Agenda Middle East: dopo il disimpegno degli Usa, quale futuro per il Medio Oriente

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Di Chris BurnsEuronews
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Lo scenario geopolitico in Medio Oriente nell'intervista con Fareed Zakaria, analista di politica ed economia internazionale

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Euronews, in collaborazione con il Forum Strategico Arabo, presenta Agenda Middle East.
La nostra nuova serie di interviste di punta vi metterà faccia a faccia con alcuni dei più influenti decision maker, leader ed esperti del Medio Oriente e chiederà loro informazioni sul futuro geopolitico ed economico della regione.

Unitevi a noi, una volta al mese, per condividere conversazioni avvincenti, opinioni informate e analisi approfondite su una delle aree strategicamente più importanti al mondo.

Il nostro ospite in questo episodio è Fareed Zakaria, giornalista indiano naturalizzato statunitense, esperto di politica ed economia internazionale. È stato descritto (Esquire) come "il consigliere più influente di politica estera della sua generazione" e come "una delle 21 persone più importanti del ventunesimo secolo". Il suo utlimo libro si intitola "Dieci lezioni per un mondo post-pandemico".

Fareed, è stato un inizio 2021 un po' difficile, no?

"Sì, è stato un inizio molto difficile, ma in un certo senso un inizio che fa ben sperare per il futuro. Quindi, teniamo a mente due grandi cose. La prima è che la democrazia americana si è riaffermata e ha trionfato. So che sembra tutto molto confuso, ma c'è tanta rabbia là fuori. C'è molta tensione. Ci sono molte persone che si sentono e sono in forte disaccordo tra loro. La domanda era: alla fine, si risolverà tutto in un quadro democratico? E la risposta è sì. Joe Biden inizierà il mandato. Sarà presidente e, quindi, andremo avanti".

Sì, va bene. Ma che dire di quello che abbiamo visto accadere al Campidoglio invaso: un allarme per altri che affrontano i movimenti populisti nei loro Paesi?

"Penso che la sfida qui sia davvero reale: abbiamo sviluppato un certo grado di disfunzione nel mondo democratico. Quando le passioni popolari si risvegliano, si genera adesso una sorta di lealtà tribale che diventa più importante della tua lealtà alla democrazia, supera la tua lealtà allo stato di diritto. Mi lasci dire un'altra cosa. Ci stiamo muovendo verso la fine del Covid. Stiamo entrando in un mondo post pandemico. La prima fase è andata piuttosto male. Siamo onesti. Con l'eccezione di alcuni Paesi dell'Asia orientale, praticamente ovunque le cose sono state gestite male. Dovrei citare gli Emirati Arabi Uniti come un'altra stella. Gli Emirati Arabi Uniti hanno gestito il Covid in modo eccellente, così come Taiwan e la Corea del Sud, ma per lo più si è verificata una cattiva gestione. Nella seconda fase, però, si passa dal settore pubblico, fondamentalmente, al settore privato: vaccini, terapie. E lì penso che ci supereremo".

Parliamo un po' di più anche della regione mediorientale e di questa sorta di nuovo disordine mondiale, dopo che gli Stati Uniti si sono ritirati da un certo numero di Paesi del mondo arabo. Vediamo nell'area altri attori che si contendono il potere, come la Turchia, la Russia, la Cina, l'Iran. Quanto questo ha complicato il tentativo di raggiungere una sorta di stabilità nella regione?

"Beh, l'ha detto lei perfettamente. La maggior parte della gente non si rende conto della condizione di fondo. Il fatto geopolitico sottostante, qui, è stato il ritiro degli Stati Uniti. L'avevo previsto nel mio libro, "Il mondo post-americano", e ho detto che il mondo post-americano non sarà bello. Quello che si vede in Medio Oriente è iniziato con il secondo mandato di Bush dopo la guerra in Iraq, giusto? Poi Obama e ora Trump, tutti se ne sono andati dal Medio Oriente, in parte perché la guerra in Iraq ha creato disordine e c'è un contraccolpo popolare, in parte perché gli Stati Uniti sono ora indipendenti dal punto di vista energetico. Ma il risultato non è, come lei dice, una sorta di pace e tranquillità armoniosa secondo le aspettative dei critici dell'imperialismo americano. Quello che si nota è che l'alternativa è la rivalità locale, la rivalità regionale e il caos".

