Verso il Congresso di Verona, l'Italia investe poco nella famiglia

Verso il Congresso di Verona, l'Italia investe poco nella famiglia
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Di Cecilia Cacciotto
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Stando ai dati Ocse, gli Stati del Nord Europa consacrano alla spesa per le famiglie budget più consistenti. La famiglia è la cellula fondante della società e deve essere quasi coccolata. Negli Stati del Sud dell'Europa c'è un'attenzione minore, la famiglia è percepita come un affare privato

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Nell'arco del tempo ha cambiato pelle, la famiglia resta comunque,come la definisce l'Onu , il “fondamentale gruppo sociale e l’ambiente naturale per lo sviluppo e il benessere di tutti i suoi membri, in particolare i bambini”.

Nel 1994, l'Assemblea generale delle Nazioni unite ha proclamato la Giornata internazionale della famiglia, che si terrà a settimane.

Alla vigilia della Europee e del Congresso mondiale sulle famiglie di Verona, di famiglia se ne torna a parlare in modo prepotente.

Stando ai dati di vari istituti di statistica, nel caso particolare i dati dell'Ocse, si rileva che le politiche e il welfare pro-family cambia da Paese a Paese, con evidenti conseguenze sulla geografia della famiglia. Euronews ha voluto focalizzare l'attenzione e tradurre in grafici i dati che ci dicono in percentuale da quanti membri sono composte le famiglie, la spesa destinata alla famiglia e se nei nostri Paesi, negli ultimi anni, ci si sposa o si divorzia di più.

Gli Stati del Nord Europa attentissimi

Guardando i dati sulla spesa pubblica destinata alla famiglia, rileviamo che negli Stati europei del nord questa è maggiore e la Danimarca svetta in cima al podio. Copenaghen consacra il 3,4 % del Pil alla spesa pubblica destinata alle famiglie.

"In Danimarca, le coppie non sono costrette a scegliere tra lavoro e famiglia perché le politiche familiari sono molto avanti", dichiara Olivier Thévenon dell'Ocse.

Olivier Thévenon, analista Ocse

Questo si riflette nel tasso di natalità ed anzi, come aggiunge sempre Thévenon, è un fattore di stabilizzazione per il tasso di natalità e per il lavoro.

Nel caso della Danimarca, la dimensione del Paese fa la sua parte, ma c'è da aggiungere che la Danimarca, rispetto anche agli altri Paesi del Nord Europa, è più omogeneo dal punto di vista della sua geografia, della popolazione e del reddito, tutti fattori che portano a un'omogenizzazione dei comportamenti e delle preferenze della popolazione.

Quello che rileva l'Ocse è che le ineguaglianze per accedere ai servizi per la famiglia sono ridotte, "che tu sia benestante, ricco o povero, spiega Thévenon, puoi accedere agli stessi servizi".

Non è così in altri Paesi come la Francia (con una fetta di spesa pubblica destinata alla famiglia pari al   2,9% del Pil), per esempio, dove c'è stata fin dal secondo dopoguerra una fortissima politica  di natalità.

"In Francia non è così, e le disuguaglianze sono ancora molto forti, paradossalmente una coppia che ha un reddito più modesto gode di minor aiuti. Faccio un esempio, chi vive in una periferia disservita dai trasporti pubblici dovrà ingegnarsi per portare i bambini all'asilo o alla materna".

Nella patria dell'egalité l'accesso ai servizi per la famiglia non è uguale per tutti anche se la famiglia è molto tutelata come vedremo in seguito.

"È anche una questione culturale", aggiunge Thévenon che lascia intendere che certe pecche, o mancanze, sono accettate perché  parte integrante della cultura di un certo Paese.

È un dato di fatto che tutti i bambini in età prescolare in Danimarca frequentano il nido e la materna perché lo Stato si fa carico interamente dei costi. Elemento importante che si riflette anche in seguito nella buonissima performance dei ragazzi danesi a scuola.

Qualche pecca danese

Non è però tutto oro quel che lucicca sotto il sole danese, e anche questa società  cambia più velocemente di quanto non faccia il diritto.

