Mentre è in corso la sedicesima Conferenza mondiale contro la desertificazione delle Nazioni Unite (Cop16), l'UNCCD ha pubblicato un rapporto allarmante sulla situazione attuale del Pianeta
Più di tre quarti delle terre emerse sono diventate più aride negli ultimi decenni. E ciò in modo permanente. A denunciarlo è un nuovo rapporto della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione (UNCCD), secondo il quale il fenomeno riguarda il 77,6% della superficie terrestre. Allo stesso tempo, le zone deserte si sono espanse fino a rappresentare oggi un territorio quasi un terzo più grande dell'India e coprono più del 40% di tutte le terre emerse (escluso l'Antartide).
Il rapporto è stato pubblicato mentre è in pieno svolgimento la sedicesima Conferenza delle Nazioni Unite contro la desertificazione (Cop16) ospitata da Riad in Arabia Saudita. Un vertice che deve fornire risposte rispetto a un fenomeno esacerbato dai cambiamenti climatici dovuti all'innalzamento della temperatura media globale, che provoca problemi di approvvigionamento idrico e rende più intense e frequenti le ondate di siccità.
Cosa succede quando la terra si inaridisce
"Le condizioni di clima più secco che oggi interessano vaste aree in tutto il mondo non cambieranno in futuro", avverte Ibrahim Thiaw, direttore esecutivo dell'UNCCD. Secondo il quale "questo cambiamento sta ridefinendo la vita sulla Terra". Quest'anno è stato il più caldo mai registrato da quando le temperature sono monitorate con regolarità, e se il riscaldamento globale non verrà frenato, quasi cinque miliardi di persone - tra cui la maggior parte dell'Europa, parti degli Stati Uniti occidentali, il Brasile, l'Asia orientale e l'Africa centrale - saranno colpite dal processo di inaridimento entro la fine del secolo, secondo il rapporto.
Barron Orr, scienziato capo dell'UNCCD, avverte che la desertificazione potrebbe comportare a "impatti potenzialmente catastrofici sull'accesso all'acqua che potrebbero spingere le persone e la natura a varcare soglie di non ritorno", nelle quali cioè l'uomo non sarà più in grado di invertire gli effetti dei cambiamenti climatici.
Cosa si rischia quando la Terra diventa arida
Sergio Vicente-Serrano, uno degli autori principali del rapporto, spiega che il riscaldamento dell'atmosfera terrestre dovuto alla combustione di carbone, petrolio e gas provoca una maggiore evaporazione dell'acqua contenuta nel suolo. Ciò rende la risorsa meno disponibile per gli esseri umani, le piante e gli animali, rendendo di conseguenza più difficile la loro sopravvivenza.
L'agricoltura è particolarmente a rischio: i terreni più aridi sono meno produttivi e riducono i raccolti e la disponibilità di cibo per il bestiame, con conseguente crescita di condizioni di insicurezza alimentare per le comunità di tutto il mondo. L'aridità porta anche a un aumento delle migrazioni, perché le precipitazioni irregolari, il degrado dei terreni e la frequente carenza d'acqua rendono più difficile lo sviluppo economico di alcune regioni. Una tendenza particolarmente evidente in alcune delle aree più aride del mondo, come l'Europa meridionale, il Medio Oriente e il Nord Africa e l'Asia meridionale.
Come sta andando la Cop16 di Riad sulla desertificazione
Alla Cop16, i negoziatori stanno discutendo proprio di come il mondo possa rispondere al meglio alle siccità. Jes Weigelt, del think tank europeo sul clima TMG, afferma che non c'è accordo tra i governo su come affrontare la questione. A dividere il mondo è soprattutto il tema di quanti fondi debbano stanziare le nazioni ricche per rispondere a un problema che in massima parte è stato generato proprio dal Nord del mondo. I capitali in questione servono per migliorare i sistemi di previsione e monitoraggio, nonché per creare riserve idriche e altre strutture che possano garantire l'accesso all'acqua anche durante periodi di siccità prolungati.
"La grande questione su cui si dibatte è: dobbiamo rispondere alla siccità attraverso un protocollo vincolante a livello internazionale o ci sono altre opzioni che possiamo esplorare?", spiega Weigelt. Un protocollo di questo tipo implicherebbe proprio l'obbligo di stanziare dei fondi in capo ai Paesi sviluppati.
Ma va detto che, esattamente come nel caso del clima, è difficile considerare vincolanti i protocolli o gli accordi di questo tipo, poiché non esistono tribunali che possano giudicare i singoli Paesi in caso di inadempienza, né impianti sanzionatori ad hoc. Anche per questo ci si è rivolti alla Corte internazionale di giustizia per comprendere se sia possibile imporre degli obblighi in capo ai governi.
I fondi per fronteggiare siccità e desertificazione sono insufficienti
Secondo Thiaw, l'Arabia Saudita, Paese che ospita il vertice, ha promesso di mobilitare 2,15 miliardi di dollari (2,4 miliardi di euro) da vari Paesi e banche internazionali per la lotta contro la siccità. Il Gruppo di coordinamento arabo - costituito da dieci banche per lo sviluppo con sede in Medio Oriente - si è impegnato a stanziare 10 miliardi di dollari (9,49 miliardi di euro) entro il 2030 per affrontare il degrado dei terreni, la desertificazione e la siccità.
I fondi dovrebbero aiutare 80 dei Paesi più vulnerabili a prepararsi al peggioramento delle condizioni. Ma le Nazioni Unite stimano che tra il 2007 e il 2017 la siccità sia costata 125 miliardi di dollari (118,7 miliardi di euro) in tutto il mondo. Le cifre sono dunque largamente insufficienti. "In qualità di padroni di casa, il nostro obiettivo principale è contribuire a facilitare le discussioni in corso - afferma Osama Faqeeha, vice ministro dell'Ambiente dell'Arabia Saudita - perché queste crisi non conoscono confini".
Esistono soluzioni all'inaridimento della Terra?
Sebbene la siccità possa essere catastrofica, scrive Thiaw nel rapporto, il recupero delle terre è possibile. Ma lo stesso dirigente definisce la desertificazione "una minaccia inesorabile che richiede misure di adattamento stabili".
Le soluzioni a lungo termine, come la limitazione della crescita della temperatura media globale, non sono in discussione al vertice di Riad. L'Arabia Saudita è stata criticata per aver bloccato proprio i negoziati sulla riduzione delle emissioni legate alle fonti fossili in varie occasioni: ultimo caso in ordine di tempo quello della Cop29 di Baku. Il Paese dipende fortemente dai combustibili fossili ed è uno dei petrostati che si prevede perderà metà dei suoi introiti in caso di eliminazione graduale.
Il rapporto dell'UNCCD raccomanda ai Paesi di migliorare le pratiche di utilizzo del suolo e di essere più efficienti nell'uso dell'acqua. Ciò include l'introduzione di misure come la scelta di colture che richiedono meno acqua e metodi di irrigazione più efficienti, come quello a goccia, su scala molto più ampia. Suggerisce anche un maggiore monitoraggio, in modo che le comunità possano pianificare in anticipo, e progetti di riforestazione su larga scala per proteggere la terra e la sua umidità.
Andrea Toreti, uno degli autori principali del rapporto, afferma che, proprio come nel caso dei cambiamenti climatici o della perdita di biodiversità, per affrontare il problema è necessario che i Paesi lavorino insieme con "un'azione internazionale coordinata e un impegno costante".