Il Giorno della Memoria: Liliana Segre racconta la sua Auschwitz ai giovanissimi e a noi

Liliana Segre
Liliana Segre Diritti d'autore euronews
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Di Cecilia Cacciotto
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Sopravvisuta all'Olocausto la senatrice è un inno alla vita. Che dice di voler vivere fino in fondo. "Ho ancora tante cose da fare e voglio farle tutte"

Il suo rapporto speciale con i giovani

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Ha annunciato che a aprile farà un ultimo incontro con gli studenti anche se continuerà a testimoniare. Gli incontri di Liliana Segre con i giovani sono magici, fanno venire la pelle d'oca. In questi anni ce ne sono stati tanti. Tantissimi. L'ultimo è di qualche giorno fa all'Arcimboldi di Milano, dove la senatrice a vita ha incontrato una platea di oltre 2000 giovani. L’accoglienza è di quelle da rock star. Studenti di scuole medie e superiori aspettano con trepidazione di ascoltare la sua esperienza a Auschwitz.

Questi giovanissimi, smanettoni, potrebbero ritrovare le sue parole su Youtube, eppure ascoltarle dal vivo è tutta un'altra storia, ha una carica di energia inconsueta.

Sopravvissuta al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, Liliana Segre testimonia cosa è stato l’orrore. Non l’ha sempre fatto, ha iniziato a testimoniare solo quando aveva 60 anni. Oggi ne ha 89.

Lei dice “quando diventai nonna”, per poi aggiungere “quando mi sentii guarita dall’odio”. Ha avuto bisogno di 45 anni per rompere il silenzio e raccontare l'inferno, l’odio bestiale che in questa vita a pochi è dato toccare con mano, odio che le ha portato via padre, nonni, cugini.

Fu la sola sopravvissuta della famiglia, la sola a ritornare a casa. Una predestinata? “Ho scelto la vita” ripete sempre, “ma tutti nei campi nazisti sceglievamo la vita”.

“Rasati, denutriti, scheletri ambulanti, scalzi, tutti sceglievamo la vita, fino alla fine, fino a che qualcun altro decretasse del nostro destino in modo diverso”.

Liliana Segre incarna la vita

Oggi Liliana Segre è una bella signora e se non sapessimo chi è, diremmo “è una donna che ha avuto una bella vita”.

Possiamo solo immaginarla ad Auschwitz, lei si definisce “una ragazzina sciocca, ignorante. Non sapevo le lingue, non sapevo dove mi trovavo, non sapevo niente di geografia. Pensavo di vivere uno di quei film che davano allora e invece era tutto vero e il rischio che ho corso è stato morire prima e poi di impazzire”.

Eppure vogliamo immaginarla: alta, mora, anche se rasata, bella di una bellezza fiera che doveva far paura anche ai suoi aguzzini, che la risparmiarono, perché, senza esserne consapevoli, sapevano che quella ragazzina di 13 anni incarnava la vita.

Ai giovani di oggi Liliana Segre dice: “Siate consapevoli della vostra forza, perché anche se non lo sapete, siete fortissimi. Non aggrappatevi ai genitori, ma al contrario, siate loro di aiuto, emancipatevi, perché potete. Non avrete mai più nella vita l’energia che avete oggi”. E continua: ”Rimasi sola, letteralmente sola, della ragazzina che aveva avuto tutto e tra le altre cose un padre meraviglioso, non c’era più niente. Mi ritrovai da sola".

Diventammo come delle bestie. Tirai fuori la lupa che c'era in me

"Tirai fuori la forza, la lupa che c’era in me”.

E non ce ne fu più per nessuno. Era una questione di sopravvivenza: si dormiva vestiti, con gli zoccoli in legno sotto la testa, perché altrimenti tutto ti veniva rubato. La sera arrivava un pezzetto di pane con una brodaglia calda, il pane veniva divorato in pochi minuti. “Pensavamo solo al cibo. Eravamo diventate delle bestie”.

foto euronews
Un momento dell'intervista con Liliana Segrefoto euronews

Ad Auschwitz la giovane decise di non avere più sentimenti, decise che non avrebbe più amato e così quando intuì che una sua compagna era stata destinata alla camera a gas, preferì non voltarsi, non ce la fece a dirle neppure ‘coraggio’.

E’ il grande rimorso che la donna ha di quel periodo. La giovane si chiamava Janine, era francese e aveva più o meno la sua età: alla Union, la fabbrica di munizioni, dove era stata destinata e lavorava al fianco della Segre, si era amputata le falangi di un dito con un macchinario, abbastanza per imboccare la camera della morte.

Passare i controlli periodici, in base ai quali una SS decideva se potevi continuare a lavorare o finire gasata, è uno dei ricordi più vividi di Liliana Segre: “Decidevano con un gesto della testa, se alzavano il mento significava che avremmo vissuto”. E tutte le volte, ricorda, era una gioia inaudita “ce l’avevo fatta”.

Un piede davanti all'altro

Un piede davanti all’altro, dice Liliana Segre. E nel suo parlare è un’espressione che ritorna. Non ci vuole tanto per avanzare, se non un piede davanti all’altro.

Quando con il padre cercò di fuggire e con contrabbandieri di vite umane arrivò al confine con la Svizzera, aveva una valigia. “Cosa mettere dentro la valigia della fuga? Mettemmo le cose più care, senza capire che non avevamo più niente”.

