Il Covid-19 potrebbe porre fine al divieto del burqa in Europa

Il Covid-19 potrebbe porre fine al divieto del burqa in Europa
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Di Marta Rodriguez MartinezVeronica Sarno
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"Qual è la differenza tra il coprirsi il viso per motivi religiosi e farlo per motivi di salute?” Moana Genevey, responsabile delle politiche di genere presso Equinet, riassume la contraddizione in una domanda: "e in quali casi è accettabile o meno?"

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In Francia chi non indossa la mascherina può incorrere in una multa fino a 135 euro. Eppure se una donna si copre il volto con un burqa o un niqab, rischia una multa anche di 150 euro. Questo è il paradosso messo in luce dall’epidemia di Covid-19 nei paesi europei che vietano il velo integrale. "Qual è la differenza tra il coprirsi il viso per motivi religiosi e farlo per motivi di salute?". Moana Genevey, responsabile delle politiche di genere presso Equinet, riassume la contraddizione in una domanda: "E in quali casi è accettabile o meno?".

Un nuovo "vivere insieme"

Nel 2014 la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) ha respinto le argomentazioni della Francia sul divieto di indossare il velo integrale in pubblico per motivi di sicurezza pubblica e tutela della parità di genere. Tuttavia ha accolto la tesi per cui il velo integrale costituisce una violazione del principio francese del "vivere insieme" ("le vivre ensemble"), confermando il divieto. Tre anni dopo anche due donne belghe hanno presentato il loro caso alla CEDU, sostenendo che il cosiddetto "burqa ban" costituisce una violazione dei diritti umani. Samia Belcacemi aveva smesso di indossare il velo in pubblico, temendo di finire in prigione o di essere multata, mentre Yamina Oussar si vedeva costretta a restare a casa. Analogamente, la CEDU ha stabilito che il Belgio non aveva violato alcun diritto alla libertà di religione o alcuna legge sulla discriminazione, in quanto aveva il diritto di imporre restrizioni per garantire il principio del "vivere insieme".

Nel caso S.A.S. c. Francia, la violazione del concetto di "le vivre ensemble" è definita come "un rifiuto della fraternità, che costituisce la negazione del contatto con gli altri". Tuttavia, il "vivere insieme" precedente al Covid-19  ha poco a che vedere con l'attuale convivenza nei Paesi europei, basata com'è sul distanziamento sociale. "Il discorso è completamente cambiato e si richiede alle persone di coprirsi il volto per poter vivere insieme in una società democratica", afferma Jone Elizondo Urrestarazu, responsabile delle politiche e degli affari legali di Equinet. "Vivere insieme non ha più lo stesso significato, quindi forse è il momento di ripensare alla volatilità di questa argomentazione", aggiunge Elizondo. Genevey sostiene che il Covid-19 ha evidenziato il problema: "Alcune donne si chiedevano se il divieto sarebbe stato applicato a loro nel contesto della pandemia. Ora la domanda è: torneremo alla normalità dopo?".

Covid-19 e sicurezza pubblica

Il Belgio è uno dei Paesi europei in cui è vietato coprirsi il volto con qualsiasi pezzo di stoffa, ma l'uso della mascherina è ormai obbligatorio. Il cosiddetto "burqa ban" è stato introdotto per la prima volta in Belgio nel 2011, bandendo in pubblico qualsiasi indumento che copra il viso al punto da nascondere l'identità di un individuo. Tra le principali motivazioni addotte figura la necessità che "le persone negli spazi pubblici siano 'riconoscibili' e 'identificabili' per motivi di sicurezza pubblica". Sono ammesse eccezioni per adempiere a regolamenti lavorativi o per festeggiamenti, ma non per motivi di salute.

Ciononostante, a causa dell'emergenza sanitaria, questo principio di sicurezza pubblica sembra essere passato in secondo piano. "A breve termine potremmo assistere a un aumento dei reati comuni, poiché è più difficile identificare qualcuno che indossa la mascherina", spiega il professor Kenneth Lasoen, esperto di intelligence e sicurezza. "Per gestire la situazione, le amministrazioni locali stanno investendo in telecamere a circuito chiuso per monitorare chi indossa la mascherina in strada". Tuttavia, aggiunge Lasoen, non ci sono ancora statistiche che indichino che la criminalità è in aumento.

A lungo termine, continua, emergono preoccupazioni più ampie per quanto riguarda l’ordine pubblico: "È molto probabile che ci troveremo di fronte a una sfida costituzionale, poiché la situazione attuale crea un precedente per le persone che vogliono indossare in pubblico qualsiasi tipo di indumento che copra il volto", a prescindere dalle implicazioni sanitarie. Per le strade alcuni cittadini belgi mettono in dubbio il legame tra l'attuale emergenza e il divieto di altri tipi indumenti per coprire il viso, compreso il burqa.

