Vestager: la "battaglia sui dati" vista da Bruxelles

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Di Méabh Mc Mahon
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Abbiamo incontrato Margrethe Vestager, la vicepresidente esecutiva della Commissione europea responsabile del digitale, nota soprattutto come l'ex responsabile dell'antitrust europeo più temuta da Big Tech.

Abbiamo incontrato Margrethe Vestager, la vicepresidente esecutiva della Commissione europea responsabile del digitale,nota soprattutto come l'ex responsabile dell'antitrust europeo più temuta da Big Tech.** Un'intervista realizzata in collaborazione con l'Istituto universitario europeo di Firenze nell'ambito dell'evento State of the Union.**

L'Europa non è in ritardo nel digitale

Il centro dell'intervista naturalmente è la battaglia mondiale per i dati. Allora la prima domanda è: l'Unione europea partecipa alla battaglia? Perché e dove sperate di arrivare?

"Posso risponderle di sì, perché, in questo preciso momento, dati vengono creati ovunque, e poiché l'Europa è un continente molto industriale, un continente in cui ora digitalizziamo tutto, che si tratti della mobilità, delle reti elettriche, o dei nostri sistemi sanitari, raccogliamo dati in continuazione, e con quei dati possiamo fare di più, possiamo innovare, possiamo costruire imprese più forti e, naturalmente, possiamo anche usare questi dati per combattere i cambiamenti climatici. E come dice lei, si tratta di una questione mondiale, perché ci troviamo in un contesto geopolitico in cui abbiamo rivalità sistemica, competizione economica, ma anche la necessità di partnership. Quindi in che modo gestiamo i dati, in che modo consentiamo loro di fluire una volta che decidiamo di potercene fidare, ma anche in che modo li proteggiamo se si tratta dei nostri dati personali, be', sono le sfide che abbiamo di fronte a noi per l'implementazione pratica, ma anche per l'elaborazione della corretta legislazione".

Sì, c'è molta strada da fare. E voi avete già cominciato a percorrerla, naturalmente, ma se guardiamo agli Stati Uniti e alla Cina, vediamo che stanno innovando molto velocemente. L'Unione europea quando sarà al passo? Quest'idea di un mercato unico dei dati europei è molto bella sulla carta, ma sembra un po' astratta...

"Penso sia molto importante non sottovalutare la nostra Europa, perché il maggior numero di brevetti in realtà proviene dall'Europa, e abbiamo anche una comunità di start-up innovative molto vivace. E penso che sia importante non considerare l'Europa in ritardo, nell'iniziare questo nuovo grande capitolo della digitalizzazione, in cui i dati fanno davvero la differenza, perché emergono molto più che semplici dati dalle ricerche su internet o dagli acquisti on line. Sono dati su come funziona davvero il mondo reale. Quindi la sfida che ci attende è assicurarci che i dati vengano messi in comune, condivisi e utilizzati per i migliori scopi. E qui, naturalmente, dobbiamo fare qualcosa in particolare per coinvolgere tante piccole e medie imprese. Ed è un ostacolo maggiore per una piccola impresa poter utilizzare i propri dati, ma anche i dati messi in comune, rispetto a una grossa azienda, che ha una configurazione diversa. Quindi, ovviamente, dobbiamo fare le cose specificamente per adeguarci al contesto economico europeo e sfruttarlo al meglio".

Creare spazi comuni europei per i dati

E non bisognerebbe introdurre incentivi per incoraggiare le imprese a condividere i dati? Sembrano piuttosto riluttanti a farlo...

