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Ue, Vestager: "Servono più donne nella Commissione europea"

Ue, Vestager: "Servono più donne nella Commissione europea"
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Di Maïa de La Baume
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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La politica danese si appresta a lasciare Bruxelles, dove è stata per quasi dieci anni commissario alla Concorrenza. Abbiamo parlato con lei di parità di genere, regolamentazione dei servizi digitali, concorrenza e investimenti europei nel settore tecnologico

È una delle donne più potenti dell'Unione europea. È nota per aver sanzionato con multe miliardarie i giganti tecnologici statunitensi. L'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump l'ha definita la signora delle tasse. Margrethe Vestager, vicepresidente della Commissione europea, che presto saluterà Bruxelles dopo essere stata responsabile della concorrenza e delle politiche digitali per quasi dieci anni, è ospite di The Global Conversation.

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, svelerà presto i nomi dei 27 candidati alla carica di commissario europeo. Sembra che una decina di candidati su 27 siano donne. Il Parlamento europeo, dopo le elezioni di giugno, ha registrato il più grande calo percentuale della rappresentanza femminile dalle prime elezioni dirette del 1979. Cosa pensa di questo passo indietro e cosa direbbe a von der Leyen?

Credo, purtroppo, che questo smascheri la mancanza di sforzi per quanto riguarda le pari opportunità e l'equilibrio di genere. Ursula von der Leyen ha posto una domanda, credo del tutto legittima. Datemi due candidati, un uomo e una donna. Poi comporrò la mia Commissione. In modo che ci sia un equilibrio di genere e che le persone abbiano le competenze necessarie. Ogni Primo Ministro mette insieme il suo governo. Lei chiede solo due persone tra cui scegliere. Penso che sia davvero un peccato che gli Stati membri non seguano il suo esempio e non le diano l'opportunità di creare la migliore Commissione possibile, di renderla equilibrata dal punto di vista del genere. Stavamo facendo dei progressi. Stavamo dimostrando che una Commissione equilibrata dal punto di vista del genere è in grado di svolgere un lavoro senza precedenti, come abbiamo fatto in questo mandato sotto la guida di Ursula von der Leyen.

Perché è importante avere più donne nella Commissione?

Innanzitutto per un semplice atto di equità: entrambi i sessi dovrebbero partecipare alla leadership. In secondo luogo, quando ci si trova in una situazione così disastrosa come quella in cui ci troviamo - con molteplici crisi e sfide da affrontare, come il costo della vita e la sicurezza economica - si dovrebbe attingere al talento di entrambe le metà della popolazione e non concentrarsi solo quella maschile. C'è bisogno di tutto il talento a disposizione e che le diverse esperienze di vita si riflettano nella Commissione. Bisogna mostrare ai ragazzi e alle ragazze che cos'è la leadership: ovvero uomini e donne che lavorano insieme.

L'estrema destra è in ascesa ovunque in Europa. Lo abbiamo visto domenica in Germania con l'AfD. Non teme che un maggior numero di governi di estrema destra possa minare i vostri sforzi di regolamentare il settore tecnologico?

La cosa positiva è che, in questo momento, abbiamo una legislazione in vigore. Abbiamo una legislazione molto forte: la normativa sui mercati digitali assicura che il mercato sia aperto ed equo, mentre la normativa sui servizi digitali assicura che i servizi siano sicuri e preserva la libertà di parola. Credo che sia stato mantenuto un equilibrio importante. Quindi, anche se un governo fosse ostile ad alcuni dei nostri sforzi, la legge è la legge. Siamo un'unione costruita sullo stato di diritto. Quindi credo che sarà molto difficile far cambiare rotta al percorso che abbiamo intrapreso per assicurarci che i servizi digitali siano effettivamente un servizio, e non qualcosa da cui si diventa dipendenti e che rende la vita difficile o che viene usato per minare la nostra democrazia.

Quindi non teme le possibili conseguenze dell'ascesa dell'estrema destra per quanto riguarda il settore tecnologico?

