Troppa crisi, troppa ripresa? Tra fallimenti in serie e inflazione

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Di Diego Malcangi
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Ripresa a "V", come Vaccino. Oppure no. Tra previsioni più o meno ottimistiche, i rischi legati a un eccesso di domanda al primo ritorno di fiducia e nello stesso tempo i fallimenti in serie, in settori devastati mentre altri crescono...

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L’ultimo Outlook del Fondo Monetario Internazionale, pubblicato nei primi giorni di aprile, presenta stime apparentemente ottimistiche per il 2021, con previsioni di crescita più elevate rispetto a quelle dell’ottobre precedente.

La crescita del PIL globale sarebbe del 6%, dopo una contrazione del 3,3% nel 2020; per gli USA si prevede una crescita del 6,4% (- 3,5% nel 2020); per la zona euro + 4,4% (- 6,6% nel 2020).

Una crescita a "V". Come Vaccino

Stime riviste al rialzo per via della prosecuzione degli interventi pubblici in alcune grandi economie, una ripresa anticipata spinta dai vaccini nella seconda metà dell’anno e anche un continuo adattamento delle attività economiche alla ridotta mobilità delle persone.

Il PIL, però, non racconta tutto di una crisi così particolare, né permette di capire che ripresa sarà, in un contesto in cui alcuni settori hanno beneficiato della pandemia (per esempio quello farmaceutico, ma anche quelli collegati alla digitalizzazione), altri hanno resistito (tipicamente i servizi, più adattabili al tele-lavoro) ed altri, quelli più esposti al pubblico, hanno subito un impatto devastante.

La pandemia, precisa l’FMI, “ha comportato una grave recessione globale che è unica per molti aspetti: la contrazione nel 2020 è stata molto improvvisa e profonda, comparandola alle precedenti crisi globali, anche se le politiche adottate per farvi fronte sono state rapide e consistenti. L’output globale è calato del triplo rispetto alla crisi finanziaria globale, e in metà del tempo. La crisi pandemica è particolare anche per l’impatto differenziato sui diversi settori e paesi, i canali complessi di trasmissione, e l’elevata incertezza sul percorso di ripresa, anche perché dipende dal destino del virus stesso”.

La complessità della situazione, e quindi le difficoltà di ogni analisi e previsione, è stata così sintetizzata dalla Consob, nella recente analisi intitolata "La crisi Covid-19: impatti e rischi per il sistema finanziario italiano in una prospettiva comparata":

"Alle misure di distanziamento sociale corrispondono effetti negativi sia sull’offerta sia sulla domanda di beni e servizi (consumi interni ed esportazioni nette) sia sulle scelte di investimento delle imprese, che a loro volta generano ricadute sul sistema finanziario (mercati finanziari e banche) trasformandolo in un potenziale detonatore della crisi".

"I meccanismi di trasmissione, sebbene individuabili, sono tuttavia complessi perché includono effetti sia diretti sia indiretti. Per quanto riguarda lo shock dal lato dell’offerta, ad esempio, le conseguenze dirette del fermo di un’attività in un comparto e in una determinata area geografica possono associarsi alle conseguenze indirette su altri comparti e altre aree geografiche, a seconda rispettivamente del livello di integrazione verticale delle attività (ossia delle interdipendenze lungo la catena produttiva di un determinato bene o servizio) e del grado di globalizzazione delle attività stesse. Quest’ultimo profilo, in particolare, è un fattore critico di trasmissione degli shock all’offerta tra comparti e paesi tanto più rilevante quanto più la diffusione della pandemia è asincrona (come nel caso del Covid-19) e quanto più i modelli produttivi risultano imperniati sulla delocalizzazione delle attività e/o fortemente dipendenti da catene globali di approvvigionamento che aumentano le interdipendenze (dirette e indirette) con la produzione estera".

Da mesi ferve il dibattito sulla forma della ripresa globale a venire: a “V”, cioè rapida quanto è stato il calo, a “U”, vale a dire con un’iniziale fase di stagnazione e una ripresa un po’ più in là nel tempo, o a “W”, cioè con una ripresa seguita però da una nuova recessione. E c’è anche quella a “L”, che parla di una lunga stagnazione post-crisi. Ma non sembrerebbe questo il caso, stando alle previsioni dell’FMI.

