Euronews ha valutato quello che potrebbe accadere nel conflitto tra Iran e Israele, dal punto di vista economico e politico, con l'ex ambasciatore italiano in Iran, Luca Giansanti
Il confronto militare scoppiato tra Israele e l'Iran tiene in apprensione il mondo e l'Europa, per il possibile ampliamento degli attacchi reciproci in una guerra prolungata che potrebbe avere pesanti conseguenze politiche ed economiche.
Se il prezzo del petrolio sui mercati internazionali è rimasto stabile, nella prospettiva che il conflitto resti circoscritto, il prezzo del gas ha subito un rialzo, spinto in particolare dai timori di una riduzione degli approvvigionamenti attraverso lo stretto di Hormuz.
"In generale, noi non abbiamo import di petrolio dall'Iran", ha commentato lunedì in un briefing con i media a Bruxelles la portavoce per per l'Energia della Commissione europea, Anna-Kaisa Itkonen, "ma di certo seguiamo la situazione complessiva molto attentamente".
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha tenuto sempre lunedì una riunione dell'unità di crisi e ha parlato con le autorità di Qatar e Iraq per valutare i rischi che l'ennesimo conflitto armato in Medio Oriente pone nel settore energetico.
"L'aumento dei prezzi dell'energia e anche dell'oro è una reazione fisiologica di fronte all'instabilità. Non sono a rischio le forniture in questa prima fase", dice a Euronews l'ex ambasciatore in Iran, Luca Giansanti," l'essenziale è che si metta rapidamente fine a questo conflitto".
Crisi Iran, quali sono i rischi che l'Italia corre sull'energia
Le sanzioni degli Stati Uniti sulle esportazioni di petrolio dell'Iran, fino a qualche anno fa uno dei maggiori produttori mondiali, hanno forse messo al riparo l'Europa da una riduzione delle sue forniture dirette, ma non dal potenziale impatto sul mercato globale.
"L'Iran è comunque riuscito a mantenere un certo livello di produzione destinata all'esportazione, soprattutto verso la Cina. Ora, se queste esportazioni per un motivo o per l'altro dovessero essere ridotte e venire meno, la Cina dovrebbe comprare comunque altrove", precisa Giansanti, che è stato anche direttore per gli Affari politici presso il ministro degli Affari esteri, "però non siamo a questo momento".
Diverso sarebbe se l'Iran decidesse di chiudere lo stretto di Hormuz, come minacciato, ma anche questa sembra un'ipotesi improbabile per il diplomatico, che è stato in servizio a Teheran tra il 2013 e il 2014.
"È un scenario che viene temuto da non so quanti decenni. Poi, in pratica, nella maniera più radicale non si è mai realizzato", prosegue l'ex ambasciatore, "sarebbe una mossa azzardata, rischiosa e controproducente anche per l'Iran stesso. Ma ci sono anche altri fattori perché, poi, le linee di navigazione nello stretto in gran parte stanno dalla parte dell'Oman, con cui l'Iran ha dei rapporti amichevoli e di collaborazione, sarebbe un gesto anche ostile nei loro confronti".
Quale può essere il ruolo dell'Ue e dell'Italia nel conflitto tra Israele e Iran
"L'Italia ha dalla sua una linea coerente di sostegno per una soluzione diplomatica del programma nucleare iraniano, incentivata dal fatto che fosse in corso un negoziato tra Iran e Stati Uniti e che una tappa di questo negoziato si era svolta a Roma", commenta il diplomatico riguardo ai tradizionali buoni rapporti del governo italiano con Iran e Israele.
Secondo Giansanti, tuttavia, c'è solo un attore in grado di limitare questo conflitto e sono gli Stati Uniti e, in questo senso, il vertice G7 in Canada è fondamentale, affinché l'Europa faccia pressione sul presidente Donald Trump.
"Le prese di posizione che si sono susseguite da venerdì in poi, a cominciare da Parigi e Berlino, ma anche la stessa (presidente della Commissione Ue) von der Leyen, non mi sembrano suscettibili di riportare l'Unione al centro di una soluzione ", spiega a Euronews l'ex ambasciatore, "quello che spero è che, messe da parte queste posizioni di condanna dell'Iran e molto filo israeliane, gli europei trovino un'unità nel fare insieme pressione sugli Stati Uniti, che sono l'unico alleato di Israele in grado di chiedere di cessare gli attacchi e se Israele li cessa l'Iran farà altrettanto".
"Il rischio, caso mai, ma questo dipende dagli sviluppi perché nulla è scontato o garantito, è legato a interventi iraniani che vadano a colpire eventualmente basi militari Usa nella regione, ma questo solo a fronte di un eventuale coinvolgimento più diretto di quanto non lo sia oggi degli Stati Uniti a sostegno di Israele", ragiona Giansanti.
Quanto agli auspici che gli iraniani insorgano contro il regime, espressi dal premier israeliano Netanyahu e dallo stesso Trump, il diplomatico si mostra scettico.
"Il regime si è indebolito, non c'è dubbio, e lo è da tempo. Detto questo, mi fermerei qui perché, a differenza di altri paesi della regione nati nel secolo scorso da varie alchimie diplomatiche occidentali, l'Iran è un Paese millenario con la sua storia, la sua civiltà, e di fronte ad un'aggressione straniera che si sia pro regime o contro, ci si schiera, come dire, contro l'aggressione", aggiunge l'ex ambasciatore a Teheran, oggi frequente collaboratore dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi).
"L'idea poi che la soluzione ai problemi dell'Iran possa venire dall'estero, da fuori, che sia la diaspora iraniana, che sia Netanyahu, credo sia abbastanza illusorio", conclude Giansanti, "non è sotto i bombardamenti, normalmente, che dei sistemi come quello della Repubblica Islamica possono cedere".