"Capisco perché alcuni potrebbero fare un simile paragone, ma stiamo parlando di due situazioni diverse", dice Vanessa, una studentessa di 21 anni. "Indossare una mascherina non ha nulla a che vedere con la possibilità di coprirsi il viso con il burqa". La sua amica Victoria, 20 anni, è d'accordo. "È diverso, stiamo vivendo una crisi sanitaria mondiale, e le mascherine vanno usate per la salute di tutti, non si tratta solo della religione di qualcuno". Stephanie, un'insegnante di 40 anni, pensa che "per alcune persone, non poter vedere un volto potrebbe risultare inquietante, o addirittura spaventoso".

"In Tunisia mi sentivo un po' turbata quando vedevo donne che indossavano il burqa, perché non riuscivo a indovinarne i lineamenti", concorda Samia, un'expat a Bruxelles. "Mi sentivo anche un po' in colpa, perché forse erano loro a non sentirsi a proprio agio con me che non indossavo affatto il velo". Samia non crede che il confronto tra mascherine e veli integrali sia pienamente valido, perché "con una mascherina si possono ancora vedere i lineamenti, e se la persona è una donna o un uomo".

"In linea di principio, non si dovrebbero reprimere i diritti delle persone per motivi di pubblica sicurezza", sostiene Samia. "I Paesi europei dovrebbero trovare il modo di ridurre al minimo i problemi di sicurezza senza stigmatizzare una parte della popolazione e impedir loro di indossare ciò che vogliono".

Virginia Mayo/Copyright 2020 The Associated Press
Le persone indossano maschere protettive per il viso mentre camminano nella Grand Place nel centro storico di Bruxelles, mercoledì 12 agosto 2020.Virginia Mayo/Copyright 2020 The Associated Press

Un problema di diritti delle donne?

"Se il divieto del burqa è giustificato solo da motivi religiosi, è una legge discriminatoria", sostiene Moana Genevey. "E non possiamo ignorare che si tratta di qualcosa che riguarda un gruppo intersezionale, costituito da donne che professano una certa religione", aggiunge la dottoressa Elizondo. Il divieto riguarda una minoranza in Europa: meno dell'1% delle donne musulmane indossa un burqa o un niqab. "È ironico come queste misure avrebbero dovuto liberare ed emancipare le donne musulmane che hanno scelto di indossare il niqab, ma hanno finito per limitarle", dice Sanja Bilic, responsabile delle attività e delle politiche del Forum europeo delle donne musulmane.

"Alcune donne continuano ad uscire e a pagare multe. Altre hanno deciso di rimanere a casa. Prima del divieto, erano cittadine attive, partecipavano alla vita della loro comunità e hanno dovuto smettere di farlo dopo l'entrata in vigore del divieto". Per la dottoressa Bilic il problema non è il niqab o l'hijab in sé, ma il fatto che questi divieti "criminalizzano un capo d'abbigliamento e nessun altro capo d'abbigliamento è criminalizzato in Europa. Questo divieto è problematico e porta all’islamofobia e a un'islamofobia di genere, perché colpisce solo le donne musulmane".

Inoltre, osserva, il divieto sta generando una crescente intolleranza verso le donne che indossano un hijab, come nel caso di una deputata francese che ha abbandonato una riunione di consultazione perché una leader di un sindacato studentesco indossava l'hijab. Alcuni sostengono che queste donne sono costrette a indossare un niqab o un burqa dalle loro famiglie o dalle loro comunità. E che non siano loro a decidere di rimanere a casa perché non possono indossare il burqa in pubblico.

"C'è sempre una componente di pressione sociale, anche quando non è determinata dalla religione" sostiene Bilic. "Dovremmo intervistare ogni donna per conoscerne le motivazioni, ma credo che qui in Europa, se dovessero essere costrette a indossare il burqa o il niqab, abbiano gli strumenti e la libertà di cercare aiuto". "Nel contesto europeo, nessun altro gruppo di donne, in particolare quelle provenienti da minoranze e di religione non cristiana, verrebbe criticato per la propria capacità e facoltà di scelta, eppure le scelte delle donne musulmane sono sempre trattate con diffidenza".

Genevey sostiene che vietare il burqa sia il contrario del femminismo: "Fingere di liberare le donne non permettendo loro di accedere allo spazio pubblico è una contraddizione fondamentale".

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