Un dato interessante è quello cinese: non tanto per le stime dell'FMI quanto per quelle del governo di Pechino, che propone il 6% di crescita: largamente sottostimato secondo tutti gli analisti, ma la scelta apparentemente prudenziale del premier cinese, Li Keqiang, potrebbe avere due motivazioni: sorprendere in positivo i mercati, spingendo così le azioni cinesi, e privilegiare l'aspetto qualitativo della crescita rispetto a quello quantitativo. Insomma è il solito traino cinese, ma potrebbe essere un po' diverso, questa volta.

L'effetto molla e i timori per il sistema bancario

C'è però da tenere in conto il temuto "effetto molla", che sembrerebbe preannunciato dall'accumularsi dei risparmi sui conti correnti non tanto e non solo dei consumatori quanto, soprattutto, delle imprese: quella liquidità potrebbe scaricarsi improvvisamente, generando effetti inflattivi anche pesanti. La BCE potrebbe quindi essere portata a tagliare prima del previsto gli acquisti di titoli di debito, anche se in presenza di un mercato del lavoro ancora debole le banche centrali potrebbero essere portate a ritenere che si tratti di una fiammata transitoria, alla quale non varrebbe la pena di reagire in modo così immediato.

Ma il rischio c'è, e in particolare per l'Italia se la BCE si trovasse a dover immettere meno liquidità, e quindi a comperare meno titoli di Stato (e anche di debito privato) potrebbe essere un enorme problema.

Il dubbio amletico nelle parole del vice-presidente della BCE, Luis de Guindos, che questo 14 aprile presentava il rapporto annuale dell'istituto di Francoforte:

"Da un lato, una rimozione anticipata o una riduzione delle misure di aiuto rischia di innescare una ondata di insolvenze che avrebbe un pesante impatto sull'economia e sulla qualità degli attivi bancari. Dall'altro erogare aiuti troppo a lungo potrebbe significare tenere in vita imprese non sostenibili a discapito della sostenibilità del sistema bancario, della produttività e di conseguenza della crescita economica".

La presidente della BCE, Christine Lagarde, ha insistito:

"è estremamente importante che i Governi siano in grado di valutare i rischi nel modo più veloce ed efficiente, in modo da distinguere fra le imprese che hanno un problema di liquidità e quelle che hanno un problema di solvibilità".

In estrema sintesi: lasciar cadere quelle che comunque non ce la farebbero. Ha detto, Christine Lagarde, di aspettarsi molti fallimenti. E la preoccupazione principale per la tenuta del sistema bancario, che per ora sta molto meglio rispetto alla crisi del 2011, è proprio l'eccessiva esposizione sugli NPL, i crediti deteriorati delle imprese. Di questo aspetto specifico parleremo prossimamente, con l'interessante proposta di "condono creditizio" presentata al Senato italiano.

K, più mina che vitamina

Al di là delle possibili fiammate inflazionistiche legate a un eccessivo slancio della ripresa (e quindi all'eccesso di domanda), è andando a vedere i dati disaggregati che si può riscontrare un problema, quello del disallineamento della crescita per settori, che può creare ulteriori problemi a termine.

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C’è chi parla di una ripresa a forma di “K”, con alcuni settori che si riprenderanno rapidamente o continueranno a crescere ed altri che caleranno ancora.

E questa forma a “K” può essere dovuta a tre diverse ragioni, anche non alternative l’una all’altra: politiche fiscali e monetarie in risposta alla recessione, che potrebbero aver favorito alcuni più di altri; l’attacco diretto della crisi ad alcuni settori più di altri; la “distruzione creativa” descritta da Joseph Schumpeter, cioè quando nel corso di una recessione nuove tecnologie o industrie rimpiazzano quelle vecchie.

