Iran, proteste ed esecuzioni nel "novembre di sangue"

Per le strade di Teheran colonne di fumo e centinaia di manifestanti ancora in piazza. Non si placa la rabbia contro quelli che sono stati definiti gli eccessi del regime.
In quello che è stato definito il “novembre di sangue” la magistratura iraniana firma le condanne a morte contro le persone arrestate durante le proteste antigovernative in corso da circa due mesi in tutto il Paese. Altre tre persone sono state impiccate. Chi con l’accusa di aver ucciso un poliziotto e chi con l’accusa di aver danneggiato proprietà pubbliche e seminato terrore.
Ovunque vengono segnalati scontri con le forze di sicurezza mentre le donne sventolano il velo per ricordare la morte di Mahsa Amini, la giovane di 22 anni morta per mano della polizia dopo essere stata arrestata per aver indossato l’hijab in modo non corretto.
Altre persone negli ultimi giorni sono state condannate al carcere, mentre, secondo le organizzazioni per i diritti umani, le persone arrestate dall’inizio delle manifestazioni di metà settembre sono circa 16mila. Preoccupa la sorte di una ragazza di 16 anni trattenuta in carcere da cinque giorni per essere interrogata dopo essere stata arrestata nella città di Bani Naim. Secondo l’Ong Iran Human Rights la brutale repressione delle proteste ha causato finora almeno 326 morti.
Ancora proteste e scioperi
Nonostante la repressione proseguono gli scioperi nei mercati e le proteste nelle università.
Oltre alle dimostrazioni per Mahsa, sono in corso le proteste per commemorare le oltre 1500 persone morte nel novembre 2019, nella repressione nota come "Novembre di sangue", innescata dall'aumento del prezzo del carburante. E su Telegram, nonostante la censura, si moltiplicano i video che invitano alla rivoluzione.