I profughi portano malattie in Europa?

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I profughi portano malattie in Europa?

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I profughi portano malattie in Europa?

La paura del diverso si manifesta in vari modi.

L’immigrato sottrae risorse, ruba posti di lavoro, spazio e ultimo è un untore da cui difenderci.
Il messaggio sulla pericolosità sanitaria degli immigrati è costante.
Quanto giustificato?

Già l’anno scorso di fronte all’arrivo in massa di migranti i medici italiani lanciarono un allarme. Ma si guardarono bene dal dire che esisteva un allarme migranti:

«Non c‘è nessun allarme migranti, ma un allarme medici, che devono sapere come curarli -spiegavano – non tanto perché portino malattie ad alto pericolo di contagio, ma per la scarsa confidenza degli stessi medici con il manifestarsi di queste malattie».

Infatti, certe malattie che possono colpire i profughi, ribadivano i medici, si manifestano in modo differente rispetto a quanto accade in Italia e nel resto dell’Europa. E la conseguenza più evidente ancora oggi è l’impossibilità a arrivare a diagnosi precoci.

A remare contro anche fattori come la pelle stessa, i primi sintomi di alcune malattie si identificano più difficilmente sulla pelle nera.

Per malattie come la tubercolosi, stando a alcuni studi, il numero dei casi nei migranti aumenta molto meno del loro incremento numerico.

La condizione di “immigrato” piuttosto rappresenta in qualche modo un fattore di rischio di sviluppare la tubercolosi soprattutto per le condizioni di vulnerabilità e di precarietà, oltre che per le obiettive difficoltà di accesso ai servizi di prevenzione, diagnosi e cura che caratterizzano lo status d’immigrato.

Anche per il virus dell’Aids, molti immigrati, che arrivano in Europa, provengono da Paesi in cui l’infezione ha ancora una elevata prevalenza. Sappiamo che, nel caso specifico, sono i comportamenti a rischio (mancato utilizzo dei dispositivi di protezione, come i guanti nel personale sanitario, rapporti sessuali non protetti, scambio di siringhe) a esporre le persone ad un eventuale contagio.

E ancora, l’anno scorso si levò lo spauracchio Ebola; anche in questo caso i medici cercarono di smontare paure immotivate: sottolineando che
il virus Ebola è estremamente letale e che nella più parte dei casi provoca la morte nell’arco di pochi giorni dall’infezione.
I viaggi migratori hanno la durata di mesi, spesso anni, mentre il periodo massimo di incubazione di Ebola è di 21 giorni.

I bambini dei migranti sono i più esposti a contrarre malattie, per questo motivo l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) coordina un programma di vaccinazione per tutti i bambini che giungono in Europa.

Le patologie di cui riteniamo i migranti responsabili sono invece malattie dovute più strettamente al viaggio, a questo riguardo gli aeroporti internazionali presentano gli stessi rischi di un’imbarcazione di profughi; per questo motivo l’Organizzazione mondiale della sanità, così come l’ECDC consigliano appropriate misure di monitoraggio e controllo.

Per Francesco Castelli della Società Italiana di Medicina Tropicale e Salute Globale, “l’assenza di politiche comuni a livello internazionale in senso inclusivo, un’organizzazione frammentata e, a volte, improvvisata, una polemica politica e sociale continua, un “sentire collettivo” che si sta abituando anche alle morti evitabili e quindi crudeli e ingiuste sono le reali emergenze da affrontare in modo concreto e positivo”.

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