La rabbia in Libano, più esplosiva dei depositi del porto

La rabbia in Libano, più esplosiva dei depositi del porto
Diritti d'autore Hussein Malla/Copyright 2020 The Associated Press. All rights reserved.
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Di Paolo Alberto ValentiANSA
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I libanesi sono in piazza a Beirut contro una classe politica corrotta e incapace, lo sdegno per l'assenza di dimissioni spontanee dopo la catastrofe apocalittica e la strage delle esplosioni al porto

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La Direzione Generale delle Forze di Sicurezza Interna libanesi ha confermato l'uccisione di un agente di polizia ed ha aggiunto che oltre 70 agenti sarebbero rimasti feriti negli scontri scoppiati durante le manifestazioni di protesta di sabato pomeriggio a Beirut. Si parla inoltre di una ventina di arresti. La tensione in Libano è all'acme.

Una manifestazione spontanea

La voce esasperata, la lucida visione di un dramma nazionale diventato un'idra multiforme la racconta Bilal Mehdi, che accresce la schiera di chi è sceso in piazza mosso ormai da un malcontento profondo: " Il governo merita una lezione - dice -  e la lezione è stata anche quello che è successo al porto, ecco la verità... la gente vuole ricostruire il paese". In effetti non si potrà stare con le mani in mano nei prossimi mesi/anni in Libano. Le proteste hanno avuto come bersaglio anche la sede dell'unione bancaria dove regna la devastazione nel centro di Beirut. Scontri fra la polizia e i dimostranti ci sono stati anche nelle adiacenze del parlamento.

Il livello più basso della politica

Aya Majzoub è una ricercatrice di Human Rights Watch che registra quanto il popolo libanese sia andato su tutte le furie questo perché " in gran parte i politici e i funzionari pubblici erano al corrente della giacenza di oltre di 2.700 tonnellate di materiale esplosivo lasciate nel porto per anni, senza alcuna misura di sicurezza. Nessuno si è scusato. Praticamente non ci sono vere dimissioni fra nessuno dei funzionari di alto livello. Vorrei dire che questa risposta è veramente sconvolgente".

La corruzione al massimo livello

La corruzione, la gravissima crisi socioeconomica adesso la devastazione del porto di Beirut sono fattori che spingono il paese in uno scenario drammatico questo mentre il fumo sale ancora da cumuli di cenere e macerie nel 'Ground Zero' del porto di Beirut, dove le squadre di soccorritori libanesi, italiani e di altri paesi, giunti in Libano subito dopo la potentissima esplosione di martedì scorso, sperano di salvare gli ultimi superstiti, se Dio vuole.

La lunga lista delle vittime

Delle oltre 5mila persone ferite, 120 sono in condizioni gravi e il bilancio potrebbe aggravarsi. E si contano ancora 60 dispersi che potrebbe finire in un elenco più pesante dei morti. "Lavoriamo giorno e notte per trovare i dispersi ma le speranze sono appese a un filo", afferma il generale Jean Nohra, a capo delle operazioni di soccorso dell'esercito libanese, durante una caotica conferenza stampa improvvisata di fronte a decine di giornalisti locali e stranieri assiepati nell'area del porto di Beirut. Secondo il ministero della sanità libanese, delle 154 vittime 25 non sono state ancora identificate. "Per ora abbiamo ritrovato soltanto brandelli di corpi; difficile dire a chi appartengano; alcuni sono stati identificati come i vigili del fuoco giunti qui dopo la prima esplosione. Sono stati vaporizzati , erano vicinissimi al luogo della seconda e più potente deflagrazione". Tuttavia il  generale Nohra e il suo aiutante, il colonnello Roger Khoury, non vogliono rispondere alle insistenti domande dei giornalisti sulle cause del primo incendio, verificatosi martedì pomeriggio, dentro o forse vicino l'Hangar n.12, dove erano stoccate le 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio esploso in maniera devastante pochi istanti dopo. 

La presenza dell'Italia

L'Italia è presente nel 'Ground Zero' del porto di Beirut con una squadra di 17 esperti, tra vigili del fuoco e esercito, specializzati nel monitoraggio dell'ambiente potenzialmente contaminato proprio per proteggere il lavoro delle squadre di soccorritori. Queste sono coordinate dal Gruppo dell'Onu per la ricerca e il soccorso internazionale (Insarag) di cui fanno parte, oltre ai militari libanesi, squadre di soccorritori di vari paesi arabi ed europei.

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