Siria, il dramma dei rifugiati: la storia del giornalista fuggito in Spagna

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Di Anelise BorgesEuronews
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Milioni di rifugiati e altrettanti di sfollati: è il bilancio di 10 anni di guerra in Siria. Il racconto di un giornalista siriano attualmente in Spagna

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Il dramma dei rifugiati dalla Siria dura da dieci anni.

I numeri definiscono meglio i contorni della diaspora: quasi 7 milioni di persone, costrette a fuggire dalla guerra, a cui si aggiungono altri 6 milioni di sfollati entro i confini del Paese.

Muhammed Subat è un giornalista siriano riparato in Spagna: vive a Madrid da 1 anno e 8 mesi dopo aver trascorso il 2018 e 2019 a Istanbul, lavorando per una TV siriana. Racconta di aver sognato una vita tranquilla, lontano dal conflitto che ha piegato la sua terra: "Volevo un po' di riposo dopo tutto quello che ho passato - dice - ma quando sono arrivato qui, tutti i brutti ricordi sono tornati. Ho iniziato a pensare continuamente a tutto quello che mi è successo".

Dalle proteste alla repressione in Siria

Nella prima metà del 2011, sulla scia della cosiddetta Primavera araba, anche la Siria ha conosciuto una stagione di manifestazioni di piazza contro il governo di Bashar al-Assad per spingerlo alle dimissioni. In prima battuta, Al-Assad ha risposto alle proteste concedendo una nuova costituzione, approvata mediante referendum nel 2012, ma qualche mese più tardi, in occasione dell'insediamento del nuovo Parlamento siriano, il presidente siriano ha accusato i manifestanti di essere dei terroristi manovrati da potenze straniere. È stato l'inizio della dura repressione e di una guerra civile che ha causato la morte di mezzo milione di persone. 

Muhammed Subat pone l'accento sulla sua situazione e quella degli altri rifugiati: "Sono qui in Spagna a causa della guerra. Avrei voluto venire qui come studente, per viaggiare, guardare il calcio. Non volevo venire come rifugiato. Ma questa è la vita".

Subat sfoglia un album dei ricordi doloroso, lo stesso di milioni dei siriani che hanno manifestato per il cambiamento, rimuovendo foto e simboli di Bashar al-Assad dalle piazze e dai luoghi pubblici delle principali città della Siria. "È stato quello che ci ha dato la forza, il coraggio di continuare la lotta e la forza di parlare", commenta il giornalista, che nel 2011 aveva appena 20 anni.

I manifestanti denunciavano la corruzione del governo, l'ingiustizia e il crescente tasso di disoccupazione. Nei loro presidi, negli slogan scanditi nelle prime fasi della crisi, si sono ispirati ai successi iniziali di una potente ondata che stava cercando di trasformare il volto del mondo arabo.

"In quelle immagini ritrovo i momenti più belli della rivoluzione siriana - dice Subat - non c'è paura. Non c'era paura all'inizio".

L'inizio del dramma con l'assedio di Daraa

Ma la paura doveva arrivare. La risposta del regime siriano è stata inequivocabile. Oltre 6.000 truppe sono state dispiegate a Daraa, città al sud della Siria, teatro di alcune accese proteste anti governative. Daraa è stata sottoposta a un assedio di dieci giorni. Decine di persone sono state uccise e 1.000 sono state arrestate. 

Muhammad è stato ferito a una gamba ed è finito nelle prigioni di Assad per due volte. La sua testimonianza è il racconto delle torture di regime: "In uno spazio molto piccolo, stavano più di 100 persone. Ti torturavano con scosse elettriche. E gli insulti erano continui. Ti appendevano a testa in giù al soffitto anche per 9 o 10 ore, e ti picchiavano. Il nostro unico crimine era partecipare alle proteste e chiedere la libertà. Questo era il nostro crimine".

La fuga di milioni di siriani

Mentre la guerra raggiungeva il suo apice, Muhammed ha evitato la polizia e i bombardamenti per quasi 8 anni. Durante tutto questo tempo, il giornalista ha documentato il conflitto finché un giorno è stato costretto a fuggire. Guardando i video e le immagini del suo Paese, fatica a trovare le parole: "È passato molto tempo dall'ultima volta che ho visto queste immagini. È difficile per me. Mi fanno ricordare molte cose. Questo è il mio Paese, la mia famiglia, i miei amici. È tutto. Questa è la nostra causa".

Muhammed Subat ha due sorelle e cinque fratelli, due dei quali sono rimasti feriti in guerra e hanno perso le gambe. Il padre è morto a causa del Covid-19 due mesi fa.

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