Le trappole della propaganda

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Di Paolo Alberto Valenti
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Cinema, radio, grafica e cartoline promossero realtà e falsificazione durante il ventennio

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Tutto iniziò con una parola magica: propaganda. Fascismo e nazismo non solo volevano camuffarsi da religioni laiche ma divennero le più spaventose macchine generatrici di consenso che la storia ricordi.

Adottarono un repertorio di apparati simbolici e rituali, estratti da miti e credenze d'accatto, per architettare un mondo di popoli eletti e di nazioni destinate a soccombere. Tuttavia non bastano i proclami e le tattiche di governo per capire l’insieme delle dinamiche.

La manipolazione dell'immaginario collettivo in cui il fascismo fu maestro, tanto da soddisfare le stesse esigenze propagandistiche dell’alleato nazista, possono essere lette non come una mera falsificazione della realtà ma come l'espressione di bisogni simbolici, attese, speranze, timori tradotti in una carica emotiva che trasforma gli elementi della realtà in quelli del mito.

Benito Mussolini sfruttò radio e cinema come i supporti maggiori per l’ammaestramento delle masse per far funzionare un disegno criminale da illusionista. Riusci’ a far credere a tutti che l’Italia era una grande potenza. Davanti a un popolo assetato da secoli di rivalse questo non fu che un gioco da ragazzi. A portata di mano aveva quel formidabile arsenale iconografico che si chiamava Futurismo. La falsificazione si tradusse in un capolavoro che nel ricordo dell’impero romano certificava i suoi quarti di nobiltà.

Se l’epoca degli albori della radio, del cinema, delle cartoline che anticipavano la televisione, caratterizza la tragedia dell'ultima guerra mondiale oggi lo scontro si è parcellizzato. Davanti al proprio tablet tutti possono giocare ai falsificatori ma i rischi sono gli stessi: farsi rincretinire dalle fake news mentre gli spezzoni della cronaca continuano a repertoriare piccoli stermini ed olocausti consumati nella più generale indifferenza e nella prevedibile indignazione dei politici.

Journalist • Paolo Alberto Valenti

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