Violenza sulle donne: "Com'eri vestita?", la domanda che non va più fatta

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Di Cinzia Rizzi
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Si è conclusa al Tribunale di Milano la mostra itinerante, che racconta storie di violenze sessuali attraverso gli abiti di chi le ha subite

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Si chiude questo venerdì, in occasione della Festa della Donna, il viaggio di "Com'eri vestita?", la mostra itinerante, che racconta la storia di abusi sulle donne, conclusosi al III piano del Tribunale di Milano, dopo una quarantina di tappe in giro per Italia. L'obiettivo è quello di sensibilizzare il pubblico sul tema, eliminando il pregiudizio che le vittime avrebbero potuto evitare uno stupro, indossando abiti meno provocanti.

Diciassette vestiti per diciassette storie

Diciassette vestiti, collegati a diciassette storie di violenza. Dal pigiama, al grembiule delle pulizie, passando per il vestito da sera, che rappresentano in maniera fedele l’abbigliamento indossato dalla vittima al momento della violenza subita. Ognuno è accompagnato dalla storia scritta (raccontata in quattro lingue) di quelle donne che, subito uno stupro, si sono poi sentite chiedere: "Ma com'eri vestita?".

L'esposizione - la prima tappa si tenne alla Fabbrica del Vapore di Milano, l’8 marzo 2018 - è promossa da Libere Sinergie, un'associazione "piccolina, fatte di donne caparbie". Abbiamo intervistato Alessia Guidetti, presidente dell'associazione, che ci ha raccontato da dov'è nata l'idea. "Il progetto chiamato 'What Were You Wearing' è nato nel 2013 oltreoceano, da un'idea di Jen Brockman, direttrice del Centro per la prevenzione e formazione sessuale di Kansas", ha dichiarato la Guidetti. "Libere Sinergie nel 2017 è venuta a conoscenza dell'iniziativa americana e ci siamo messi in contatto con la Brockman. Ci ha autorizzato a farla, anche con storie di cui siamo venuti a conoscenza noi stessi". Libere Sinergie l'ha quindi adattata al contesto socioculturale italiano.

Il limite del consenso

Una mostra che ha riscosso grande successo in giro per il Bel Paese e che ha visto in modo particolare donne tra i visitatori. Ma non sono mancati anche tanti uomini, interessati al tema.

"Quello che vogliamo è far capire che esiste il limite del consenso. Io posso essere vestita in qualsiasi modo, io posso anche averti 'provocato'...", prosegue la Guidetti. "Ognuno di noi può decidere di agire in qualsiasi maniera, ma poi arriva un momento nel quale dice 'no'. Quello è il momento del consenso. Quindi non importa quale sia l'abito, non importa che io sia vestita da educanda o altro, se io dico di 'no', è no!".

La violenza non è colpa di chi la subisce, ma una scelta dell'aggressore. "Anche perché la violenza è una scelta di chi agisce in maniera violenta. Dobbiamo smetterla di pensare che sia una conseguenza, non è una malattia, ma una scelta. Uno sceglie di agire in maniera violenta. Questo è che noi vogliamo inculcare alle nuove generazioni".

Come si può combattere la violenza contro le donne? "Parlandone. Penso che l'unico modo, oltre alla formazione, è parlarne", spiega la presidente di Libere Sinergie. "Soprattutto dare l'idea che ci sia una mano tesa alla donna che la subisce. Viviamo ancora troppo in un silenzio emotivo. Viviamo ancora purtroppo una sorta di colpevolizzazione quando subiamo una violenza, che ci impedisce di raccontarla. Mentre il primo passo per combatterla è quello di parlarne".

La mostra "Com'eri vestita?" continuerà in versione light. "Daremo la possibilità ad altre associazioni che la vogliono portare in giro per l'Italia di farlo", conclude la Guidetti. "Daremo le storie, il know how, le informazioni per poterla realizzare, come l'abbiamo realizzata noi".

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