RSF: Nel 2020 uccisi 50 giornalisti. "I governi li prendono di mira"

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Il Messico uno dei paesi più pericolosi per chi lavora nell'informazione

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In America latina vengono assassinati. In Pakistan torturati e condannati a morte. In Turchia sepolti sotto pesanti condanne detentive. Secondo Reporters sans frontiers, che ha pubblicato il suo rapporto annuale, nel 2020 una cinquantina di giornalisti hanno perso la vita nel mondo a causa del loro lavoro. E il Messico, stritolato dal narcotraffico, risulta uno dei paesi più pericolosi del pianeta, per chi fa questo mestiere.

Pauline Adès-Mevel, portavoce di Reporters sans frontiers (RSF): "Per la pandemia i giornalisti sono stati meno presenti sul campo, ma resta lo stesso visibile una tendenza emersa da anni e che è diventata più chiara l'anno scorso: il 68% dei giornalisti uccisi in paesi non in guerra, praticamente due su tre, sono morti semplicemente perché presi di mira intenzionalmente. Pubblicano rapporti, svolgono inchieste che disturbano, e dato che diffondono notizie imbarazzanti per certi governi, vengono presi di mira ed eliminati".

Non sono solo le mafie e il narcotraffico a minacciare i giornalisti, come succede anche in Italia, ma anche le autorità costituite. Secondo il rapporto, negli Stati Uniti, numerosi giornalisti sono stati intimiditi e sottoposti a violenza per il solo fatto di coprire professionalmente le manifestazioni di Black Lives Matter, il più grande movimento di protesta antirazzista della storia del paese.

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