"Sì, lo sono. E penso che uno dei motivi per cui sono riluttanti a condividere dati è che si sentono dire in continuazione che sono seduti su una miniera d'oro. Magari non lo usano, ma se sono seduti su una miniera d'oro, perché condividere quest'oro? E penso che ci sia una mancanza di chiarezza giuridica, ma anche di chiarezza contrattuale. Quindi stiamo lavorando su quel che chiamiamo 'spazi comuni di dati', In pratica è una metafora per ottenere i giusti obblighi contrattuali, in modo che se sono un imprenditore, metto i miei dati in questo spazio comune e magari ne estraggo altri sapendo di poterlo fare in sicurezza. E lo facciamo in diversi ambiti. Il più attuale in questo momento è, naturalmente, lo spazio dei dati sulla salute, perché abbiamo visto con il Covid quanto sia importante poter analizzare i dati sanitari, poter analizzare le molecole, il virus stesso. E ovviamente sono inclusi i dati su come funzionano i vaccini. Naturalmente questo implica un grande lavoro di elaborazione dei dati. Quindi la costruzione di questi spazi comuni di dati potrebbe far sentire le aziende molto più sicure nell'utilizzare dati per sviluppare la propria attività e i propri modelli di business facendo molto più affidamento sull'economia digitale".

Applicare la legge sulla concorrenza

L'Atto sulla governance dei dati che lei ha presentato a novembre è stato presentato come un'alternativa al modo in cui i giganti della tecnologia gestiscono i dati. Ci parli delle sue preoccupazioni e delle sue esperienze con questi grandi gruppi, come si stanno comportando e perché pensa che sia importante fare qualcosa.

"Quello che dice è un punto molto importante. Dobbiamo trovare un modello in cui le persone non siano obbligate a condividere dati, ma se vogliono possano farlo, e possano farlo in un modo che sia trasparente. E uno dei punti nell'Atto sulla governance dei dati è una sorta di modello per creare intermediari, in modo da avere un partner neutrale per ricevere dati, ma anche per consentire ad altri di usare i dati. Questo sarebbe un modello diverso e più dinamico, perché consentirebbe a molti più attori di partecipare all'economia dei dati, in cui vediamo da parte di alcuni grossi gruppi tecnologici questo gigantesco accumulo di dati che rende molto, molto difficile per altri avere un vantaggio competitivo, perché più dati hai, be', meglio puoi, per esempio, prevedere quali tipi di richieste arriveranno dai clienti. Purtroppo vediamo anche che alcuni di questi gruppi usano dati in un modo che non rispetta davvero le regole della concorrenza. Abbiamo le conclusioni preliminari sul caso Amazon. Amazon sta consentendo ad Amazon Retail di avere accesso ai dati dei molti commercianti che sono su Amazon Marketplace, mentre i commercianti stessi non hanno accesso allo stesso livello di dati di altissima qualità sul comportamento dei consumatori. Quello è riservato ad Amazon Retail, dando loro un vantaggio senza precedenti. Quindi, naturalmente, la legislazione, la legge sui dati arriverà poi, ma è anche l'attenta applicazione della legge sulla concorrenza a garantire che i vantaggi della data economy siano ampiamente diffusi".

Aziende come Facebook o Google hanno divorato i nostri dati negli ultimi anni, traendone benefici economici. Allora, questo Atto sulla governance dei dati, e le informazioni che ci aspettiamo dalla Commissione tra qualche mese, sono il modo di recuperare il tempo perduto?

"Produrrà un modello diverso e un modo diverso di governare i dati. E nel frattempo, penso che ci sia anche una sorta di risveglio su ciò che significhi davvero prenderci cura dei nostri dati, che siano dati personali oppure no. Finché non sono utilizzati in modo improprio, penso che sia davvero qualcosa di positivo quando, per esempio, i fornitori di servizi digitali chiedono ai loro clienti: accetti che quest'app continui a monitorare quello che che fai sul tuo telefono anche quando non la stai usando attivamente? In modo che i consumatori possano scegliere facilmente non solo come avere diritti, ma anche farli valere nell'ambito della proprietà dei dati già creati, e sapere anche quando sono creati nuovi dati su quello che fanno o non fanno online. Al tempo stesso dobbiamo distinguere fra dati personali, che hanno una loro governance, e dati industriali, perché per i dati industriali abbiamo una gamma di possibilità completamente diverse, perché non abbiamo bisogno di preoccuparci delle stesse cose di cui ci preoccupiamo per i dati personali. E in questo, naturalmente cerchiamo di avanzare il più velocemente possibile".

Ha avuto reazioni da parte di Big Tech?

