Un'immagine simbolo del disastro in corso negli oceani
C'è un sacchetto di plastica perfino nel punto più inarrivabile della terra, a 10898m di profondità, nella depressione oceanica conosciuta come Fossa delle Marianne.
Lo rivela uno studio del Global Oceanographic Data Center (GODAC) della giapponese Agency for Marine-Earth Science and Technology (JAMSTEC) che ha fotografato, filmato e archiviato i detriti inquinanti dell'uomo presenti nelle profondità del mare tramite sommergibili fin dal 1983.
L'inquinamento di plastica nei mari e negli oceani è una delle più serie minacce per l'ecosistema. I danni causati dai detriti negli animali, anche di grossa taglia, che li ingeriscono accidentalmente o ne rimangono impigliati - oltre ai rischi posti dalle sostanze chimiche tossiche rilasciate - sono ben documentati dalla letteratura scientifica.
Come si legge su Marine Policy (qui il link Science Direct), sebbene spesso ci si concentri sull'inquinamento nei tratti marini meno profondi, anche quello in alto mare è un problema serio. Esistono solo pochi casi di osservazioni a lungo termine sull'inquinamento plastico in acque profonde e di indagini condotte a profondità superiori a quelle abissali (> 4mila metri) o in zone situate a più di mille chilometri dalla costa continentale.
Il sacchetto in questione, ritrovato a quasi 11mila metri di profondità, fu individuato per la prima volta circa 20 anni fa, nel maggio del 1998: allora era quasi intero e oggi è ancora lì, sfilacciato e frammentato. "In sostanza, per i giapponesi, siamo riusciti a rovinare anche l'irraggiungibile", scrive Repubblica.
I ricercatori hanno trovato 3415 detriti umani in 5010 immersioni: i materiali sono plastici nel 33% dei casi, metallo nel 26% e gomma (1.8%). L'89% dei prodotti di plastica rinvenuti sarebbero monouso. Intorno ai 6.000 metri che si registra la densità maggiore di plastiche (che sfiora il 52%).
"Si stima che la plastica rimanga potenzialmente per centinaia - migliaia di anni una volta depositatasi nelle profondità del mare, dove non c'è luce UV né turbolenza", si legge nello studio.
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