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Bruxelles revoca le restrizioni alle importazioni di grano dall'Ucraina

L'Ucraina è uno dei maggiori produttori di grano e mais al mondo e molti Paesi a basso reddito dipendono dalle sue esportazioni.
L'Ucraina è uno dei maggiori produttori di grano e mais al mondo e molti Paesi a basso reddito dipendono dalle sue esportazioni. Diritti d'autore SERGEI SUPINSKY/AFP or licensors
Diritti d'autore SERGEI SUPINSKY/AFP or licensors
Di Jorge LiboreiroEuronews
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Questo articolo è stato pubblicato originariamente in inglese

La Commissione europea ha deciso di revocare le restrizioni sulle importazioni di grano, mais, semi di colza e semi di girasole dall'Ucraina, verso i territori di Bulgaria, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania.

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La Commissione europea ha annunciato la revoca delle restrizioni, adottate ad aprile e in scadenza oggi, sulle importazioni di grano, mais, semi di colza e semi di girasole dall'Ucraina sui territori di Bulgaria, Polonia, Slovacchia, Ungheria e Romania. Le misure limitavano l'ingresso delle materie prime alimentari ai soli casi di transito dei cereali ucraini nei cinque Paesi dell'Europa dell'Est.

In cambio della revoca, Kiev ha accettato di adottare misure volte a prevenire distorsioni sui mercati nei Paesi membri confinanti, nei quali i produttori si erano trovati in difficoltà proprio per via della concorrenza delle derrate provenienti dall'Ucraina, prodotte a costi inferiori e perciò più economiche.

Polonia e Ungheria contrarie, la Bulgaria invece si adegua

La Polonia e l'Ungheria, tuttavia, hanno annunciato la volontà di rispondere alla decisione di Bruxelles, imponendo lo stop alle importazioni in modo unilaterale. La Bulgaria, invece, si adeguerà alla scelta dell'organismo esecutivo comunitario, benché Sofia avesse suggerito di mantenere le restrizioni in vigore fino alla fine dell'anno. 

L'embargo era in vigore dal 2 maggio. La Commissione europea si era impegnata a eliminarlo gradualmente nonostante l'opposizione di Varsavia e Budapest. Il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki, in particolare, si era speso in prima persona, dichiarando che si sarebbe battuto per evitare "che il grano ucraino ci inondi". E ciò "indipendentemente da ciò che decidono i funzionari di Bruxelles, non apriremo le nostre frontiere".

Da parte sua, l'Ucraina ha accettato di introdurre "qualsiasi misura legale" per controllare le esportazioni ed evitare che esse possano nuocere ai mercati dei Paesi confinanti, secondo quando indicato dalla stessa Commissione europea in un comunicato. Le misure in questione saranno adottate da Kiev entro 30 giorni, ma dovranno essere presentate entro lunedì 18 settembre. 

Un lungo braccio di ferro sul grano

Fin dalla loro introduzione, i divieti hanno rappresentato un elemento di scontro tra Bruxelles e Kiev, con il governo ucraino che li ha considerati "inaccettabili" e contrari allo spirito di solidarietà mostrato verso la nazione devastata dalla guerra. Diversi Stati membri, tra cui Germania, Francia, Paesi Bassi e Belgio, avevano inoltre espresso "serie preoccupazioni" per l'impatto negativo delle restrizioni sul mercato unico, che dovrebbe funzionare con regole uguali per tutti i Paesi.

Una visione diametralmente opposta, appunto, rispetto a quella polacca. Il cui governo ha anche la necessità di mostrarsi fermo, in vista delle elezioni parlamentari previste per il prossimo 15 ottobre: per il partito di governo Diritto e Giustizia (PiS) si tratta di un modo per tentare di attrarre gli elettori delle campagne. Similmente, il primo ministro ungherese Viktor Orban ha annunciato battaglia sulla questione all'interno delle istituzioni europee. 

Di fronte ad una questione così spinosa, Bruxelles ha scelto un compromesso: revocare appunto le restrizioni, ma in cambio di un controllo sui flussi, affidato al governo ucraino. In vista della decisione, Dmytro Kuleba, ministro degli Affari esteri di Kiev, aveva dichiarato che il suo governo si aspettava che Bruxelles "mantenesse la parola data ed eliminasse ogni blocco"

L'esecutivo ucraino aveva anche ventilato la possibilità di intraprendere un'azione legale presso l'Organizzazione Mondiale del Commercio se i divieti fossero stati prorogati.

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