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Recovery Plan: Svezia e Paesi Bassi non hanno ancora ricevuto nulla

Il Recovery and Resilience Facility è il cuore del piano Next GenerationEU
Il Recovery and Resilience Facility è il cuore del piano Next GenerationEU Diritti d'autore Aurore Martignoni/(C) Aurore Martignoni
Diritti d'autore Aurore Martignoni/(C) Aurore Martignoni
Di Paula SolerVincenzo Genovese
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

Due Stati membri dell'Ue, Svezia e Paesi Bassi non hanno ancora ricevuto nessun fondo del Recovery and Resilience Facility, lo strumento creato per la ripresa dalla pandemia da Covid19. La Corte dei Conti segnala notevoli ritardi anche per altri Stati

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Il programma di pagamenti, con oltre 723 miliardi tra prestiti e finanziamenti a fondo perduto, è cominciato a febbraio 2021. Ma Paesi Bassi e Svezia non ne hanno beneficiato, mentre Ungheria, Finlandia, Belgio, Irlanda e Polonia hanno cominciato a farlo solo nel 2024, come illustrato da un rapporto pubblicato dalla Corte dei Conti europea.

"Può succedere che gli Stati ricevano dei fondi nel 2023, si trovino ad affrontare molte difficoltà e ostacoli e non riescano a finire i progetti entro il 2026"
Ivana Maletić
Membro della Corte dei Conti europea

Le difficoltà di alcuni Paesi

Il caso olandese è una sfortunata coincidenza politica, spiega a Euronews Ivana Maletić, membro della Corte: la situazione successiva alle elezioni politiche, con il lungo periodo intercorso fra il voto (novembre 2023) e la formazione del governo (maggio 2024) non ha permesso di procedere. "Ogni Piano di ripresa e resilienza ha bisogno di consenso e sostegno politico da parte del governo e nei Paesi Bassi mancava proprio quella stabilità necessaria".

L’Ungheria, invece, si trova in una situazione particolare, con 919 milioni di prefinanziamento, ma nessun fondo erogato per progetti concreti. Il governo di Budapest si era infatti impegnato nel suo Pnrr a raggiungere 27 "super traguardi" sulla lotta alla corruzione e il rispetto dell’indipendenza della magistratura. Promesse ancora non mantenute, secondo la Commissione europea.

Gli altri Stati hanno presentato le loro prime richieste di pagamento, alcune delle quali sono ancora al vaglio della Commissione, che gestisce il fondo. Ma quasi tutti hanno comunque registrato qualche ritardo nella presentazione delle richieste, a causa di turbolenze politiche, incertezza sulle regole o capacità amministrativa nazionale, si legge nel rapporto.

In totale, alla fine del 2023, i Paesi membri hanno richiesto il 70% di quanto era previsto facessero fino a quel momento e ricevuto circa 182 miliardi di euro.

La situazione dell'Italia

L'Italia, insieme ad altri otto Paesi, ha completato il 100% delle richieste previste, raggiungendo a dicembre 2023 il 34% degli obiettivi prefissati, con il 46% dei fondi erogati: entrambi dati superiori alla media dell'Ue (19% e 37%). Un buon risultato, secondo solo a Francia e Lussemburgo secondo l'analisi della Corte dei Conti.

Ma le complicazioni potrebbero sorgere in futuro: il 62% degli obiettivi legati agli investimenti nel Paese dovrebbe essere completato nei primi otto mesi del 2026, gli ultimi a disposizione per mettere a terra i fondi del Pnrr, con il rischio di creare un imbuto.

Fra i problemi rilevati dal rapporto, che l'Italia condivide con altri Paesi, ci sono l'inflazione, le distorsioni nelle catene di approvvigionamento e le incertezze relative ad alcune norme attuative del Pnrr.

Un esempio concreto riguarda le colonnine di ricarica rapida di veicoli elettrici: l'Italia avrebbe dovuto costruirne 2500 entro il secondo trimestre del 2023, ma nessuna azienda si è fatta avanti per ottenere l'appalto relativo a una parte del progetto, a causa soprattutto di carenza di materie prime. Per questo, l'obiettivo è stato posticipato.

Soldi erogati, progetti ancora in corso

Il rapporto segnala come, a dicembre 2023, nell'Ue il 24% delle riforme e degli investimenti previsti non fosse stato completato in tempo: buona parte delle promesse più difficili deve ancora essere mantenuta, ha rilevato la Corte dei conti europea.

A differenza dei fondi di coesione, il normale veicolo di finanziamento dell'Ue, il sostegno finanziario post-pandemia è infatti legato ai progressi compiuti nel rispetto degli impegni. In teoria, ogni singolo pagamento erogato dalla Commissione è legato a precisi obiettivi, detti "milestones and targets".

Ma come sostiene Ivana Maletić, il problema è che spesso questi obiettivi si raggiungono semplicemente presentando un piano, un progetto, o i contratti firmati per eseguirlo. La realizzazione effettiva, è un'altra cosa.

"Può succedere che gli Stati si trovino ad affrontare molte difficoltà e ostacoli durante il periodo di costruzione e attuazione di un progetto, e poi i ritardi fanno sì che non riescano a finire entro il 2026. Quindi non completeranno l’intero progetto, ma i fondi li hanno ricevuti nel 2023".

Al momento il Recovery and Resilience Facility scadrà nell'agosto 2026 e anche questo secondo la Corte dei Conti potrebbe essere un problema: "Può accadere che per alcune misure gli Stati membri ricevano importi senza utilizzarli affatto perché non sarà possibile finalizzare i progetti entro i tempi previsti", le parole di un altro dei suoi membri durante la conferenza stampa di presentazione del progetto.

Il rischio è quello di disperdere risorse, perché in tutti i casi in cui un progetto non viene completato, la Commissione europea non ha il potere di recuperare i finanziamenti erogati.

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Ma nel giorno della pubblicazione del rapporto, a Lussemburgo, è arrivata subito la risposta da Bruxelles, con i dati aggiornati al momento gli obiettivi raggiunti sono circa il 40% e i fondi erogati, entro la fine del 2024, il 50% del totale.

Inoltre, dice la Commissione europea, il Recovery and Resilience Facility è stato implementato in circostanze senza precedenti, e molti Stati membri hanno rivisto i propri piani dopo l'invasione russa dell'Ucraina".

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