Tra sette giorni torneranno in vigore le tariffe annunciate ad aprile, colpite Cina, Canada, India e Brasile. Invariato l'accordo con l’Ue, esclusi solo i Paesi che hanno firmato intese separate. Previsto un dazio del 40 per cento per le merci che cercano di eludere le misure
Dopo una serie di sospensioni e proroghe, i dazi specifici per Paese del cosiddetto "Liberation Day", annunciate ad aprile, torneranno in vigore tra sette giorni, facendo slittare la scadenza inizialmente prevista per il primo agosto. A parte pochi Paesi che hanno negoziato accordi individuali, molti vedranno reintrodotti i dazi originari decisi dagli Stati Uniti.
Le tariffe doganali erano state annunciate il 2 aprile, dopo che il presidente Trump aveva definito il deficit commerciale americano un'emergenza nazionale, lamentando un afflusso di merci dall’estero molto superiore alle esportazioni statunitensi.
Invocando l’International Emergency Economic Powers Act (Ieepa), Trump ha firmato ordini esecutivi per introdurre quelle che la Casa Bianca ha definito "tariffe reciproche", pensate per contrastare pratiche commerciali dannose e barriere imposte da altri Paesi. Tutto ciò nonostante diversi analisti abbiano attribuito il deficit commerciale alla forza del dollaro e alla domanda interna di prodotti esteri.
Il 2 aprile, Paesi come Myanmar e Lesotho erano stati minacciati di dazi del 44 per cento e 50 per cento, ma in termini di volume degli scambi le vere scosse ai mercati sono arrivate con l’aliquota del 34 per cento per la Cina e del 20 per cento per l’Unione europea.
Per i Paesi a cui non era stata assegnata una tariffa specifica, il 5 aprile è entrato in vigore un dazio del 10 per cento, mentre quelli reciproci sarebbero dovuti scattare il 9 aprile.
La prima sospensione
Dopo il crollo dei mercati seguito all’annuncio, Trump ha firmato una sospensione di 90 giorni per i dazi più alti, specifici per Paese, in scadenza il 9 luglio. È rimasto in vigore il dazio di base del 10 per cento, imposto in base ai poteri dell’Ieepa.
Nel frattempo, la Cina, che aveva risposto con dazi di ritorsione del 34 per cento, è stata colpita il 9 aprile da un ulteriore dazio del 50 per cento, subito ricambiato da Pechino. A quel punto, il dazio americano complessivo sulle merci cinesi era salito all’84 per cento, esclusa una sovrattassa del 20 per cento sul fentanyl.
In una spirale di ritorsioni, gli Stati Uniti hanno aumentato ulteriormente il dazio cinese al 145 per cento (incluso il fentanyl), mentre la Cina ha risposto con un’aliquota del 125 per cento dichiarando che avrebbe ignorato ulteriori aumenti.
"Anche se gli Stati Uniti continueranno a imporre dazi più alti, non avrà più senso economico e diventerà una barzelletta nella storia dell’economia mondiale", ha dichiarato all’epoca il ministero degli Esteri cinese.
Il 12 maggio, le due potenze hanno raggiunto un accordo per abbassare i dazi: al 30 per cento quelli americani sulle merci cinesi, al 10 per cento quelli cinesi sulle merci statunitensi. Entrambe hanno dichiarato che rivaluteranno la situazione dopo 90 giorni. I negoziati per un accordo globale sono ancora in corso.
Peter Navarro, consigliere di Trump per il commercio, ha dichiarato a Time che gli Usa erano disposti a negoziare accordi bilaterali con i singoli Paesi e che "90 accordi in 90 giorni" erano teoricamente possibili. Tuttavia, solo pochi accordi sono stati effettivamente siglati.
Gli accordi già conclusi
Il Regno Unito è stato il primo a concludere un’intesa il 16 giugno, mantenendo il dazio base del 10 per cento con eccezioni settoriali.
Il Vietnam ha negoziato un accordo il 2 luglio, passando da una tariffa del 46 per cento al 20 per cento (escludendo merci in transito da Paesi terzi).
La Thailandia e la Cambogia hanno concordato un dazio del 19 per cento, ridotto dal 36 per cento e dal 49 per cento.
