La sentenza della Corte d'assise di Venezia ha escluso le aggravanti della crudeltà e dello stalking, mentre ha riconosciuto la premeditazione del gesto. Il papà Gino: "come essere umano mi sento sconfitto"
Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo per il femminicidio dell'ex fidanzata Giulia Cecchettin, commesso l'11 novembre 2023 a Fossò, in provincia di Venezia.
I giudici hanno riconosciuto la premeditazione del gesto, mentre hanno escluso le aggravanti della crudeltà e dello stalking.
Disposto anche un risarcimento alle parti civili nella somma di 500mila euro a Gino Cecchettin, 100mila ciascuno alla sorella Elena e al fratello Davide, 30mila ciascuno alla nonna e allo zio di Giulia.
La sentenza della Corte d'assise di Venezia è stata letta alle quattro di martedì pomeriggio dal presidente del Collegio Stefano Manduzio, alla presenza dell'imputato e del padre di Giulia.
La morte della 22enne, colpita da Turetta con 75 coltellate, ha segnato un punto di svolta nel dibattito pubblico italiano nei confronti della lotta ai femminicidi. Una vicenda e un'indagine che come poche altre hanno impattato sulla percezione del problema della violenza di genere sulla società civile.
La vittima era una studentessa di ingegneria biomedica dell'Università di Padova. È stata uccisa cinque giorni prima della discussione di laurea.
Il padre Gino: "la violenza di genere va prevenuta"
In un emozionante intervento alla fine del processo Gino Cecchettin ha detto di "sentirsi sconfitto come essere umano".
"Come essere umano mi sento sconfitto, come papà mi sento uguale a un anno fa, nessuno mi ridarà Giulia. Non mi sento né più sollevato, né più triste rispetto a ieri o rispetto a domani".
Il padre della vittima, che in questo anno insieme alla figlia Elena si sono fatti portavoce del contrasto alla cultura patriarcale, ha detto di riconoscere che sia stata fatta giustizia col processo, ma questo non basta per cambiare le cose.
"Dovremmo fare di più come esseri umani. Non dovremmo trovarci in questo momento a discutere di pene. La violenza di genere non si combatte con le pene, ma con la prevenzione. È un percorso che dobbiamo fare come società".
Un anno fa il femminicidio che ha sconvolto l'Italia
Le indagini degli inquirenti e le confessioni di Turetta hanno permesso di ricostruire i momenti che hanno preceduto il femminicidio.
È il 10 novembre dello scorso anno quando i due ex fidanzati spariscono insieme un sabato sera, dopo essere andati a cena e a fare shopping. Un vicino di casa di Giulia segnala ai carabinieri di aver visto una coppia litigare e di aver sentito una ragazza chiedere aiuto.
Nella notte si consuma il delitto. Nel comune di Vigonovo, dove risiedeva, Cecchettin reagisce alle insistenze dell'ex fidanzato ma viene picchiata e colpita con due coltelli per 75 volte.
È in questo momento che Turetta inizia una fuga disperata nel nordest Italia. Il corpo privo di vita viene abbandonato nelle montagne del Friuli. Verrà ritrovato una settimana dopo avvolto in un sacco.
Più di una settimana dopo, al lato di un'autostrada vicino a Lipsia, in Germania, Turetta viene arrestato ed estradato prima di essere portato al carcere di Verona e interrogato.
Il 5 dicembre si celebra il funerale di Giulia nella Basilica di Santa Giustina a Padova, affollata da oltre 10mila persone. La cerimonia viene trasmessa in diretta Tv dalla Rai.
La confessione di Turetta in aula
Nel settembre di quest'anno si apre il processo con giudizio immediato davanti alla Corte d'Assise di Venezia. Turetta depone in aula sotto lo sguardo di Gino Cecchettin, confessando: "Ho pensato di rapirla, e anche di toglierle la vita. Giulia scappava, urlava e l'ho colpita ancora".
Il 25 novembre il Pm Andrea Petroni chiede la condanna all'ergastolo per Filippo Turetta. "È difficile credere a null'altro che a un omicidio premeditato, testimoniato da tutti gli elementi raccolti, non perché forniti da Filippo, ma recuperati attraverso l'attività di indagine dalle memorie dei vari dispositivi elettronici", ha affermato.
Pochi giorni prima della sentenza di martedì pomeriggio che ha decretato la massima pena per Turetta, l'avvocato della difesa, Giuseppe Caruso, è intervenuto in aula dicendo che l'imputato "sa che dovrà fare molti anni di galera, ma non è el Chapo, non è Pablo Escobar".