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Intervista al portavoce dei gilet gialli: dialogo, ma il popolo non aspetta

Intervista al portavoce dei gilet gialli: dialogo, ma il popolo non aspetta
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Di Diego Malcangi
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Intervista a Jason Herbert, uno dei portavoce del movimento francese dei gilet gialli. È l'uomo del dialogo, ma accusa con forza il governo e Macron

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Buongiorno, ben ritrovati qui, per il nostro spazio di approfondimento, con una puntata un po' anomala, cha sarà in francese: logico, ci occupiamo in effetti di una faccenda per il momento tutta francese, ma in realtà rischia di essere piuttosto europea, tra non molto.

Come invitato, come ospite oggi abbiamo Jason Herbert che è uno dei portavoce dei gilet gialli di cui avete ampiamente sentito parlare in questi giorni. Lo intervisteremo quindi nella sua lingua madre.

Allora, benvenuto Jason Herbert, Lei è uno dei portavoce di questo movimento che nessuno ancora conosce in tutta la sua realtà, che è piuttosto articolata. Che cosa rappresenta, in effetti?

Noi rappresentiamo semplicemente la miseria sociale, il disprezzo del governo francese contro il suo popolo, e rappresentiamo la voglia di cambiamento, i francesi hanno voglia di poter lavorare e di poter lavorare degnamente.

Come valuta gli annunci di Emmanuel Macron, che annulla il rincaro delle accise previsto da gennaio? È già un passo positivo, rilevante, o qualcosa di transitorio?

È una buona cosa per i gilet gialli perché dimostra la nostra forza, ma si tratta di aumenti che erano previsti su più anni, e semplicemente ha sospeso l'aumento per il 2019. È già un primo passo da parte del governo, ma ci aspettiamo molto di meglio, perché non è questo che ci consentirà di continuare a vivere.

Ha incontrato il Primo Ministro, Edouard Philippe, prima di questi annunci. Era una situazione tesa, si parlava di minacce contro alcuni di voi rappresentanti, si parlava del fatto che avete chiesto la trasmissione dell'incontro in streaming, cosa che il governo ha rifiutato... Prima di tutto, perché è Edouard Philippe e non Emmanuel Macron a rispondere? E poi, che impressione le ha fatto Edouard Philippe, ha l'impressione che possa essere ben intenzionato?

Penso che in questo incontro Edouard Philippe ha potuto ascoltare quello che avevamo da dire. Ma la mia impressione è che abbia le mani e i piedi legati da Emmanuel Macron, che non abbia alcun margine di manovra possibile, e che sia chiaramente Emmanuel Macron a decidere tutto e che Edouard Philippe non abbia davvero diritto a dire la sua. Non abbiamo incontrato Emmanuel Macron, perché in quel momento era in Argentina. D'altra parte passa molto tempo all'estero e poco in Francia, e c'è da chiedersi se si consideri davvero il Presidente della Francia o piuttosto un presidente del mondo.

C'è una definizione che è comparsa recentemente, 'gillet gialli moderati': in questo quadro, Lei cosa rappresenta? Si riconosce anche in quei gillet gialli che dicono di voler penetrare nell'Eliseo?

I gillet gialli moderati sono semplicemente delle persone che sono pacifiste, che vogliono esprimere in modo pacifico il loro scontento. E che pensano che il dialogo sia necessario. In sintesi è questo. In quanto all'Eliseo, e alle frasi pronunciate da Eric Drouet, la persona che ha detto quelle cose e guida il movimento 17 novembre, non sono necessariamente d'accordo perché il fatto di entrare nell'Eliseo sarebbe effettivamente qualcosa di fortemente simbolico ma non sarebbe quello a farci fare dei passi avanti, e oggi abbiamo bisogno di passi avanti.

Veniamo alla tassa sulle fortune. Il governo dice che non si tocca, pensa che debba restare una delle vostre rivendicazioni o è possibile relativizzarla?

Deve restare una rivendicazione, semplicemente perché i francesi hanno l'impressione che si chieda sempre di pagare ai lavoratori poveri, delle classi popolari e medie, e che i ricchi siano privilegiati e non paghino mai.