"Non molto, penso che sia ancora presto. All'inizio di ogni deliberazione al Parlamento e al Consiglio europeo, di solito riceviamo un approccio abbastanza positivo, poi tendiamo a vedere in seguito che ci sono tentativi di rendere le proposte meno intrusive o, ai miei occhi, meno efficaci nel rendere il mercato aperto e contestabile. Ma questo resta da vedere".

Concretizzare i discorsi

Un argomento importante è quello dei valori europei e dei nostri diritti. Gli eurodeputati stanno esaminando la legge sulla governance e dicono che dovrebbe basarsi sulla privacy, sulla trasparenza e sul rispetto dei diritti fondamentali. Come farete a trovare quest'equilibrio?

"Al centro del modello europeo c'è infatti l'impegno a prendere i nostri discorsi e inserirli nella vita di tutti i giorni, perché altrimenti tutti questi discorsi non hanno senso. Quindi la cosa difficile qui è dire: bene, se vogliamo consentire ai cittadini di far valere i propri diritti e al tempo stesso permettere all'economia di ottenere il meglio che i dati possono produrre. allora dovremo trovare un equilibrio e anche distinguere tra i diversi tipi di dati. So che questo è un punto che può sembrare futile, ma in realtà è molto importante, perché non tutti sono dati personali e non tutti i dati che sono stati resi anonimi possono essere ricondotti al proprietario d'origine. E penso che abbiamo bisogno di questo tipo di sfumature nei dibattiti, per avere una configurazione che crei fiducia, non solo per chi di noi fornisce dati, ma anche per le aziende che li useranno attivamente, in modo che possano farlo nella certezza del diritto e andare avanti con i loro processi innovativi".

Come dice lei, una cosa può essere una dichiarazione della Commissione e un'altra ciò che sta accadendo sul campo. Il che mi porta alla prossima domanda, sulla legge sulla protezione dei dati. È stato dimostrato che i paesi europei non sono in grado di far applicare correttamente le regole del Gdpr. Allora, che cosa prevedete di fare?

"Una delle ragioni per cui sappiamo che ci sono differenze fra gli stati membri nel far applicare i diritti alla privacy è che osserviamo la questione molto da vicino e lavoriamo a stretto contatto sia con il Comitato europeo per la protezione dei dati sia con le autorità nazionali, in modo che le migliori pratiche siano condivise il più rapidamente possibile e in modo che gli effetti sulla vita reale dei diritti sulla privacy siano sempre più omogenei in tutta l'Unione. E poiché si trattava di una novità quando il Gdpr è stato implementato circa tre anni fa, abbiamo ancora del lavoro da fare nella fase di implementazione. E per tutti coloro che lavorano nel campo della legislazione, la colegislazione per noi della Commissione, naturalmente questo è un promemoria davvero prezioso del fatto che dobbiamo assicurarci che la legislazione che abbiamo proposto, e che alla fine è approvata dal parlamento e dal consiglio, sia applicabile, che possa essere realizzata sul terreno, che per il minimo compromesso non si rendano le cose così complicate da renderle di difficile applicazione nella vita reale".

L'intelligenza artificiale è già qui

I dati sono necessari anche per lo sviluppo dell'intelligenza artificiale e solo poche settimane fa - ne abbiamo parlato qui su Euronews - lei ha messo sul tavolo la sua proposta di un regolamento europeo sull'intelligenza artificiale. Ora, questa proposta è stata accolta positivamente, ma alcuni hanno fatto notare che è vaga in alcuni punti e potrebbe contenere delle scappatoie. Che cosa risponde?

"In una proposta legale è molto importante discutere le definizioni, in modo che noi che la proponiamo e coloro che l'approvano abbiamo la stessa comprensione, e in modo che coloro che la usano poi siano in grado di vedere che ha un senso, e che, in caso di disputa in tribunale, il tribunale abbia una buona base su cui ragionare e non trovare delle sorprese lungo la strada. Abbiamo fatto un grande sforzo per creare una definizione a prova di futuro su cosa sia l'intelligenza artificiale, perché si tratta di diverse tecnologie. Ci siamo allora concentrati sui casi d'utilizzo, dicendo, per esempio, che è utilizzata per prevedere, assistere nel processo decisionale, trovare strutture regolari, quindi invece di concentrarci sulla tecnologia esatta ci siamo concentrati su quel che può effettivamente realizzare".