Sì, se riusciranno a cambiare la legislazione nazionale. La normativa sui servizi digitali non dice cosa sia giusto o sbagliato, cosa si può dire e cosa no. La normativa stabilisce che bisogna dotarsi di un sistema che assicuri che i servizi di un Paese non siano dannosi. Abbiamo appena avuto un botta e risposta con Tik Tok: volevano lanciare un design che noi riteniamo dannoso. Alla fine non l'hanno lanciato in Europa: è un design che per noi crea dipendenza. Quindi ci sono degli obblighi. Ma per quanto riguarda tutto ciò che è dannoso, come incoraggiare il terrorismo, la violenza, le costruzione di bombe, l'abuso di minori, l'incitamento all'odio, è compito degli Stati membri valutarlo. Se uno Stato membro si tira indietro e dice "potete dire quello che volete sulle minoranze, potete incitare alla violenza", allora ci troviamo in un territorio inesplorato. Nell'ultimo decennio abbiamo fatto dei progressi: abbiamo proibito i discorsi d'odio, ci siamo assicurati che le minoranze possano partecipare in modo sicuro al dibattito. Ma tutto questo è di competenza degli Stati membri che, ovviamente, possono fare marcia indietro.

Molte delle vostre sentenze antitrust tra il 2014 e il 2019 sono state annullate in tribunale. Sappiamo che è in arrivo una sentenza definitiva sul vostro appello nel caso Apple. Secondo alcuni analisti lei ha assunto un ruolo meno importante nel secondo mandato. In retrospettiva, cosa ha imparato da queste battute d'arresto?

Si tratta di situazioni molto diverse. In generale vinciamo la maggior parte dei nostri casi. Abbiamo perso i casi che riguardavano alcuni Paesi che, secondo noi, avevano stipulato degli accordi con alcune grandi aziende, in base ai quali avrebbero potuto pagare meno tasse rispetto a tutti gli altri. Uno dei motivi per cui abbiamo avuto molti più casi di questo tipo nel primo mandato è perché volevamo vedere come i tribunali avrebbero valutato la questione. Invece di muoverci velocemente, volevamo vedere quale sarebbe stata la valutazione del tribunale. Parallelamente ai casi sugli aiuti di Stato a fini fiscali, alcuni Stati membri hanno modificato la propria legislazione per prevenire le scappatoie fiscali. La comunità internazionale ha preso provvedimenti, fissando un'aliquota minima di imposizione effettiva del 15%. In questo modo si pagano le tasse nei Paesi in cui si realizzano effettivamente i ricavi. Credo che abbiamo fatto dei progressi, anche se naturalmente per me sarebbe stato meglio vincere le cause. Se però consideriamo i casi di antitrust e quelli di cartello, in larga misura i tribunali danno ragione al nostro approccio.

Parliamo di concorrenza, visto che è di questo che si occupa. In questo momento, in Europa, è in corso un dibattito sulle norme e sulla politica della concorrenza, sulla necessità di rivederla e di riconsiderare il modo in cui Bruxelles gestisce le proprie politiche in materia. Ritiene che sia possibile trovare il giusto equilibrio tra la tutela del consumatore europeo, come avete fatto per molti anni, e il rafforzamento dell'industria europea? È un equilibrio possibile?

