Europei sì e no: il Mittelfest fa riflettere. Da Srebrenica alla Val di Stava, l'empatia

Uno degli spettacoli del Mittelfest: Muhammad (Ikarai)
Uno degli spettacoli del Mittelfest: Muhammad (Ikarai) Diritti d'autore Luca A. d'Agostino/www.phocusagency.com
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Di Diego Malcangi
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Si è chiuso il Mittelfest 2020, rassegna europea di teatro, musica, danza: un successo, nonostante il Covid. Ma soprattutto molte riflessioni, e sullo sfondo la voglia di vivere. Insieme.

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Più lontani, più vicini: cioè intelligenza, cultura e savoir faire per trovarsi nonostante il Covid.

Cosa non semplice, e meno ancora in Friuli, regione di confine, esposta a flussi e regole non sempre negoziabili.

L'ultima edizione del Mittelfest si è appena conclusa, e naturalmente non poteva essere quella dei record, in termini assoluti.

Perché gli spettacoli teatrali si sono svolti al chiuso, il distanziamento ha imposto di lasciare vuote la metà delle sedie e per un festival a vocazione mitteleuropea è stato questa volta particolarmente difficile far arrivare artisti dai Balcani.

Ma proprio considerando tutte le difficoltà del caso e le cancellazioni di molti altri festival parla comunque di "edizione storica" Haris Pasovic, il direttore artistico: 25 spettacoli, di cui molte prime assolute o italiane, cui si aggiungono 14 repliche, in gran parte dei casi tutto esaurito; e grandi nomi, da Emma Dante (impegnata negli stessi giorni al Festival del Cinema di Venezia, con "Le sorelle Macaluso", piaciuto molto alla critica) al teatro sloveno di Maribor ai Berliner Philarmoniker a Giovanni Sollima a Vinicio Capossela e alla rinnovata collaborazione con la Dutch Performing Arts, che porta ormai da due anni gli spettacoli più innovativi anche in termini tecnologici; e poi, argomentano ancora a Cividale, se si guarda al numero di impieghi sul territorio - 55 aziende impegnate, 330 persone di cui 270 artisti - le difficoltà hanno imposto soluzioni diverse e questo ha portato anche a una maggiore commistione tra talenti locali e internazionali.

Certo le difficoltà non sono mancate e la programmazione può sembrare un po' più sfilacciata, o meno organica rispetto al tema prescelto, se la si compara alle edizioni precedenti. D'altra parte l'emergenza-Covid aveva anche imposto uno slittamento del calendario e questo ovviamente ha comportato una maggiore incertezza su molti aspetti, meteo compreso. 

Né si può pensare che i vincoli imposti dal Covid abbiano consentito di effettuare tutte le prove necessarie, soprattutto per gli spettacoli che hanno impegnato gruppi numerosi. Non tutto insomma era davvero all'altezza, così come è stato per altri festival che abbiamo segnalato nel corso della stagione. Dal bellissimo "Sconfinati", per esempio, ci saremo aspettati maggior slancio dai due attori. Più empatia, per l'appunto. Ma era una prima. 

Pasovic conclude comunque il suo mandato triennale con l'orgoglio di aver confermato la vocazione originaria del Mittelfest, dando o forse anche restituendo sfogo alla naturale proiezione europea di quella regione.

Il titolo della rassegna, "Empatia", è particolarmente significativo: e suona forse ancor più come esortazione che come tema di fondo, se teniamo conto del fatto che a venticinque anni di distanza sono ancora molti gli Europei che non conoscono o non ricordano o, soprattutto, non sentono come propria la tragedia di Srebrenica.

Luca A. d'Agostino / Phocus Agency
Da sinistra: il Direttore artistico Haris Pasovic, la regista bosniaca Jasmila Žbanić e Roberto Corciulo (presidente CdA Mittelfest)Luca A. d'Agostino / Phocus Agency

O nemmeno percepiscono ancora come parte vera dell'Europa i Paesi venuti dal cosiddetto "allargamento" (una riunificazione, in realtà):

"Io sono europeo, e artista. Questa è la mia identità, il mio modo di pensare e di operare", commenta Haris Pasovic: "So che ci sono ancora percezioni diverse, ed è sorprendente che il muro di Berlino sia a volte ancora in piedi nelle teste di molti europei occidentali, non in quelle degli europei orientali. E anche in modo particolare in ambito culturale. Cosa che trovo in qualche modo affascinante, perché chi fa cultura dovrebbe essere l'avanguardia, ma in realtà alcuni si trovano più nelle retrovie, su questi aspetti".

Del massacro di Srebrenica s'è parlato con il potente monologo di Roberta Biagiarelli, che da anni gira il mondo e ha già centinaia di repliche alle spalle. Ma se n'è parlato anche con Jasmila Žbanić, a sua volta impegnata in quei giorni al Festival del Cinema di Venezia con il suo "Quo vadis, Aida?": a sorpresa, la regista già Orso d'oro a Berlino si è presentata a Cividale per rendere visita all'amico e maestro Pasovic.

Mittelfest 2020
Roberta Biagiarelli - "Srebrenica"Mittelfest 2020

Ma c'era anche un altro anniversario: non di guerra si trattava, ma di industria ed ambiente - trentacinque anni fa, la tragedia della Val di Stava. "19 luglio 1985, una tragedia alpina" è stato forse uno dei momenti più alti del festival. La performance ideata da Filippo Andreatta e co-prodotta da Romaeuropa Festival e Centro Santa Chiara di Trento ha un forte impatto emotivo, in scena non compaiono attori, ma un coro in tute bianche che interpreta difficili distonie mentre testi proiettati raccontano la tragedia. Proprio l'assenza della voce narrante toglie militanza e aggiunge riflessione.

Due anniversari, quindi, due tragedie in quella macro-regione europea, entrambe metafora di qualcosa di ancora più vasto.

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Vinicio Capossela - "Pandemonium"Luca A. d'Agostino/www.phocusagency.com

Forse proprio "Pandemonium" lo si potrebbe chiamare, dal titolo dello spettacolo di Vinicio Capossela, "pesante" e divertente nello stesso tempo, e naturalmente i riferimenti alla pandemia e ai demoni e al divino trovano sfogo nell'esorcismo finale, quando non si può non battere le mani a ritmo e si vorrebbe tanto alzarsi e ballare tutti insieme, schiacciati sotto il palco. Perché la musica è pur sempre musica e l'arte finisce sempre per ricollegarci alla vita.

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