Ricordiamo quali vantaggi lo sviluppo dell'intelligenza artificiale potrebbe produrre nella loro vita di tutti i giorni.

"Io ne sono molto entusiasta. Per esempio, ho visto che nel fare la diagnosi di un cancro è possibile usare l'intelligenza artificiale per aiutare il medico a ottenere una lettura molto più dettagliata dei numerosi test sanguigni in modo da avere una diagnosi migliore e ottenerla più velocemente, così che, se è necessaria una terapia, si possa iniziare in fretta. Può servire a prevedere come scorrerà l'acqua, in modo da potersi proteggere facilmente contro gli effetti dei cambiamenti climatici. Può riguardare l'uso di fertilizzanti e pesticidi nell'agricoltura, a seconda della qualità del suolo o delle condizioni meteorologiche. L'intelligenza artificiale può aiutare l'agricoltore a ridurre al minimo l'uso di fertilizzanti e pesticidi. E poi naturalmente gli esempi più banali sono i consigli che riceviamo per il prossimo film che potremmo voler guardare o il prossimo brano musicale che potremmo voler ascoltare. Quindi, dall'aiutare ad avere un'importantissima diagnosi in fretta e bene a qualcosa che usiamo nella nostra vita di tutti i giorni, e praticamente tutto quello che sta in mezzo, l'intelligenza artificiale è già qui e penso che si diffonderà a quasi tutto quel che facciamo".

L'umano al centro della democrazia, del mercato e della tecnologia

Lei prima ha parlato degli spazi europei di dati sulla salute. Naturalmente, con la pandemia, la salute è al centro dei nostri pensieri. Tutti vogliamo essere in buona salute. Allora, mi piacerebbe saperne di più. Quando potrebbero diventare realtà?

"Penso che ci vorrà ancora un po' di tempo, dobbiamo fare molta attenzione perché i dati sanitari sono qualcosa di molto personale. Quindi è molto importante che facciamo le cose per bene, in modo da creare la fiducia necessaria perché le persone decidano di affidare i loro dati sanitari a uno spazio dati. Soprattutto sapendo che la maggior parte degli europei è contraria, non è interessata a condividere i dati sulla propria salute, qualunque sia lo scopo. Naturalmente dobbiamo lavorare su questo aspetto per riuscire a convincere le persone che il modo in cui questi spazi sono impostati è sicuro. Potremo allora usare questi dati per trovare cure migliori, per prevedere meglio ad esempio gli effetti a lungo termine, per curare il Covid in un modo anziché in un altro, e così potremo migliorare i nostri sistemi sanitari. Quindi noi all'interno, tutti coloro che sanno di questo, stiamo lavorando con grande attenzione, per cui ci vorranno ancora alcuni mesi prima di poter lanciare questo spazio".

Un'ultima domanda. Che cosa vorrebbe lasciare in eredità per quanto riguarda questa battaglia mondiale sui dati? Che cosa vorrebbe vedere scolpito nella pietra prima di lasciare l'incarico?

"Mi restano ancora più o meno tre anni e mezzo, quindi penso che dovrei concentrarmi sul lavoro che ho sotto mano, e non su una presunta eredità da lasciare. Ma il lavoro che ho sotto mano è dare ai cittadini la certezza che i mercati sono al loro servizio, che la tecnologia è al loro servizio in quanto umani, perché è questo il principio centrale di una democrazia, che il punto di partenza sono l'integrità e la dignità di ciascuno di noi. Ed è a questo che penso ogni giorno quando mi alzo la mattina, perché penso che questo sia il fulcro della nostra società. E la tecnologia e il mercato dovrebbero sapere questo, che non siamo solo materie prime o prodotti. Sono gli umani che devono essere al centro del mercato e della tecnologia".

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