento climatico. Ormai è da un po' che si parla di come il clima potrebbe essere la prima causa di spostamento delle persone in futuro...Ma abbiamo circa 20 milioni di persone sfollate ogni anno a causa di questi fenomeni... Lei ritiene che i governi comprendano la sfida che li attende e stiano adottando misure per cercare di trovare un sistema almeno per accogliere queste persone che sono costrette a spostarsi, a fuggire dalle loro case?

Ci sono più persone sfollate a causa dei cambiamenti climatici che a causa di conflitti, senza considerare che ci sono molti Paesi vulnerabili al clima che hanno anche conflitti in corso al loro interno. Quindi i due elementi vanno di pari passo, interagiscono e sono fattori scatenanti degli esodi. Nell'ultimo decennio le persone colpite dal cambiamento climatico sono state 20 milioni all'anno, per esempio. Queste persone sono, per il momento, principalmente sfollati interni, ma prima o poi attraverseranno un confine internazionale e diventeranno, diciamo così, migranti climatici. Ecco perché le conclusioni di Sharm el Sheikh sono state importanti, perché per la prima volta nella COP 27 è stato riconosciuto che il cambiamento climatico ha un impatto già oggi nel costringere le persone a spostarsi. E noi dobbiamo fornire loro un'assistenza di primo soccorso e poi trovare soluzioni durature per il futuro.

**Ma quanto siamo lontani da questo? Voglio dire, una cosa è riconoscere che sì, effettivamente c'è un problema, ma quanto manca prima che questo si traduca in azione? E secondo lei, abbiamo questo tempo?
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Dobbiamo agire con urgenza sia in termini globali sul cambiamento climatico sia in termini concreti nelle regioni più vulnerabili del mondo. E naturalmente, per farlo, dobbiamo puntare sull'adattamento, sulla mitigazione e sulla costruzione di resilienza delle comunità. Molti Paesi stanno già adottando queste misure, ma lo sforzo richiesto va oltre le loro capacità. È quindi necessaria una mobilitazione della comunità internazionale per sostenere questi Paesi.

Journalist • Michela Morsa

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