L’ufficiale di dogana svizzero rispedì la ragazzina e il padre - insieme a loro c’erano anche due cugini - oltre confine, in Italia, dicendo che tutto quel che raccontavano sugli ebrei erano fandonie, un modo per sfuggire al servizio militare.

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Di quella valigia con alcuni oggetti della sua vita precedente, capì che non se ne sarebbe fatta niente, le restava l’amore del padre, la lealtà dei pochi amici, che malgrado il pericolo li aiutarono e per contenere queste cose non c’era bisogno di una valigia.

“Non curatevi degli oggetti materiali, che vanno e vengono, nella vita le cose importanti sono altre”.

Quando i 14 anni di Liliana diventano mille

Una volta in Italia, insieme al padre, passò 40 giorni in carcere, prima di salire sul treno per una destinazione ignota, come dicevano a tutti i deportati. I suoi 13 anni divennero mille di colpo, diventò la donna che non immaginava di essere, la madre di suo padre.

foto euronews
Liliana Segre in una foto in braccio al padrefoto euronews

“Quando ebbi il mio primo figlio, lo chiamai Alberto, come mio padre. Stranamente mi resi conto che l’esperienza della maternità io l’avevo già fatta”. E in un abbraccio materno idealmente oggi vuole stringere a sé tutti, dando amore, quell’amore che l’ha salvata.

“Potevo essere diversa, sarei potuta entrare e uscire dal manicomio, ho rasentato la follia”.

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Chi non avrebbe al suo posto? L’amore, invece, in particolare l’amore del marito la salvò. Aveva 18 anni quando incontrò il marito e dai binari di una destinazione ignota, ritrovò i binari della vita normale.

Oggi a 75 anni di distanza, Liliana Segre che pure dice “in fondo in fondo sono rimasta sempre la bambina di 8 anni esclusa dalle scuole del Regno”, è un inno alla vita.

“Mi dispiace avere 90 anni, non per altro, ho ancora tante cose che voglio fare. E voglio riuscire a farle tutte”. E noi di euronews auguriamo a Liliana Segre ancora tanta vita. (La sua intervista integrale con euronews va in onda mercoledì 29 gennaio).

Le reazioni degli studenti

Le reazioni degli studenti all'incontro dell'Arcimboldi a Milano raccontano un'Italia matura, vigile contro ogni tipo di odio, razzismo e antisemitismo.

Fabio Orlandi, 18 anni, frequenta l'Isistituto Maria ausiliatrice: “La sua è una testimonianza diversa

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Foto euronews
Fabio OrlandiFoto euronews

rispetto a quella che posso avere dai libri di storia. Le sue parole mi aiuteranno a capire cosa realmente è accaduto perché sono convinto che dai libri di scuola quella sofferenza non venga fuori nella sua totalità. Se potessi le chiederei quanta forza ha avuto dentro e ha ancora oggi per sopravvivere alla deportazione e al dopo la deportazione”.

Cecilia Fiacco, 17 anni , Scuola tedesca di Milano: “Mi ha colpito la calma con cui ha raccontato. Sono rimasta colpita dal fatto che lei si è sentita

foto euronews
Cecilia Fiaccofoto euronews

pronta a testimoniare quando non ha più odiato. Per arrivare a questo punto ci vuole tanta comprensione, capire perché si è arrivati alla Shoah”.

Ilaria, 18 anni, Liceo scientifico di Bollate: “Vorrei chiedere dove ha trovato la forza di non impugnare la pistola che la SS aveva abbandonato e vendicarsi uccidendo quell'uomo. Io l’avrei fatto, è umano”.

Mattia Belloni, 18, Istituto Primo Levi Bollate,” Sono passati tanti anni e sentire dalle parole di chi l’ha vissuto è una grandissima cosa; ho guardato dei documentari, ho parlato con mio nonno. Ho avuto l’impressione di vivere quello che Liliana Segre ha vissuto. Parlerei con lei tutta la giornata. Vorrei chiederle: era consapevole di quello che stava accadendo? Che cosa ha provato nel vedere la sua famiglia ridotta in cenere?”.

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Mattia BelloniFoto euronews

Fabio, insegnate di Storia: “Ogni anno è necessario venire a incontri di questo tipo perché la memoria deve essere tenuta viva. E’ particolarmente triste che la Segre sia sotto scorta. L’atteggiamento dei ragazzi è diverso, anche se c'è un po' di tutto. La scuola fa comunque molta fatica, è isolata rispetto ad una società che fa esattamente il contrario”.

Foto euronews
Fabio, insegnante di StoriaFoto euronews

Ferruccio de Bortoli, presidente del Memoriale della Shoah

“Ciò che mi colpisce è il silenzio con cui questi ragazzi ascoltano, ogni volta che lei si concede e condivide parte della sua vita. Bisogna avere

Foto eruronews
Ferruccio De Bortoli, presidente Memoriale della ShoahFoto eruronews

grande paura verso qualsiasi elemento di indifferenza che a volte si accompagna al nostro egoismo; dobbiamo essere attenti e non abituarci al senso comune che in altri tempi è stato l’anticamera del pregiudizio”, Ferruccio de Bortoli, presidente onorario del Memoriale della Shoah di Milano.

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