La Corte internazionale di giustizia dovrà ascoltare 98 Stati e 12 organizzazioni internazionali per formulare un parere non vincolante (ma politicamente importante) in merito agli obblighi in capo ai governi in materia di lotta contro i cambiamenti climatici
Si è aperto il 2 dicembre a L'Aia il più grande procedimento giudiziario della storia volto a delineare quali siano, alla luce del diritto internazionale, gli obblighi in capo ai governi di tutto il mondo in materia di contrasto ai cambiamenti climatici. La Corte internazionale di giustizia dovrà infatti esprimere un parere consultivo - non vincolante ma dal peso politico e giudiziario particolarmente elevato - sulla questione.
Per fornire la loro valutazione, i giudici ascolteranno i rappresentanti di quasi cento nazioni, nonché quelli di dodici organizzazioni internazionali: le audizioni proseguiranno fino al 13 dicembre. Quindi la corte analizzerà la questione e pubblicherà nel corso del 2025 il suo verdetto.
Il procedimento ha un significato particolare per i piccoli Stati insulari che hanno spinto presso l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, affinché fosse adita la Corte internazionale di giustizia. Un modo per tentare di superare le grandi difficoltà incontrate nei negoziati tra i governi di tutto il mondo, come evidenziato nel corso della ventinovesima Conferenza mondiale sul clima dell'Onu, la Cop29 che si è chiusa a Baku, in Azerbaigian, con risultati giudicati da molti osservatori ed esperti della materia deludenti.
I Paesi ricchi hanno infatti accettato di stanziare 300 miliardi di dollari all'anno a favore delle nazioni più povere e vulnerabili di fronte agli impatti della crisi climatica. Ma tale somma è nettamente inferiore a quanto realmente necessario per, da un lato, consentire al Sud del mondo di effettuare la necessaria transizione ecologica, dall'altro per adattarsi a quella quota di conseguenze del riscaldamento globale che è ormai inevitabile. Il tutto partendo dall'assunto che il Nord del mondo, per oltre un secolo e mezzo, ha potuto prosperare e arricchirsi bruciando carbone, petrolio e gas, ed è oggi per questo chiamato a indennizzare chi patisce gli impatti dei cambiamenti climatici senza esserne responsabile, se non in minima parte.
Aprendo le audizioni, la repubblica insulare di Vanuatu ha dichiarato alla Corte internazionale di giustizia di aver ancora una volta "assistito in prima persona" al fallimento di un vertice internazionale. La nazione è costituita da un arcipelago a bassa quota a est dell'Australia, particolarmente vulnerabile alle condizioni climatiche estreme, all'insicurezza idrica e alla minaccia dell'innalzamento del livello dei mari. Per la popolazione dello Stato insulare, il "fallimento prolungato e sistemico del processo della Cop" minaccia non solo benessere e cultura, ma l'esistenza stessa della nazione.
Perché è stato chiesto un parere consultivo alla Corte internazionale di giustizia
A lanciare l'idea di adire la Corte è stato inizialmente un gruppo di studenti universitari. I piccoli Stati insulari hanno poi raccolto il testimone. Il governo di Vanuatu ha infatti guidato con successo una coalizione di nazioni che ha esercitato pressioni sull'Assemblea generale delle Nazioni Unite affinché chiedesse ufficialmente un pronunciamento dei giudici de L'Aia. Nel 2023 è arrivato il via libera e ora si apre appunto il dibattimento.
I quindici giudici dovranno esprimersi in particolare su due questioni. La prima: quali sono le misure che i governi hanno il dovere di adottare per proteggere il clima della Terra? E, in secondo luogo, quali sono le conseguenze giuridiche di un'eventuale inazione da parte degli stessi esecutivi? Il tutto sarà ragionato nel quadro delle evidenze scientifiche fin qui espresse, in particolare dal Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (Ipcc).
Se il parere non sarà, come detto, vincolante, costituirà comunque una base giuridica per i tribunali nazionali, che in molti casi si baseranno proprio su tale pronunciamento per giudicare. Si potrebbe prospettare uno scenario nel quale saranno dunque i giudici di ciascuno Stato a imporre un'azione ai governi. È probabile inoltre che il parere in questione possa incidere sulle cause già avviare in materia di cambiamenti climatici, comprese quelle che vedono protagonisti proprio i piccoli Stati insulari, che chiedono un risarcimento alle nazioni sviluppate per i danni climatici.
Perché è necessario un parere consultivo sul clima?
Vanuatu ha dichiarato alla Corte che l'esito di tali procedimenti "si riverbererà attraverso più generazioni, determinando il destino di alcune nazioni". La condotta sotto accusa, ha detto, è quella di Stati che per oltre un secolo non sono riusciti a ridurre le proprie emissioni, nonostante gli accorati appelli degli scienziati: "Sette anni fa, 196 parti hanno adottato l'Accordo di Parigi, un passo enorme per salvaguardare le persone e il Pianeta", ha dichiarato alla stampa Ralph Regenvanu, inviato speciale per i cambiamenti climatici e l'ambiente del governo di Vanuatu, prima delle udienze.
"Eppure - ha aggiunto - quasi un decennio dopo, Vanuatu e altri piccoli Stati insulari stanno ancora cercando di prevenire ulteriori danni e di riparare quelli già verificatisi, mentre è evidente la mancanza di azione da parte degli stessi Stati che hanno sottoscritto l'Accordo". Regenvanu ha poi aggiunto che i Paesi insulari sono tra i più colpiti dai cambiamenti climatici nonostante le loro emissioni di CO2 siano bassissime.
"La mancanza di progressi nei colloqui delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici per ridurre le emissioni e rallentare il cambiamento climatico nonostante l'Accordo di Parigi rende necessaria l'azione legale che stiamo cercando di intraprendere ora".
Potrebbe essere il più grande caso legale della storia dell'umanità?
In totale sono già state presentate alla Corte 91 dichiarazioni scritte e 62 commenti scritti aggiuntivi. "Si tratta della più ampia partecipazione di sempre alle udienze della Corte de L'Aia. In termini di partecipazione, possiamo tranquillamente affermare che questo è il caso più grande nella storia dell'umanità", ha dichiarato Margaretha Wewerinke-Singh, consulente legale di Vanuatu e avvocato presso Blue Ocean Law.
Ciò che rende questi procedimenti storici, aggiunge, non è solo la loro forma, ma la loro sostanza. Non si tratta di rischi futuri o di minacce teoriche, ma della realtà attuale per milioni di persone in tutto il mondo. "Le terre stanno scomparendo - ha aggiunto - i mezzi di sussistenza vengono distrutti e i diritti umani fondamentali vengono violati. Tutto questo accade già oggi. E la condotta che sta causando queste violazioni è stata a lungo mascherata come legittima".
All'inizio di quest'anno, anche il Tribunale internazionale per il diritto del mare, organo indipendente delle Nazioni Unite, con sede ad Amburgo ha confermato che i governi sono obbligati ad adottare misure per combattere l'inquinamento marino causato dai cambiamenti climatici. Similmente, la Corte interamericana dei diritti umani dovrebbe essere la prossima e dovrebbe pubblicare il suo parere consultivo nel 2025.