Un migliaio di migranti, bloccati in Bosnia-Erzegovina tra le macerie del campo che li ospitava. La protesta della popolazione locale fa sfumare un trasferimento. Per loro ancora notti all'addiaccio e viveri con il contagocce. La sopravvivenza grazie a volontari locali
E' stallo per il migliaio di migranti, bloccati in Bosnia-Erzegovina tra le macerie del campo profughi che li ospitava nel nord-ovest del Paese. Sfumata la prospettiva di un trasferimento, riprende per loro il calvario di notti all'addiaccio e incertezze, con temperature molto rigide e viveri che scarseggiano sempre di più. Dopo un attesa di giorni a Bradina, a sud di Sarajevo, ad avere la meglio sul piano di collocarli in una caserma abbandonata è stata la forte opposizione della popolazione locale.
Sarajevo e ritorno. Dopo le notti in bus, rispediti a Lipa
"Polizia e personale dell'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni sono venuti a dirci che saremmo andati in un altro campo a Sarajevo - racconta uno di loro -. Ci hanno fatto quindi salire su una serie di autobus. 55 in ciascuno. Una volta lì però è arrivato il contrordine. Niente più Sarajevo, ci hanno detto. Andrete in un altro campo. E così, nell'attesa, eccoci di nuovo qui a Lipa".
Vuoto di potere: a occuparsi dei migranti sono ora volontari locali e Croce Rossa
Ipotesi allo studio è un trasferimento nel centro d'accoglienza di Bira, sempre nella città di Bihac. A occuparsi di loro, nell'attesa che la situazione si sblocchi, sono volontari di diverse associazioni umanitarie. "Oggi abbiamo preparato 1.000 pasti - racconta Zlatan Kovacevic, volontario S.O.S. Bihac -. Poi faremo un vero e proprio censimento, per capire come organizzarci per i prossimi giorni. Grazie ai volontari che la Croce Rossa ci sta mettendo a disposizione la situazione è al momento sotto controllo. Appena possibile distribuiremo poi vestiti, sacchi a pelo e, se ce lo permettono, anche tende".
A devastare il campo di Lipa, il 23 dicembre, un incendio che gli stessi ospiti avrebbero appiccato, per protesta contro la decisione di chiuderlo, annunciata dall'Organizzazione Internazionale delle Migrazioni che lo gestiva, alla luce di condizioni materiali che ha giudicato insufficienti.