Covid-19, la battaglia di Maurizia: ora a Padova l'ultimo addio è possibile

Una paziente viene trasferita dal reparto Covid-19 dell'ospedale Gemelli di Roma
Una paziente viene trasferita dal reparto Covid-19 dell'ospedale Gemelli di Roma Diritti d'autore Alessandra Tarantino/AP
Di Luca Palamara
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L’amministrazione dell’Azienda Ospedaliera di Padova si è interrogata su come coniugare le esigenze di sicurezza e di contenimento dell’infezione con la necessità di trattare i pazienti e i loro familiari non come potenziali vettori del virus, ma come essere umani.

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A partire dal lockdown di Marzo, in tutti gli ospedali Italiani sono state attivate delle rigorose restrizioni per il contenimento del virus. Tra queste, l’impossibilità per familiari e congiunti di far visita ai propri cari ricoverati nei reparti Covid di terapia intensiva. A seguito di queste disposizioni migliaia di anziani sono morti da soli, in un letto d’ospedale, senza il conforto di una parola o una carezza da parte di figli, nipoti, mogli e mariti.

Maurizia e Alessandra Dalla Volta sono di Padova, ma vivono entrambe da anni a Parigi, dove insegnano musica al Conservatorio.

Hanno perso il padre alla fine di Agosto. Aveva 92 anni ed era un luminare della cardiologia in Italia. A causa delle restrizioni anti-Covid presso l’Azienda ospedaliera di Padova, non hanno potuto assistere il genitore nei suoi ultimi istanti di vita. Eppure, quello stesso giorno, in ben altri contesti, a centinaia di persone veniva permesso di mettere a rischio se stessi e gli altri solo per un po’ di divertimento, come ricorda Maurizia:

“Il giorno in cui mio padre moriva da solo, senza che io potessi essere lì, da solo, a Cortina c’era un pic nic per 500 persone, di cui una è risultata positiva e quindi hanno dovuto fare il tampone alle altre 400.”

A seguito di questa tragica esperienza, Maurizia ha avviato un intenso scambio di mail con la direzione dell’ospedale per far cambiare il protocollo. E alla fine la sua richiesta disperata ha trovato risposta.

L’amministrazione dell’Azienda Ospedaliera di Padova si è interrogata su come coniugare le esigenze di sicurezza e di contenimento dell’infezione con la necessità di trattare i pazienti e i loro familiari non come potenziali vettori del virus, ma come essere umani che vivono situazioni tragiche e profondamente dolorose.

L'ospedale dice di sì: cambio al protocollo

I clinici e il comitato etico dell’Ospedale hanno così deciso di cambiare il proprio protocollo per i malati Covid in stato terminale, come conferma Luciano Flor, Direttore Generale dell’Azienda Ospedaliera di Padova:

“Una regola che deve essere applicata nel nostro ospedale e che prevede che in condizioni particolari, quali il pericolo di morte, qualunque sia la situazione, un familiare deve poter vedere il suo congiunto e deve poterlo vedere mentre è ancora vivo.”

Maurizia combatte la sua battaglia non solo per pazienti e familiari, ma anche per infermieri e medici che sono costretti a sopportare il peso psicologico di essere l’unico punto di contatto tra i pazienti in ospedale e i parenti fuori:

“Il fatto che debbano ascoltare degli addii struggenti, delle frasi drammatiche, delle lacrime, delle richieste tipo ‘per favore, gli dia una carezza da parte nostra’. Loro sono degli angeli, lo fanno, fanno di tutto per poter sollevare la sofferenza psicologica degli uni e degli altri. Ma al prezzo di caricarsela su se stessi.”

Ritrovare la nostra natura umana, questo è quello che chiede Maurizia, per lei e per tutti noi.

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