Polonia, restrizioni sull'aborto. E in Italia com'è la situazione?

Donne protestano per il rispetto della legge sull'aborto
Donne protestano per il rispetto della legge sull'aborto Diritti d'autore Gregorio Borgia/AP2008
Di Samuele Damilano
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L'ennesima restrizione del governo polacco sul diritto all'aborto è l'occasione per riflettere sulle difficoltà dell'applicazione della legge in Italia: almeno 15 ospedali contano il 100% di obiettori di coscienza. In Molise un solo ginecologo pratica l'Igv

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Gravidanze « registrate », ufficialmente per attuare una direttiva europea. In sostanza, sostengono attivisti e attiviste, per monitorare quante persone in Polonia scelgono di abortire all’estero (si stimano circa 4.000 al mese).

Il decreto del ministero della sanità polacco è solo l’ultimo passo di una morsa sempre più stretta sul diritto alle donne all’aborto, in un Paese in cui è questo garantito solo per stupro e incesto, ma non per malformazione del feto. 

Nell’Unione europea, solo Malta e Stato del vaticano sono gli Stati membri dove è vietata l'interruzione volontaria di gravidanza. Ma anche in Italia, dove è garantita dalla legge 194/1978, non sempre le donne possono usufruire di questo diritto, e la ragione principale consiste nell'alta percentuale di medici obiettori di coscienza.

Obiezione all'obiezione

Secondo il Global Abortion Policies Database 2018 dell’OMS, 22 Stati membri attualmente prevedono il diritto all’obiezione di coscienza sull’aborto.

Courtesy of “Mai Dati. Dati aperti sulla 194”. Fonte: Ministero della Salute italiano
Proporzione di ginecologi obiettori di coscienzaCourtesy of “Mai Dati. Dati aperti sulla 194”. Fonte: Ministero della Salute italiano

Nel “bel Paese” **ci sono 18 ospedali con il il 100 percento di ginecologi obiettori di coscienza,**stando alla mappatura, “194. Mai dati”, realizzata da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, presentata lo scorso ottobre dall’Associazione nazionale Luca Coscioni, in Italia . 

Si tratta di ginecologi che, come previsto dalla legge, si possono rifiutare di praticare l’interruzione di gravidanza. Che tuttavia, specifica lo stesso testo, deve essere comunque garantita nell’ospedale dove la donna si rivolga.

Una cosa non scontata, se a livello nazionale la percentuale di ginecologi obiettori è di circa il 68%, con differenze forti differenze tra regione e regione. 

Si va dall’esempio virtuoso dell’Emilia Romagna alla Sicilia, dove il ministero della Sanità, nella sua inchiesta annuale sul rispetto della legge 194, ha rilevato l'85 percento di obiettori di coscienza, o la Basilicata (88 percento). Ma la regione simbolo del parziale rispetto della legge 194 potrebbe essere il Molise. 

Qui l'inchiesta ministeriale ha rilevato l'’82,8 di obiettori, ma secondo il rapporto presentato dall'Associazione Coscioni si tratta di dati incompleti: sono 27,5 su 29 i ginecologi obiettori di coscienza, dunque più del 90 percento.

Michele Mariano, ormai conosciuto in quanto è di fatto l’ultimo a garantire l’applicazione della legge nella regione, è tra l’altro prossimo alla pensione, che ha dovuto posticipare perché non si riesce a trovare il sostituto.

Persone dietro ai numeri

Dietro l’enormità di questi dati si celano poi le storie di donne che ricevono insulti, tentativi di dissuasione, allusioni non troppo velate circa l’erroneità della scelta, già di per sé complessa, che hanno avuto la forza di prendere.

Anche nel Lazio, racconta una ginecologa di un ospedale romano, non è sempre scontato superare reluttanza e reticenza di alcuni medici che, per motivi religiosi o personali, concepiscono l’applicazione di un diritto come una costrizione.

A maggior ragione quando sono passate le 12 settimane previste dalla 194 per abortire tramite intervento chirurgico, e l’unica soluzione consiste in un’espulsione tramite medicinali. Emblematico il caso di una ragazza minorenne sbarcata in Italia a 15 anni in cinta, stuprata nel corso del suo soggiorno in Libia in un centro di detenzione.

Ha dovuto attendere in totale 52 giorni, prima di interrompere la gravidanza, perché non c’era nessuno disponibile a prendersi la responsabilità di firmare il referto medico. Necessario per il via libera da parte del giudice tutelare all’interruzione di una gravidanza per una minorenne.

In un’ospedale romano, non c’era un solo medico disposto a interrompere la gravidanza di una ragazza violentata, venuta in Italia da un Paese straniero. Fossero passati solo altri 10 giorni, sarebbe stata costretta a tenere il bambino.

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