Mossul: da città multietnica a feudo dell'Isil

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Nel giugno 2014, l’esercito iracheno abbandona Mossul nelle mani dell’Isil e batte in ritirata.

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Nel giugno 2014, l’esercito iracheno abbandona Mossul nelle mani dell’Isil e batte in ritirata. Immagini girate l’11 giugno mostrano un convoglio militare di una cinquantina di veicoli, con soldati in abiti civili, che si dirige verso Baghdad.
Uniformi e armi pesanti sono rimaste indietro e i jihadisti se ne sono impossessati.

Una resa così repentina si spiega, secondo vari analisti, con il malcontento in particolare dei militari sunniti sotto il governo dello sciita Maliki e con le speranze che l’Isil aveva inizialmente suscitato in una parte di loro.

Senza incontrare resistenza, il nuovo gruppo fondamentalista può quindi fare di Mossul il suo feudo inespugnabile.

Collocata strategicamente a poca distanza dalla Turchia e dalla Siria e capoluogo della provincia di Ninive, ricca di petrolio, la città è la seconda più grande dell’Iraq, con il suo milione e mezzo di abitanti.

Decine di migliaia fuggono verso il Kurdistan iracheno, in seguito alla caduta della città.

Una disfatta che un militare, Mohammed Hadi, spiega così: “I comandanti sono stati i primi a scappare, lasciando soli i soldati. Come possono i fanti combattere senza capi? Se la città cade definitivamente, è colpa dei comandanti.”

La città prevalentemente sunnita contava numerose minoranze: curdi, turcomanni, sciiti, cristiani. La maggior parte dei cristiani fugge di fronte all’ultimatum dell’Isil: per non essere uccisi bisogna convertirsi all’Islam, pagare una tassa speciale o lasciare la città.
A restare sono soprattutto arabi sunniti.

Ed è a Mossul che il cosiddetto Stato islamico decide di proclamare il suo califfato il 29 giugno 2014, a cavallo tra la Siria e l’Iraq.
Un video amatoriale, girato in una moschea della città, fa conoscere il volto di Abu Bakr al-Baghdadi, leader dell’Isil, che ha ormai imposto la shariah.

Nella città che si trova a poca distanza dalle rovine dell’antica Ninive, l’Isil attacca monumenti dell’epoca pre-musulmana e santuari sciiti. Dal luglio 2014 vengono fatti saltare in aria la moschea che ospita la tomba del profeta Giona e il mausoleo di Seth, considerato il terzo figlio di Adamo ed Eva in tutte le tradizioni monoteiste.

Nel febbraio 2015 i jihadisti si filmano mentre demoliscono i tesori del museo di Mossul risalenti alle epoche ellenistica ed assira. Fortunatamente molte delle statue sono copie senza valore, mentre gli originali sono stati già messi al sicuro a Baghdad, ma almeno due capolavori inestimabili andranno perduti per sempre.

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