Il 10 giugno del 2020, sul Financial Times, Peter Atwater avvertiva:

"Per alcune grandi imprese globali la pandemia da Covid-19 sembra non essere altro che un colpetto sulla via di un dominio accresciuto. Grazie alle misure senza precedenti con cui le banche centrali hanno iniettato liquidità e all’entusiasmo degli investitori, le loro azioni non hanno solo avuto un balzo: in alcuni casi, in particolare per le aziende tecnologiche, hanno stabilito nuovi record storici. In più, il loro accesso ai mercati del credito non è mai stato così buono. La scorsa settimana, per esempio, Amazon ha battuto il record del minor tasso di interesse per qualsiasi bond nella storia industriale statunitense. Ma per alcune imprese sovraindebitate, rivenditori legati all’economia reale, la pandemia ha significato la fine. Neiman Marcus, Pier 1 e J Crew sono andate tutte in bancarotta quest’anno. E saranno difficilmente le sole".

L’articolo si intitolava: “il gap tra chi ha e chi non ha si amplia drammaticamente”. Non recentissimo, ma ha avuto tutte le conferme dai fatti dei mesi successivi.

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L'opinione di chi presta il denaro alle piccole imprese

Ritenendo quindi che i settori più colpiti si trovino soprattutto nella macro-categoria delle piccole e medie imprese, abbiamo sentito chi a quelle imprese presta il denaro, e lo fa con la garanzia dello Stato: Ignazio Rocco di Torrepadula è CEO di Credimi, la startup nata nel 2015 e oggi leader europeo nel credito digitale alle piccole imprese (nel video l'intervista in versione integrale: che vi invitiamo ad ascoltare, in particolare se siete interessati al funzionamento del credito e di questo intermediario in particolare: garanzie, meccanismi, verifiche... ).

Ci descrive una situazione che ha dinamiche molto diversificate per settori, con alcuni comparti in fortissima crisi e altri invece che crescono. I settori più esposti al pubblico sono crollati, spiega, ma

"bisogna anche tener presente che in questa crisi poi tutto il resto dell'economia non è necessariamente così colpita: chi produce merci – non solo chi produce alimentari, ma anche chi produce merci e manufatti che vanno all'estero – ha per esempio in certi casi avuto anche degli incrementi, nel 2020".

"E quelli che sono più direttamente collegati alla ripresa con l'Asia, con la Cina, stanno vedendo una ripresa sempre più forte. Fino al punto tale che, come sappiamo, si stanno creando delle strozzature: non si trovano materie prime, i noli dei container costano moltissimo, c'è un aumento di inflazione in corso, e quindi ci sono una serie di settori che producono beni e manufatti non legati al consumo fuori casa, che stanno andando benino e che accelereranno sempre di più".

"In generale la manifattura va meglio dei servizi - poi i servizi includono appunto le attività al pubblico – e all'interno della manifattura vanno relativamente meglio le attività che esportano, e in particolare esposte all'Asia".

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"Quindi è un andamento molto differenziato, ed è una crisi diversa da quella del 2011: una crisi che vede alcuni settori meno colpiti, altri più colpiti e poi vede anche una grande differenza tra imprese che si stanno adattando o stanno cercando di adattarsi alle nuove condizioni, e imprese che invece non si adattano".

"Adattarsi significa per esempio potenziare tutti i propri canali di e-commerce, potenziare la propria capacità di essere su dei marketplace anche per imprese piuttosto piccole, potenziare anche la capacità di parlare direttamente con i clienti anche senza canale fisico, di fare consegne dirette, di raccogliere degli ordini e poi consegnarli in altro modo, quindi adeguarsi a tutti questi nuovi sistemi".

"Anche le piccole imprese al loro interno non sono tutte uguali: ce ne sono alcune che hanno investito, hanno innovato hanno cambiato e sono differenziate profondamente, e ce ne sono delle altre che invece magari cambiano meno, e quelle che cambiano meno effettivamente avranno problemi abbastanza gravi".

"Questo è quello che vediamo all'interno del contesto. Quindi: forte differenziazione per settori, e forte differenziazione anche di atteggiamento dell'imprenditrice o dell'imprenditore".

Nei mesi del confinamento si è verificato un forte incremento del risparmio privato: è dovuto solo al calo degli acquisti delle famiglie, o anche alle incertezze sulla ripresa?