Allora, gli americani non si lasceranno coinvolgere troppo. E gli europei? Voglio dire, sono i maggiori sostenitori della regione. Hanno buoni contatti. Ma fino ad ora non hanno raccolto quello che avrebbero potuto per il peso che hanno nell'area, giusto?

"L'Europa non sarà protagonista. La questione fondamentale è che l'Europa come entità strategica è un'idea. Non è una superpotenza. Si vorrebbe che fosse in grado di agire in modo mirato, ma non lo sarà. L'Europa agisce in modo mirato e strategico sul commercio, su cose come l'antitrust. Sulle questioni fondamentali di sicurezza nazionale, l'Europa è un'idea. Non è una realtà strategica e non lo sarà".

Volevo chiederle degli Accordi di Abramo, che prendono il nome dal profeta di tutte le fedi abramitiche. C'è l'economia dietro tutto questo? Forse è nell'interesse di tutte le parti calmare le acque e fare più commercio. Il commercio potrebbe essere quella sorta di collante che porta a una regione più stabile?

"Penso che gli Accordi di Abramo siano stati eccezionali. Penso che siano stati essenzialmente il risultato più significativo di Donald Trump, forse l'unico di politica estera. Ed è reale. Credo che probabilmente si dovrebbe dire che la radice di tutto sia da ricercare nella sicurezza nazionale. È nell'inimicizia e ostilità condivisa verso l'Iran e nella paura condivisa dell'Iran. Ma questo non significa che la parte commerciale sia insignificante. Sarebbe meraviglioso se potessimo vedere un po' di vera interdipendenza e armonia".

Allora è possibile costruire sugli accordi di Abramo una sorta di Camp David, o sto solo sognando?

"No, credo che lei abbia proprio ragione. Spero che l'amministrazione Biden cerchi di prendersi i vantaggi che ne derivano. E la mia sensazione è che, da quello che hanno detto, intendano farlo".

Quanto può essere d'ostacolo il fatto che Trump abbia istituito un'ambasciata americana a Gerusalemme?

"Non credo. Il problema non è la presenza dell'ambasciata. Il senso è più radicale e richiede che ai palestinesi sia dato un po' di rispetto, un po' di dignità e un po' di sovranità. Guardi, si può ritagliare una parte di Gerusalemme est, chiamarla Gerusalemme, o chiamarla Gerusalemme palestinese. Capite cosa intendo? Questo è ciò per cui i diplomatici sono pagati. Le soluzioni ci sono".

Guardiamo agli attori locali: il Consiglio di Cooperazione del Golfo, il CCG come blocco, soprattutto ora che l'Arabia Saudita e gli altri hanno tolto l'embargo sul Qatar. Cosa vede lì? Quali sono le prospettive, è possibile assicurare un po' di leadership nella regione?

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"Penso che se l'Arabia Saudita potesse misurare dove è stata e chiedersi se possa guidare il Consiglio di Cooperazione del Golfo nel modo in cui è stato tradizionalmente guidato, cioè con il consenso e con un tocco morbido, penso che si potrebbe fare molto. Penso che Mohammed bin Salman sia stato uno straordinario riformatore in patria. Ha realizzato cose che la gente sostiene da tempo in Arabia Saudita. Ora, ha agito spesso anche in maniera repressiva. Ha anche incarcerato molti dei sostenitori delle stesse riforme che propone".

Torniamo a questo, all'idea di togliere l'embargo in Qatar. Questo significa che in quella regione si è un po' abbassata la temperatura, non è vero? Voglio dire, le tensioni si sono stemperate, in questo senso. Israele ha normalizzato le relazioni con gli Emirati Arabi Uniti, con il Bahrein, con il Marocco. Questo potrebbe avere un effetto calmante e portare più stabilità nella regione?

