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La comunità rastafariana alza la voce in Sudan

Membri della comunità rastafariana protestano in Sudan
Membri della comunità rastafariana protestano in Sudan Diritti d'autore  via AFP video
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Di Cinzia Rizzi Agenzie: AFP
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Oppressi durante il regime di al-Bashir, i rasta sudanesi si sentono ancora in pericolo dopo il colpo di Stato del 2021

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"Il rasta non muore mai". Con questo slogan la comunità rastafariana sudanese scende per strada contro i pregiudizi e la repressione nei loro confronti. Almeno 121 persone sono state uccise durante le manifestazioni di massa iniziate dopo il golpe dell'ottobre 2021. Tra loro, molti rastafariani, non visti di buon occhio da chi comanda nel Paese africano.

Sotto il governo del dittatore Omar al-Bashir, infatti, la polizia morale non si faceva scrupoli a rasare i dreadlocks in pubblico e ad attaccare i rastafariani che contravvenivano al rigido codice di abbigliamento imposto dal regime. Un regime che non esiste più dal 2019. Ma le cose non sono cambiate radicalmente.

"Scendiamo in strada per protestare contro il colpo di Stato militare", spiega un rastafariano, Saleh Abdalla. "Noi, come giovani, rifiutiamo tutte le violazioni del nostro governo. Non lo consideriamo un governo che ci rappresenta, che rappresenta i giovani e il popolo. Manterremo i rasta fino alla caduta del regime. Dopo la caduta, allora sì, potrei anche rasarmi la testa. Non la consideriamo una religione, ma piuttosto un modo di esprimere opposizione".

Il rastafarianesimo è un movimento culturale e religioso, nato in Giamaica negli anni 30 e incentrato sulla figura dell’imperatore d’Etiopia Haïlé Sélassié, concepito di solito come incarnazione vivente di Dio. La cultura rasta è diventata famosa in tutto il mondo negli anni 80, grazie alla musica raggae e al cantante giamaicano Bob Marley.

Video editor • Cinzia Rizzi

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