La Corte costituzionale ha ritenuto infondati i rilievi mossi dal governo alla legge che introduce un salario minimo per le ditte che vogliono concorrere all'aggiudicazione di appalti pubblici in Puglia
La legge che istituisce una salario minimo in Puglia per i contratti legati ad appalti pubblici non è incostituzionale. È stato respinto dalla Consulta un ricorso che era stato presentato dal governo di Giorgia Meloni contro la normativa approvata dal Consiglio regionale nel novembre del 2024.
Perché la Corte costituzionale ha respinto il ricorso del governo sulla normativa della Puglia
La disposizione non introduce un salario minimo generalizzato, ma impone tra i criteri di selezione delle ditte che concorrono per aggiudicarsi appalti pubblici le caratteristiche dei contratti applicati ai lavoratori. In particolare, gli inquadramenti dovranno risultare appropriati e le remunerazioni dovranno essere di almeno 9 euro lordi l'ora. Pena, appunto, l'esclusione dai bandi.
Non sarà dunque impossibile pagare di meno da parte delle aziende. Tuttavia, si presuppone che per lo meno una certa quota di imprese preferirà adeguarsi al minimo previsto, per poter continuare ad aggiudicarsi appalti pubblici.
Infondati i rilievi dell'esecutivo in merito agli articoli 36, 39 e 117 della Costituzione
Le motivazioni addotte dalla Corte costituzionale sono contenute nella sentenza numero 188 del 16 dicembre 2025. Il governo aveva eccepito che la legge regionale (la n. 30 del 2024) avrebbe violato l'art. 36 della Costituzione, "in quanto l’ordinamento non prevederebbe un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti". E anche l'art. 39 della Carta, per presunta "violazione dei parametri che la norma costituzionale prevede a presidio dell’autonomia della contrattazione collettiva”.
L'esecutivo aveva inoltre indicato che la direttiva 2022/2041 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 ottobre 2022, relativa ai salari minimi adeguati nell'Unione europea, "se pure finalizzata a garantire condizioni dignitose ai lavoratori dell’Unione, non fisserebbe una soglia retributiva minima, riconoscendo la possibilità che sia la contrattazione collettiva a individuare i livelli salariali minimi nei singoli settori”.
In Italia continua a mancare un salario minimo nazionale, presente in 22 dei 27 Paesi membri dell'Ue
Secondo la Consulta, tuttavia, i rilievi avanzati dal governo non sono fondati, e pertanto la normativa regionale può rimanere in vigore. Allo stesso modo, non sono state accolte le censure legate all'art. 117 della Costituzione, che a partire dalla riforma del Titolo V del 2001, distribuisce le competenze tra Stato e Regioni.
"Il ricorrente - ha sentenziato la Corte - prospetta una violazione della competenza legislativa esclusiva statale in materia di ordinamento civile senza considerare che la disciplina regionale impugnata afferisce alla sfera dei contratti pubblici".
In Italia, in ogni caso, continua a mancare una legge nazionale che introduca un salario minimo: nell'Unione europea, sono soltanto cinque i Paesi che non hanno una disciplina di questo tipo. Di recente, la Corte di giustizia europea ha dichiarato valida la direttiva europea sul salario minimo adeguato, respingendo un ricorso della Danimarca: gli Stati membri devono ora accelerarne l’attuazione.