Dipende molto da cosa si intende per rafforzamento. Per me, ad esempio, significa poter scegliere un altro fornitore se il mio fornitore preferito non mi soddisfa. Significa avere possibilità di scelta. È questo che la concorrenza garantisce: avere molti fornitori tra cui scegliere, avere accesso a un mercato in cui ci sono molti fornitori a cui rivolgersi se uno di loro non ci soddisfa. Se si è davvero competitivi nel mercato globale, è perché si è esercitata la propria forza competitiva in patria. Penso che si possano fare diverse cose per rafforzare le aziende. Un buon esempio sono i progetti transfrontalieri che realizziamo. Abbiamo progetti per l'idrogeno, due per le batterie, due per la microelettronica, uno per il cloud e uno per la sanità. Si tratta di un investimento totale in innovazione all'avanguardia di 100 miliardi di euro. Quindi la stessa dimensione del nostro progetto di ricerca Horizon, ma in settori molto specifici dell'innovazione all'avanguardia. Questo aiuta le imprese europee a fornirci ciò che gli chiediamo. Credo sia un ottimo uso dei finanziamenti pubblici. Si tratta di una sorta di politica industriale che aiuta il mercato ad andare avanti senza limitare la concorrenza. Penso quindi che sia davvero importante non vedere queste due cose come in contraddizione tra loro, ma considerare la concorrenza come uno degli elementi che aiutano effettivamente l'industria a essere competitiva nel mercato globale.

Pensa che le regole sulla concorrenza debbano essere riviste?

È difficile rispondere, perché abbiamo preso le regole sulla concorrenza esistenti e abbiamo allargato il campo di applicazione, in modo da individuare non solo l'aumento dei prezzi, ma anche la mancanza di innovazione. Per esempio, se due aziende farmaceutiche vogliono fondersi e c'è il rischio che la più grande chiuda il settore innovazione della più piccola per proteggere i propri profitti, ovviamente ci preoccupiamo. Questo perché i consumatori non beneficeranno dell'innovazione nel settore sanitario e i pazienti potrebbero rimetterci. Si tratta di vecchie regole e continuiamo a spingere perché siano utilizzate in modo innovativo. Credo sia importante portare avanti questo punto.

La normativa sui servizi digitali chiede alle piattaforme di rimuovere i contenuti illegali. Ma quelli dannosi? Parlo di sessismo, disinformazione e discorsi d'odio. Sappiamo che da un Paese all'altro le definizioni possono cambiare. Cosa bisogna fare con i contenuti dannosi?

Innanzitutto penso che sia molto importante rendersi conto che abbiamo culture diverse, anche culture politiche diverse. In Danimarca, per esempio, il dibattito tra le persone è molto più duro che in Svezia, dove è molto civile. Eppure sono due Paesi vicini. È quindi molto importante poter fare affidamento su un sistema di controllo a livello nazionale. Quando si tratta di gestire i contenuti dannosi, siamo contenti se c'è un codice di condotta a cui fare riferimento, altrimenti diventa tutto molto difficile. Quello che chiediamo è di creare un sistema che permetta di gestire il problema. Poi spetterà ai tribunali nazionali dire "questo è effettivamente un contenuto dannoso, dovete occuparvene". C'è un dibattito politico acceso su questo tema, a volte sopra le righe, ma perfettamente legittimo.

L'arresto del fondatore di Telegram Pavel Durov in Francia. Sappiamo che non ha nulla a che fare con Bruxelles. Ma non crede che l'applicazione della legge contro i fondatori dei giganti tech possa funzionare solo se i vertici delle aziende sono personalmente responsabili? Mi riferisco, ad esempio, al fondatore di X, Elon Musk.

Per me sono in gioco due questioni diverse. C'è la nostra legislazione in materia di concorrenza, la normativa sui servizi, e poi c'è il diritto penale. Credo che si debba valutare con molta attenzione se si vogliono mischiare le due cose. Non credo che saremmo più efficaci se potessimo prendere di mira l'amministratore delegato di una certa azienda. Penso che sia davvero importante quello che facciamo qui: occuparci dei casi aperti e delle potenziali multe che possiamo imporre. La rapidità e le risorse che mettiamo in campo sono la chiave per produrre il cambiamento che i cittadini stanno aspettando. È ciò che è stato promesso a loro e ai loro figli.