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"il blocco di tutta una serie di consumi ha creato due conseguenze: per quanto riguarda le famiglie, si è creato questo eccesso di risparmio dovuto al fatto che c’è stato un crollo dei consumi, un crollo dei consumi per motivi evidenti, che ha fatto sì che si accumulassero questi soldi sui conti correnti delle famiglie; dall’altro lato, quello delle imprese, sono intervenute banche centrali e Stati immettendo moltissima liquidità. Quindi quello che hanno fatto è compensare questi minori consumi delle famiglie immettendo tutta questa liquidità sulle imprese, in forma di contributi e soprattutto finanziamenti. Questa liquidità però è arrivata alle imprese ma non è stata investita ancora completamente: in parte è servita a coprire delle perdite, che ci sono sicuramente state, però i dati suggeriscono che sia andata anche a creare delle riserve di liquidità. Quindi in questo senso la crisi ha creato queste due facce dello stesso fenomeno".

"Abbiamo fatto una survey sulle aziende tipiche delle nostre dimensioni, intervistandone 1.800, e quello che m’ha colpito molto è che di queste 1.800 aziende, quante hanno usato un qualsiasi finanziamento a medio termine nel 2020, rispetto a quelle che non lo hanno usato per niente? Mi sarei aspettato che il 90% l’avesse usato, o l’80%, invece era il 40, o il 35%. Voglio dire: il 60% non ha neanche usato un finanziamento, quindi ci sono dei segnali che mostrano che non è che questi finanziamenti siano andati tutti a coprire delle perdite terribili"

Però possono essere indice di una fase critica a venire, quanto meno in termini di incertezza

"Vado anche più in là: ci sono alcuni settori che sono stati funestati, disastrati. Quindi questo discorso che faccio è macroeconomico, ci sono alcuni settori per i quali la liquidità non esiste proprio minimamente. Il ristoratore avrà 0 liquidità, avrà bruciato tutti i finanziamenti solo per sopravvivere, e vale per i ristoratori, vale per il turismo, vale per molti esercizi di commercio al dettaglio, vale per moltissimi piccoli imprenditori che sono stati colpiti in una maniera mostruosa".

"Però quando si parla di economia nel suo complesso bisogna sempre fare una distinzione, perché il ristoratore ha un problema chiarissimo, ma sarebbe molto sbagliato pensare che tutti i quattro milioni di aziende sono come quel ristoratore, perché altrimenti si finisce per danneggiare ulteriormente il ristoratore, nel pensare che tutti abbiano quello stesso tipo di contesto"

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"È una situazione molto variegata, in cui bisogna capire che ci sono alcuni settori che sono in profondissima crisi e hanno dei danni terribili, però nell’insieme, siccome la tua domanda era ‘ma i 120 miliardi di liquidità dove son finiti?’ non è che sono andati tutti lì, sono anche andati su altre aziende che hanno comunque avuto dei danni ma che i dati dicono che hanno alcuni di questi soldi sui conti correnti".

"Poi è vero che c’è anche un grosso effetto delle grandi e grandissime imprese che hanno moltissima liquidità, cioè hanno utilizzato questa situazione per tirare il più possibile tutte le linee a disposizione – che è sempre una misura di emergenza dei tesorieri – e accumulare un sacco di scorte di liquidità sui propri conti".

"La filiera dei ristoratori, gli spettacoli, il turismo, gli alberghi, tutte le filiere diciamo che hanno servizi a contatto col pubblico sono tremendamente colpite e hanno dei cali di fatturato molto molto grossi. Quando si dice calo di fatturato medio del 20-25% è una tipicissima media di Trilussa, no? Perché in realtà non è una media dove più o meno tutti hanno un calo tra il 18 e il 26-27%. Invece qui ci sono alcuni settori che hanno un calo del 50-60% e altri che magari non ne hanno per nulla".

"È un quadro molto polarizzato, e la ripresa avrà la famosa forma di “k”, nel senso di alcuni settori che continuano a soffrire per parecchio, e altri che si riprenderanno".

Come funziona la garanzia dello Stato?

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"La garanzia dello Stato in Italia esiste da una ventina d'anni, ed è uno strumento che già da tantissimi anni supporta il credito alla piccola impresa".

