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Iran: la voce della società civile iraniana tra evacuazioni e missili israeliani

Teheran, Iran, 17 maggio 2022
Teheran, Iran, 17 maggio 2022 Diritti d'autore  Vahid Salemi/Copyright 2022 The AP. All rights reserved. This material may not be published, broadcast, rewritten or redistribu
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Di Maria Michela D'Alessandro
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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A quasi una settimana dagli attacchi israeliani in Iran, la giornalista e attivista iraniana Shima Vezvaei racconta a Euronews la paura quotidiana, la propaganda, la disinformazione e la solidarietà tra i cittadini. “C’è un’aggressione in corso e anche questo viene messo in dubbio dai media”

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Svegliarsi con le finestre in frantumi e il suono delle esplosioni. Così Shima Vezvaei, giornalista e attivista iraniana di Teheran, descrive a Euronews la notte del primo attacco israeliano sul territorio iraniano di giovedì scorso.  

“Penso che ciò su cui tutti possano concordare in Iran è che vogliamo ci sia una de-escalation – spiega Vezvaei – anche se ci sono opinioni diverse persino sul significato di difesa”. 

Tra le consapevolezze di questi giorni, la distorsione della situazione da parte dei media. "I giornalisti internazionali mi chiedono se è stato l’Iran ad attaccare per primo. È assurdo”, racconta Vezvaei. “C'erano persone uccise vicino casa mia, in edifici dove vivono famiglie”. 

"Penso che questo fatto non dovrebbe neanche essere contestato: c’è un’aggressione in corso – sottolinea Vezvaei – Qualunque sia la ragione, che magari piaccia o no, questo non dovrebbe essere contestato. Ma anche questo avviene nei media”. 

Gli ordini di evacuazione tra propaganda e paura

In questa nuova quotidianità, la popolazione iraniana deve fare i conti con ordini di evacuazione che creano confusione e paura: “È stato terribile, abbiamo ricevuto l’ordine di evacuazione dal mio quartiere – chiarisce Vezvaei – In questo momento è davvero difficile, perché da una parte vuoi restare, ma dall’altra vuoi andare via”. 

Un’evacuazione che, secondo l’attivista iraniana, segue lo stesso copione di Beirut, Siria e Gaza, “e lo conosciamo molto bene”. “Ma la gente non è abituata a cose del genere, bisogna educarla a capire come funzionano questi ordini, che in realtà non funzionano mai”. 

Le informazioni non sono mai chiare in queste situazioni: “Se dicono che il distretto 3 verrà colpito, non puoi dire esattamente che lo sarà”, spiega Vezvaei.

Parlare di guerra ed evacuazioni non equivale però ad essere realmente pronti: è quello che sta succedendo anche agli iraniani, tra richieste a ChatGPT su cosa mettere in uno zaino prima di lasciare la propria casa, chi chiamare per primo in caso di un attacco missilistico, dove e come scappare. 

“La maggior parte delle persone non può permettersi di lasciare Teheran perché non ha familiari che vivono fuori, non ha seconde case”, situazioni che discriminano i cittadini stessi tra chi ha il privilegio di andarsene e chi no, per motivi diversi. 

L’isolamento degli iraniani

Al momento, la risposta della comunità internazionale è percepita dagli iraniani come distante: il diritto internazionale non è più uno strumento di protezione, spiega Vezvaei, ma un linguaggio che appartiene solo ai governi, tra promesse non mantenute. Oltre alla polvere nell’aria provocata dai detriti di edifici bombardati, a Teheran, c’è ora anche la delusione per i decisori politici e per i fallimenti dei tavoli negoziali. 

Eppure, secondo l’attivista iraniana, le persone sono diventate più empatiche nel vedere i propri problemi, non solo come iraniani: “Prima pensavano solo che non piace che ci sia una lotta tra Stati Uniti e Iran o tra Israele, quindi vedevano tutto come isolato. Ora sento che hanno più uno sguardo internazionale.” 

È così che gli iraniani, secondo Vezvaei, vedono delle connessioni con Siria e Palestina, e con il Libano, con l’Iraq: "Penso sia positivo che la gente abbia più solidarietà internazionale e senta di non essere isolata nei propri problemi. Sono delusi ma allo stesso tempo sanno di chi dovrebbero prendersi cura, su chi dovrebbero contare e di chi possono fidarsi meglio”. 

Un violino tra le bombe

Dopo giorni di bombardamenti israeliani, è la società civile iraniana a pagare il prezzo più alto, ma anche a riorganizzarsi per aiutarsi a vicenda: nei cortili delle case, sui gruppi Telegram e nei piccoli gesti quotidiani.

Tra collettivi di giornalisti locali sul campo, rifugi per gatti randagi, cucine comunitarie aperte 24 ore su 24. 

Nonostante le limitazioni alla libertà di stampa e a internet, i reporter vanno nei luoghi delle esplosioni, negli ospedali, parlano con le persone, con i bambini feriti dai missili. 

Tra i video diventati virali in Iran in questi giorni, c'è anche quello che mostra un uomo che suona il violino in strada durante un attacco missilistico.

“Fratello, che ieri notte suonavi il violino sotto i bombardamenti nelle strade di Teheran: onore a te! Sei stato la più bella immagine d’amore per la patria. Le lacrime dei tuoi concittadini che ti ascoltavano dalle finestre sono state la cosa più bella accaduta ieri sera.” 

La storia di Tabesam Pak, vittima dei missili israeliani

Tra le storie segnalate da Shima Vezvaei che non trovano spazio sui media internazionali, c'è anche quella di Tabesam Pak, 45 anni. Mentre tornava a casa dal lavoro domenica scorsa la sua auto è stata colpita dai detriti di un’esplosione. “Ci aveva detto che stava arrivando, ma poi non ha più risposto ai messaggi,” ha raccontato la cugina della donna al media iraniano "Hammihan". “Suo fratello ha controllato la posizione Gps e ha visto che era ferma in una stradina vicino casa. Quando siamo arrivati, abbiamo trovato la macchina schiacciata dalle macerie.” 

Il corpo di Tabesam è stato ritrovato due giorni dopo, in un obitorio a sud di Teheran. La donna è una delle 30 vittime, secondo fonti ufficiali iraniane. Il bilancio delle vittime fornito dal ministero della Salute iraniano è di almeno 224 morti e 1.277 feriti, tra cui 120 donne e bambini. 

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