"Assolutamente, è un buon segno. Indica la direzione principale che vorrei che prendesse la politica estera saudita, vale a dire capire che il blocco del Qatar è stato un disastro. Ricordate, hanno presentato una serie di richieste che, secondo loro, il Qatar avrebbe dovuto soddisfare prima di togliere il blocco. Il Qatar non ha soddisfatto una sola di quelle richieste, eppure il blocco è stato revocato. Se dovessero prendere un'altra strada basata sul consenso, che è stato il modo tradizionale di operare del GCC, penso che si potrebbe ottenere molto. E direi che gli Accordi di Abramo sono un grande passo avanti in quella direzione".

Parliamo del nucleare e del fatto che ora, ovviamente, gli Stati Uniti sono usciti dall'accordo sul nucleare e l'Iran ha fatto lo stesso, intensificando il suo programma nucleare. Quanto questo impedisce a Biden e agli europei di cercare di chiudere un nuovo accordo?

"In relazione a ciò che ha fatto l'amministrazione Trump, il problema è che, mentre si era in grado di esercitare una maggiore pressione sull'Iran, si è lasciato tutto in una situazione molto instabile, molto volatile. Quindi, penso che l'amministrazione Biden abbia assolutamente ragione a dire: cerchiamo di riportare l'Iran nella cabina nucleare e poi negoziamo su tutte le altre questioni".

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E l'ambiente? Voglio dire, per un po' la gente ha pensato: bene, meno auto in giro, si vola meno. Biden rientrerà nell'accordo di Parigi. Ma molte persone nel mondo della scienza dicono che non sarà sufficiente.

"La cosa più semplice, più potente, più efficace che si può fare è una sorta di prezzo del carbonio, una carbon tax. Dico questo perché, alla fine, sapete, io sono una persona che crede nel mercato libero. Ritengo che il modo migliore per il governo di regolamentare non risieda in tutta una serie di provvedimenti complicati. Si tassano le cose che si vogliono vedere di meno e si mette una quantità enorme di denaro nelle rinnovabili. Il risultato si vedrà nei prossimi 30 o 40 anni di transizione".

E si vedranno più gilet gialli, no? Deve essere una transizione giusta. Come si fa una transizione giusta con una carbon tax?

"Lei solleva una questione importante. Alcune di queste tendenze hanno senso per tutti, ma gli effetti distributivi sono imbarazzanti. Alcune persone ne beneficiano di più. Altre persone si fanno più male. Beh, forse abbiamo bisogno di avere qualche tipo di meccanismo di compensazione. Forse abbiamo bisogno di sussidi per quelle persone. Sa, bisogna riconoscerlo, è necessario coinvolgere tutti".

E guardiamo a soli 10 anni di distanza. Cosa ne pensa? Dove saremo tra 10 anni?

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"Penso che stiamo attraversando una transizione massiccia. Ed è perché il vecchio ordine sta cambiando. Ci stiamo muovendo su così tanti fronti contemporaneamente. Stiamo passando da un mondo dominato dagli americani a un mondo in cui non solo la Cina, ma anche altri Paesi stanno crescendo. Ci stiamo spostando verso un sistema in cui le donne sono veramente uguali. Credo che scopriremo che abbiamo reinventato questo mondo in un modo molto più inclusivo, molto più vario, molto più innovativo, molto più produttivo. Avremo i nostri problemi. Ma penso che tra 15 anni, preferirei vivere in quel mondo piuttosto che nel mondo di oggi".

Allora lei è ottimista sul fatto che il mondo avrà imparato da queste "Dieci lezioni da un mondo post-pandemico".

"Impariamo tutto? No. Facciamo nuovi errori? Certo. A volte facciamo di nuovo gli stessi errori? Sì. Ma fondamentalmente sì, impariamo e impareremo".

Risorse addizionali per questo articolo • Stefania De Michele

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