"La differenza è che prima la garanzia dello Stato, con l'ultimo regolamento prima dell'epidemia, copriva tra il 50% e l'80% e alla fine la media nel nostro caso era il 70% delle perdite, e adesso copre il 90%".

"La garanzia dello Stato per i prestiti alle piccole imprese in Italia ha avuto storicamente la funzione di rendere il credito accessibile alle piccole imprese e ridurne i prezzi".

"Facciamo due conti comprensibili a chiunque: supponiamo di avere un'impresa, un gruppo di imprese che statisticamente, se tu fai prestiti, ti creeranno perdite per almeno il 10% di quello che hai prestato. Se hai davanti un gruppo di imprese di questo tipo non è che tu non possa finanziarle: tipicamente, dato che tu hai dei sistemi che isolano le migliori, quindi magari riesci a ridurre queste perdite dal 10 all'8%, e grazie al fatto che ti copri comunque con un tasso di interesse che copre sia le perdite che i costi, tu puoi fare finanziamenti però quei finanziamenti dovranno costare perlomeno quanto il costo del rischio e a quell'8% di costo del rischio devi aggiungere quello che vuole guadagnare il risparmiatore. Supponi che su prestiti così rischiosi il risparmiatore professionale vorrà guadagnare almeno il 4%. E arrivi al 12-13%. Poi dovrai aggiungere quello che vuoi guadagnare tu come finanziatore. Diciamo che arrivi al 15%, per dare un numero".

"Allora: questo 15% che è un tasso normale, che si ritrova in Inghilterra e in America, per i finanziamenti alle piccole imprese, invece è considerato, nella legislazione, ordinamento, mentalità sud-europea, più di tipo cattolico, è considerato non giusto, troppo alto".

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"Allora lo Stato mette delle leggi che mettono dei limiti ai tassi di interesse, e se tu mettessi un limite come è oggi per le leggi anti-usura, del 10-11%, la conseguenza è che nessuno presterebbe soldi alle imprese. Per cui non esisterebbe più il mercato del credito alle imprese, o meglio esisterebbe solo il mercato illegale, che è quello della criminalità".

"Quindi interviene la garanzia dello Stato: se quei tassi sono insostenibili, la garanzia interviene coprendo il rischio".

"Allora i conti, anche se tu hai una garanzia supponiamo del 60-70%, i conti tornano di nuovo, perché quell'8% che tu avevi di perdita diventa un 5-6%. Per cui sommando tutte le altri componenti riesci a prestar soldi al 9-10%".

"Questo per spiegare che la garanzia dello Stato non è una cosa introdotta durante la pandemia: è una cosa introdotta in certi Paesi, in particolare l'Italia, per rendere possibile il credito alla piccola impresa che sarebbe altrimenti impossibile. Non esisterebbe più, nessuno presterebbe alle piccole imprese".

"Poi, con l'epidemia, siccome questi rischi sono aumentati, lo Stato ha aumentato il livello di copertura. Questo fa sì che il 90% delle perdite sono coperte. Naturalmente il 90% delle perdite è tanto o è poco, dipende da quali sono le perdite di base. Se tu fai conto che le previsioni dei principali istituti di ricerca dicono che nel corso dei cinque anni di vita di un finanziamento le perdite che si subiranno sono più o meno il 15-20%, di conseguenza coprire il 90% di queste perdite significa comunque avere perdite dell'1,5-2% ne corso della vita di un finanziamento. Quindi, è comunque una perdita significativa".

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"Però è stato un intervento molto importante e molto efficace, anche perché fatto con inusuale rapidità e chiarezza, se ti ricordi la copertura del 90% è stata introdotta molto prima di tutti gli altri provvedimenti molto complessi. È un provvedimento molto lineare, molto semplice, anche di attuazione relativamente semplice, che in effetti ha permesso di far sì che quest'anno sono stati erogati complessivamente con le misure del fondo di garanzia 120-130 miliardi di euro di finanziamenti a imprese. Quindi è stato molto efficace nel far arrivare la liquidità alle imprese".

"Tanto efficace che adesso le imprese hanno anche molti soldi sui conti correnti."

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