Accuse di terrorismo, corruzione e falsificazione. La repressione colpisce il principale partito d’opposizione alla vigilia delle primarie presidenziali
È un terremoto politico e giudiziario quello che scuote la Turchia nelle ultime settimane. Undici sindaci del Partito Popolare Repubblicano (CHP), principale forza d’opposizione al presidente Recep Tayyip Erdoğan, sono finiti in carcere con accuse che vanno dal terrorismo alla corruzione, passando per l’ormai celebre caso del “diploma falso” che coinvolge direttamente Ekrem İmamoğlu, sindaco della municipalità metropolitana di Istanbul (İBB) e figura simbolo dell'opposizione.
Martedì 3 giugno, nell’ambito della cosiddetta “quinta ondata” di arresti contro amministratori locali legati all’İBB, sono stati fermati altri cinque sindaci: Hasan Akgün (Büyükçekmece), Hakan Bahçetepe (Gaziosmanpaşa), Utku Caner Çaykara (Avcılar), Kadir Aydar (Ceyhan) e Oya Tekin (Seyhan). Con questi ultimi arresti, il numero totale dei sindaci CHP in carcere sale a undici.
İmamoğlu, un leader sotto assedio
La vicenda più eclatante riguarda senza dubbio Ekrem İmamoğlu. Il suo arresto è avvenuto il 19 marzo, a quattro giorni dalle primarie del CHP per la candidatura alla presidenza, in cui era l’unico sfidante. La procura di Istanbul ha mosso accuse pesanti: corruzione, legami con il terrorismo e falsificazione di documenti, tra cui il suo diploma universitario, poi annullato dal consiglio dell’Università di Istanbul il 18 marzo.
L’operazione contro di lui ha visto l’impiego di centinaia di agenti davanti alla sua abitazione. In un video pubblicato sui social, İmamoğlu ha denunciato “una grande tirannia” e promesso di non arrendersi: “Vogliono zittirmi perché non possono battermi politicamente”.
Una lunga serie di arresti
Il primo caso risale al 30 ottobre 2024, quando Ahmet Özer, sindaco CHP di Esenyurt, è stato arrestato con l’accusa di appartenere al PKK/KCK, organizzazione considerata terroristica da Ankara. Da allora, gli arresti si sono susseguiti:
13 gennaio 2025: Rıza Akpolat (Beşiktaş) arrestato per corruzione e appartenenza a un’organizzazione criminale.
3 marzo 2025: Alaattin Köseler (Beykoz), accusato di manipolazione d’asta.
19 marzo 2025: oltre a İmamoğlu, finiscono in manette anche Resul Emrah Şahan (Şişli) e Murat Çalık (Beylikdüzü), con accuse che variano dal sostegno al terrorismo all’estorsione.
Dopo l’arresto di İmamoğlu, il Ministero degli Interni lo ha sollevato dall’incarico. Stessa sorte per Şahan e Çalık. In alcuni casi, il governo ha già nominato commissari straordinari: a Esenyurt, ad esempio, il vicegovernatore Can Aksoy è stato nominato fiduciario.
La linea dura della procura
Le indagini contro İmamoğlu si sono intensificate dopo una serie di dichiarazioni pubbliche contro l’establishment giudiziario. Il 20 gennaio, durante un panel, aveva accusato il procuratore capo di Istanbul Akın Gürlek di servire interessi politici: “La sua mente è marcia”, aveva detto, promettendo di “liberare anche i suoi figli da questo sistema”.
Parole forti, che hanno innescato un’inchiesta per “minacce a pubblico ufficiale”. Una settimana dopo, in un’altra conferenza stampa, İmamoğlu ha ironizzato sulle indagini con un titolo provocatorio: Il più grande dei ravanelli. Ancora una volta, la procura ha aperto un fascicolo.
Il peso politico degli arresti
Le detenzioni hanno avuto un impatto politico rilevante. In particolare, l’arresto di İmamoğlu proprio nel giorno delle primarie del CHP (23 marzo) ha sollevato forti sospetti su un uso strumentale della magistratura per colpire l'opposizione. Il suo avvocato, Fikret İlkiz, ha denunciato “un accanimento giudiziario senza precedenti”. Il tribunale ha rigettato l’arresto per terrorismo, ma ha convalidato quello per corruzione.
Non è ancora stato depositato alcun atto d'accusa formale, e i dettagli delle indagini restano in gran parte riservati. Il sindaco di Esenyurt Ahmet Özer è attualmente il detenuto politico di più lunga data: in carcere da oltre sette mesi.
Una crisi democratica
L’ondata repressiva contro i sindaci CHP, tutti eletti con largo consenso popolare, solleva interrogativi sulla tenuta democratica del sistema turco. L’opposizione denuncia una “giustizia a orologeria”, mentre da Bruxelles e Washington arrivano i primi segnali di preoccupazione.
Per ora, la risposta del governo è il silenzio. Ma le immagini dei municipi commissariati, delle manette ai sindaci, e del volto di İmamoğlu dietro le sbarre rischiano di trasformarsi in un boomerang mediatico in vista delle elezioni presidenziali del 2026.