Sabato prossimo qui a Lione, dove si trovano i nostri studi, ci sarà la festa delle luci, ci sarà anche un'altra manifestazione, rischia di essere una situazione molto tesa, non solo a Lione ma è qui che si sovrappongono molte cose. Che appelli lancia?

Appelli alla responsabilità, alla misura, bisogna davvero fare attenzione a quello che si farà. Come ho detto il dialogo è fondamentale, sarebbe grave se ci fossero ancora morti o feriti, devo ricordare che abbiamo già quasi mille feriti, è troppo. Ma se ci sono dei disordini, delle violenze, delle persone che muoiono e sono ferite, la responsabilità ricadrà sul governo o sul Presidente della Repubblica che ci mettono troppo tempo a reagire con delle proposte concrete.

Che futuro vede per il movimento? Vi organizzerete politicamente, mirate magari alle elezioni europee?

Assolutamente no. Per una ragione molto semplice, ed è che i francesi non ne possono più della politica attuale, non ne possono più del sistema politico francese che dura da trenta-quarant'anni. La forza dei gilet gialli sta esattamente nel fatto di non essere politicizzati.

Nell'introduzione iniziale in Italiano ho detto che si tratta di un movimento francese ma non totalmente, rischia di essere presto europeo, sia perché sono rivendicazioni presenti un po' ovunque sia perché, che io sappia, ci sono già dei contatti in corso con altri movimenti, altre esperienze minori di cui abbiamo saputo più o meno recentemente in Italia e in altri Paesi, c'è stata una piccola riunione a Barcellona, ce ne sarà un'altra a Roma, non so esattamente quale frazione partecipi a cosa... Cosa mi può dire su questo?

È un movimento che sta prendendo una dimensione europea perché per molti il problema è in effetti il potere, la supremazia dell'Europa sugli Stati e sulla sovranità dei popoli. È per questo che il movimento dei gilet gialli si esporta in Germania, in Belgio, in Spagna o in Italia e altri Paesi, perché i cittadini europei sanno bene che il problema principale è l'Europa, o il funzionamento attuale dell'Europa che esercita una supremazia totale sugli Stati europei.

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Nello stesso tempo state, credo, strutturando il movimento. È nato in modo un po'... molto su Facebook, sulle reti sociali, e a un certo punto ci vuole una struttura, un'organizzazione, altrimenti non se ne esce più. Personalmente ho incontrato dei gilet gialli nella Valle della Maurienne, bloccavano il tunnel del Fréjus... Ho avuto l'impressione che fossero un po' più organiozzati di quello che dicevano, però mi dicevano 'noi non ci riconosciamo in quei portavoce, nei parigini' eccetera. Come organizzare tutto questo, visto che è molto variegato?

Ciascuno è libero di fare quello che vuole, è la particolarità del movimento dei gillet gialli. Alcuni vogliono un'organizzazione, altri non la vogliono perché pensano che il fatto di non essere organizzati sia un punto di forza, che mette maggiormente in difficoltà il governo francese. Alcuni si organizzano, a livello locale, e ne hanno il diritto. Altri preferiscono restare disorganizzati per poter mettere in atto delle azioni piuttosto spontanee e avere un effetto sorpresa nei confronti del governo e delle istituzioni.

È un contesto nel quale mi pare che sia difficile diventare portavoce, perché bisogna in qualche modo rappresentare un'area più o meno maggioritaria, e bisogna anche prendersi il rischio - e credo che già accada - di subire pressioni o minacce, e bisogna essere pronti eventualmente ad assumere un ruolo anche dopo. Ha già subito pressioni o minacce, è pronto a subirne? Ed è pronto a rivestire un ruolo diverso in un futuro più o meno vicino?

Minacce e pressioni le riceviamo già da una decina di giorni, dal giorno in cui siamo stati incaricati di fare i portavoce. Eravamo preparati, ma non ci aspettavamo quel livello. Non ci aspettavamo che fosse così esteso. Evidentemente è molto difficile, ma resta il fatto che quelle pressioni e quelle minacce hanno un peso a titolo individuale, ma se siamo qui è per un obiettivo collettivo, un obiettivo comune. Dunque a titolo personale non mi lascio scoraggiare da quelle minacce, perché sono qui per un obiettivo collettivo, che è prevalente rispetto al mio interesse personale.

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