L'approccio dell'Unione europea all'applicazione del norme per i servizi digitali è stato simile a quello dell'amministrazione Biden negli Stati Uniti. Le elezioni negli Stati Uniti si avvicinano: qual è il rischio se la candidata democratica Kamala Harris perdesse contro il candidato repubblicano? Sappiamo chi è, Donald Trump. Non teme che questo approccio negli Stati Uniti possa essere invertito se a vincere sarà Trump e che l'Europa e l'America prendano binari diversi?

È difficile dirlo. Prendiamo Kamala Harris: nella sua campagna elettorale sta dicendo che i prezzi devono essere accessibili; che bisogna guardare al livello di concentrazione per affrontare la crisi del costo della vita, che purtroppo è un tema attuale negli Stati Uniti. Penso che questo tema interessi a molte persone, a molti elettori che si trovano di fronte a prezzi in aumento e non capiscono perché non scendano con la stessa velocità con cui sono saliti. Quindi, in una certa misura, penso che questo sia un tema in cui potrebbe esserci un convergenza bipartisan, visto che una concorrenza leale è negli interessi degli elettori/consumatori. Non è una questione politica. Si tratta, insomma, di ascoltare le lamentele quotidiane di tante persone che devono vivere con un budget limitato.

Bruxelles è impegnata nella regolamentazione dell''intelligenza artificiale, come lei sa meglio di me. Perché non ci sono campioni europei in questo campo?

Non sono d'accordo con lei. Stiamo discutendo molto della legge in materia, visto che è la prima a livello mondiale. Ma abbiamo anche un programma di investimenti nell'intelligenza artificiale. Ingenti fondi, pubblici e privati, sono destinati all'innovazione nel settore. Stiamo consentendo alle aziende più piccole di utilizzare il nostro sistema di supercomputer. Ora ne abbiamo dieci, lo stato dell'arte a livello globale, da utilizzare per l'addestramento dell'intelligenza artificiale. L'azienda francese Mistral, per fare un esempio, è all'altezza delle migliori. Ci sono molte aziende che sviluppano intelligenza artificiale da inserire nei loro macchinari: apparecchiature sanitarie, automobili, macchinari per la produzione e altri tipi di veicoli. L'approccio europeo è un po' diverso da quello degli Stati Uniti. Tuttavia, non solo possiamo recuperare il ritardo, ma possiamo anche stabilire un'agenda per l'uso dell'Intelligenza artificiale, in modo che le persone possano effettivamente fidarsi della tecnologia, che viene utilizzata per servirle e non per controllarle. Quello europeo è un approccio molto forte e a prova di futuro.

Ma nell'elenco dei colossi del settore oggi non c'è nessuna azienda francese o italiana. Come si spiega?

La partita non è ancora finita. Credo che ci sia ancora molto da fare. Una delle cose che dobbiamo garantire affinché le aziende europee abbiano una possibilità di successo è l'accesso al capitale. Se non si ha accesso al capitale, non si può espandere la propria attività. È per questo che stiamo spingendo anche per avere più investimenti pubblici e privati e meno ostacoli da superare per accedere a questi investimenti. C'è un capitale privato inattivo là fuori che ha bisogno dell'incoraggiamento dei finanziamenti pubblici: bisogna fargli capire che condivideremo con loro parte del rischio per questi enormi investimenti. In questo talenti europei potranno avere la possibilità di partecipare alla corsa all'intelligenza artificiale.

La nuova Commissione nascerà presto. Qual è il suo consiglio al commissario che la sostituirà?

Penso a quando sono arrivata. Non ero specializzata in diritto della concorrenza: ho una formazione da economista e ho lavorato in politica per la maggior parte della mia vita. Ho cercato di non farmi intimorire o impressionare da tutti gli abili avvocati che mi circondavano, e di spingere per le cose che ritenevo davvero importanti: che il divertimento sta nel mercato e che la tecnologia dovrebbe servire i consumatori, non il contrario; che il mercato dovrebbe essere aperto perché se parlate una lingua comprensibile dalla gente, la gente sosterrà i vostri sforzi per assicurarvi che noi, in quanto consumatori, siamo ben serviti dal mercato.

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