La seconda sospensione
Una nuova proroga è stata annunciata il 9 luglio, rinviando il ripristino delle tariffe al primo agosto.
Accordi successivi hanno coinvolto l’Indonesia (aliquota ridotta dal 32 per cento al 19 per cento) e le Filippine (preaccordo per fermarsi al 19 per cento).
Giappone e Corea del Sud hanno entrambi siglato accordi verso fine luglio, ottenendo una tariffa del 15 per cento (in calo rispettivamente dal 24 per cento e dal 25 per cento).
Il Pakistan ha raggiunto un’intesa in base alla quale gli Usa aiuteranno a sviluppare le riserve petrolifere del Paese, in cambio di una riduzione dei dazi dal 29 per cento al 19 per cento.
L’Unione europea ha firmato un accordo il 27 luglio per fissare le tariffe al 15 per cento.
E i vecchi accordi?
L’accordo Usmca (Stati Uniti-Messico-Canada), firmato da Trump nel primo mandato, resta in vigore.
Il Canada vedrà salire i dazi al 35 per cento tra sette giorni, ma secondo la Casa Bianca la nuova aliquota si applicherà solo alle merci non coperte dall’Usmca. Quasi il 90 per cento delle merci canadesi importate negli Usa ne è esente.
Il Messico avrebbe dovuto subire dazi del 30 per cento, ma Trump ha concesso una proroga di 90 giorni dopo una telefonata con la presidente Claudia Sheinbaum. Resteranno in vigore dazi del 25 per cento sulle automobili e del 50 per cento su rame, alluminio e acciaio. Alcuni prodotti continueranno a godere della protezione prevista dall’Usmca.
Acciaio, rame, Brasile e India
Il 4 giugno è stata imposta una tariffa universale del 50 per cento su acciaio e alluminio. Il Regno Unito è soggetto solo al 25 per cento, ma sono in corso trattative per ulteriori riduzioni.
Il 30 luglio, Trump ha annunciato un dazio del 50 per cento su prodotti semilavorati in rame (come barre e lastre) e su articoli ad alta intensità di rame (cavi e componenti elettrici), in vigore da venerdì.
Trump ha anche annunciato un dazio del 25 per cento sull’India, accompagnato da una sanzione per l’importazione di petrolio e armi russe, in violazione delle sanzioni statunitensi.
Il presidente ha firmato mercoledì un ordine esecutivo per imporre un dazio del 50 per cento al Brasile, motivandolo con le politiche interne e i procedimenti contro l’ex presidente Jair Bolsonaro, definite "emergenza economica" secondo una legge del 1977. Eppure, secondo il Census Bureau, nel 2024 gli Usa hanno avuto un surplus commerciale di 6,8 miliardi di dollari con il Brasile, minando le basi della misura.
E la Russia?
La Russia non era inclusa nel pacchetto tariffario iniziale del "Liberation Day", scelta vista da alcuni come indicativa del presunto favore di Trump verso Vladimir Putin. Tuttavia, le sanzioni ereditate dall’amministrazione Biden hanno già fortemente ridotto il commercio con Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina.
Il 14 luglio, Trump ha dato 50 giorni a Putin per negoziare un cessate il fuoco, minacciando in caso contrario una tariffa del 100 per cento per i Paesi che acquistano petrolio e gas russi. Durante un bilaterale con il premier britannico Keir Starmer in Scozia, Trump ha dichiarato che avrebbe fissato "una nuova scadenza per la Russia di circa 10-12 giorni".
Il senatore repubblicano Lindsey Graham ha proposto al Congresso una legge che imporrebbe una tariffa del 500 per cento ai Paesi che importano gas russo, come l’India.
Cosa succede ora?
Dal punto di vista legale, poiché le sospensioni precedenti erano temporanee, le tariffe originarie torneranno in vigore per tutti i Paesi che non hanno concluso accordi individuali.
Per i Paesi privi di un’aliquota personalizzata, il dazio minimo sarà del 10 per cento. Prevista anche una sanzione del 40 per cento per le merci transhipped, ovvero trasbordate da un Paese a un altro per eludere i dazi.