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Di Diego Malcangi
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Qualcuno crede seriamente che possa tornare il fascismo? O piuttosto, siamo passati in meno di un secolo dal regime totalitario al nulla totalizzante?

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C'è chi dice di temere un ritorno del fascismo, ma ve lo vedete Mussolini intento a farsi un selfie, a postare ogni parola e a contare i like? Mutatis mutandis, è comunque difficile immaginare per oggi o domani, in Italia o altrove in Occidente, un regime totalitario: è nullitario, il regime che si sta imponendo.

E potrà essere totalitario solo se e quando qualcuno avrà deciso di servirsi di un nulla totalizzante. Fusaro attribuirebbe certamente questa responsabilità al "turbo-capitalismo", capace di servirsi di una malintesa modernità, dei social de-socializzanti, per imporre un pensiero unico e funzionale a chi comanda. Ne siamo ancora lontani.

Nota bene: non si intende qui attribuire a una qualsivoglia parte politica maggiore o minore capacità o validità della proposta. E la scelta della fotografia è puramente illustrativa. Non si parla di contenuti politici, ma solo di come negli ultimi anni si sia imposta la comunicazione social e dei danni che possa causare se e quando l'uso di questi canali di comunicazione sia sproporzionato o addirittura esclusivo. Il "nulla" di cui parliamo non è attribuito a una persona o un partito, ma a un quadro di social-dipendenza nella comunicazione politica e non solo. E nemmeno ne attribuiamo ai politici la responsabilità, è un fenomeno storico e sociale. Così come siamo lontanissimi dal condannare o anche solo criticare i giornalisti che liberamente scelgono l'impegno in politica. Li abbiamo menzionati per dire di una sostanziale irrilevanza del loro profilo professionale quando si tratta di comunicare "dall'interno" la politica.

Macché regime...

Non certamente Salvini, né Berlusconi prima di lui: non imporranno olio di ricino e manganelli, che dovrebbero essere portati e usati e abusati dagli stessi poliziotti che postano le foto di un interrogatorio con benda, nuova specialità dei cattivi di provincia.

Migliaia di persone che urlano in coro "Matteo" come prima urlavano ... "Matteo", e prima ancora "Silvio" e ancor prima "Romano"... No, Romano no. Altri tempi. E nemmeno gridavano "Benito", all'epoca. La folla gridava "Duce".

Vero che oggi non si potrebbe fare allo stesso modo (che gridi? "Ministro dell'Interno"? "Presidente del Consiglio"?), ma anche potendo non si farebbe, perché oggi, nell'Italia del "tu" e del "ragazzi" ad ogni costo ed ogni età, è invalso l'uso del prenome ed è figlio dei leader in maniche di camicia, di un rapporto con la politica che si vuole più vicino al "cittadino comune" e che ha però nello stesso tempo imposto la costante ricerca di un leader "carismatico", o meglio la costruzione di una figura che possa apparire carismatica.

E più si è ristretta la base democratica dei partiti più è cresciuto il numero di comunicatori al loro interno.

Ma quanti giornalisti?

Quelli pagati - i tecnici - e quelli eletti. È anche vero che ci sono sempre stati: per esempio erano giornalisti Ivanoe Bonomi e poi Giuseppe Bottai, e lo stesso Mussolini, ma oggi forse sono un po' di più. Tra chi ha governato potremmo menzionarne molti, dalle regioni (Caldoro che governò la Campania o Marrazzo nel Lazio, e poi Storace e Polverini, se contano anche i giornalisti di testate di partito. O Musumeci in Sicilia, per esempio) fino al governo centrale: D'Alema, Veltroni, Salvini. Giornalisti che hanno scritto per i giornali di partito, d'accordo.

Ma in Parlamento possiamo citare Carelli, Di Nicola, Paragone, tutti del M5S (che detestava i giornalisti) e c'è mancato poco che venisse eletto anche Giarrusso. E poi Mulè, Cangini, Casciello, Cerno, Sensi...

E se guardiamo all'Europa, David Sassoli ormai alla guida dell'Europarlamento, dove sedeva anche Lilli Gruber e dove siedono tra gli altri anche Sabrina Pignedoli e... Dino Giarrusso, che non ce l'aveva fatta l'anno prima alla Camera e ci ha riprovato, sempre con i cinque stelle, per Strasburgo.

In sintesi, praticamente tutti i partiti presenti in tutte le testate. Quando non con giornalisti, con gli editori.

È perfettamente naturale, quella dei giornalisti è una categoria che si interessa alla politica, il passaggio è abbastanza semplice ed è difficile immaginare che i partiti scelgano dei giornalisti per infiltrare le testate: non serve.

Potrebbe servire, ma non se ne servono affatto.

Politica piazza e social

Da Renzi in poi è tutto piazza e social, l'intermediazione della stampa è progressivamente saltata. Il Movimento Cinque Stelle aveva saputo separare il leader "carismatico" (Grillo) da quello politico, depurando in qualche modo la scelta politica. Ed era interessante il tentativo di spingere l'e-democrazia in un Paese in cui un terzo della popolazione non ha internet e metà non è presente nei social (ricerca PEW 2017), ma i numeri estremamente bassi dei partecipanti ad ogni tele-voto grillino lasciano pensare che l'esperimento sia fallito.

Così come sembra un tentativo abortito quello del "tutto trasparente", che era iniziato con il "dialogo/interrogatorio" con/a Bersani, in streaming. E lì forse è finito, anche se non si è proprio tornati alle segrete stanze. Sono piuttosto secrete istanze, giacché ogni momento, ogni pensiero è immediatamente postato, se possibile in diretta.

E di questo è diventato campione Salvini. Sia perché ha saputo circondarsi di persone che lo sanno fare, sia perché si muove costantemente. E ovviamente dietro di lui tutti all'inseguimento.

Che ne so, di quello che penso?

Molti anni fa lessi su un muro di una cittadina tedesca: "come faccio a sapere quello che penso, se prima non ho sentito quello che dico?"

Ci si può legittimamente chiedere perché una persona sana di mente debba scrivere una riflessione del genere su di un muro, ma il fatto è che sul nostro "muro" di Facebook si affastellano, minuto per minuto, riflessioni e polemiche e stupidaggini in ordine sparso. E oggi la frase giusta sarebbe: "come faccio a sapere quello che penso, se prima non ho visto quanti like ha ricevuto il mio post?"

L'immediatezza della comunicazione non aiuta il pensiero complesso, e la politica è complessa ed è visione e progetto. Non può essere ridotta alla comunicazione, a meno che non si riduca la politica al momento elettorale.

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Quello che vediamo oggi è un tutto de-istituzionalizzato, postato-twittato-sharato-laikato tanto da essere vicino a tutti e capito da nessuno. È tutto e niente nello stesso tempo, e nemmeno sono più i leader politici a dominare il tritacarne globale dell'informazione social.

È il nulla che si fa regime: sorridete, siamo nel selfiestan!

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