"Gli ambienti familiari sono complessi – dice sempre Thévenon - cambiano con il tempo mentre il sistema di aiuti alla famiglia si rivolge a un sistema famiglia di tipo tradizionale".

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Di fronte a quello che è uno stato di fatto, dice ancora l'analista Ocse, bisogna procedere, e quindi legiferare, tenendo presente l'interesse dei bambini e il loro diritto di partire tutti alle stesse condizioni.

Stati del Sud Europa

Le politiche familiari negli Stati del Sud Europa raccontano un'altra storia, la famiglia resta l'asse portante della società, ha un ruolo forte e fortemente solidale ma è vissuta come un affare privato cosa che riflette la reticenza delle politiche che preferiscono non intervenire in quelli che sono considerati affari interni.

Detto in altri termini, abbiamo politiche rivolte alla famiglia che tradiscono un forte ritardo e culturalmente questo è considerato quasi normale perché in Paesi come Italia, Spagna, Grecia e Portogallo esiste una rete di sicurezza familiare cui si demanda una parte del welfare pro family.

Basta pensare ai nonni in Italia, che sono, a seconda dei casi, asili nido, scuole materne, babysitter e grazie al loro aiuto, incondizionato, le mamme possono tornare al lavoro dopo la maternità.

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Paesi dell'Europa dell'Est

La politica verso la familia è lacunosa anche nei Paesi dell'Europa dell'Est, dove peraltro si è assistito a un ritorno al passato dopo la caduta del muro di Berlino.

Sotto i vari regimi comunisti, infatti, lo Stato arrivava ovunque; dopo il 1989 prendono piede ideologie conservatrici in reazione al comunismo, si assiste a un ritorno alla famiglia e tra le misure a favore della famiglia si rileva un congedo maternità per le donne particolarmente lungo. Arma a doppio taglio, però, perché diventa difficile poi tornare al lavoro e fare carriera. Negli ultimi decenni si è assistito a un calo nel tasso di fecondità che è stato combattuto con incentivi per i bebé.

La famiglia non si tocca in Francia

Nonostante alcune considerazioni fatte qualche riga sopra, l'esperto Ocse insiste sul fatto che "la Francia è il solo Paese dove si parla in modo specifico di politica della famiglia".

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Tre anni fa si volevano rivedere gli assegni di famiglia, togliendoli a quelle con un reddito superiore ai 6000 euro al mese; ci fu una vera e propria levata di scudi e alla fine gli assegni si tennero anche per le famiglie più aisées ma vennero dimezzati.

"Si passò da 80 a 40 euro circa - spiega Thévenon - non è tanto la cifra in sé che portò a far barriera quanto il fatto che bisognava preservare il principio di universalità per cui la famiglia è famiglia sempre e deve essere 'attenzionata' sempre, sia che sia benestante sia che non lo sia".

La famiglia in Francia resta un pilastro della politica nazionale, che le consacra una fetta di spesa pubblica pari al 2,9% del Pil e che trova un consenso trasversale nei governi di diverso colore, questo è anche motivo di grande fiducia dei cittadini nei confronti delle politiche dello Stato, che li portano a vivere più serenamente, almeno rispetto all'Italia, la creazione di una famiglia.

(Tappe principali dell'evoluzione del diritto di famiglia in francia**, clicca qui.)**

E comunque la famiglia non passa mai di moda

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Si torna a parlare di famiglia. Sempre. E ogni preteso è buono. Non potrebbe essere altrimenti, conclude Olivier Thévenon: "La famiglia intercetta molti elementi della nostra società, come non parlare di invecchiamento della popolazione senza parlare di famiglia, di bassa fecondità, le disuguaglianze e le pari opportunità che colpiscono prima di tutto i bambini".

C'è poi un ritorno di valori conservatori che rimettono in discussione diritti che parevano acquisiti. Si parla nuovamente di divorzio, di aborto (vedi il ddl Pillon in Italia).

Ma nel gioco dell'equilibrio delle parti, il ritorno sulla scena di un certo tipo di conservatorismo serve probabilmente a calmare le fughe in avanti proprio dal punto di vista legislativo, per quanto dettate dall'avanzare inesorabile della società.

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