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Perché la Corte costituzionale ha bocciato il referendum abrogativo sull'autonomia differenziata

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Image Diritti d'autore  Claudio Furlan/LaPresse
Diritti d'autore Claudio Furlan/LaPresse
Di Michela Morsa
Pubblicato il Ultimo aggiornamento
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Lunedì la Corte costituzionale ha giudicato inammissibile il quesito referendario per abrogare la legge sull'autonomia differenziata approvata a giugno, giudicando "non chiari" "l'oggetto e la finalità"

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Il referendum abrogativo sull'autonomia differenziata non si farà. Questa l'attesa sentenza della Corte costituzionale, che si è pronunciata in tal senso lunedì ritenendo inammissibile il quesito perché "non chiaro".

Il referendum, sostenuto da quasi tutti i partiti di opposizione e da diverse associazioni, chiedeva di eliminare interamente la legge approvata a giugno dal Parlamento che stabilisce i principi e il percorso che devono seguire le regioni nel chiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia allo Stato.

Bisognerà attendere ancora il 10 febbraio per leggere per completo le motivazioni alla base della sentenza della Corte, che intanto ha esposto brevemente le sue ragioni in un comunicato stampa.

"L'oggetto e la finalità del quesito non risultano chiari. Ciò pregiudica la possibilità di una scelta consapevole da parte dell'elettore", hanno stabilito i giudici della Consulta - undici anziché quindici a causa dell'impasse in Parlamento sulla nomina dei quattro membri di nomina politica.

Inoltre, così formulato, il quesito darebbe al referendum "una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull'autonomia differenziata come tale, e in definitiva sull'articolo 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale".

Perché la Corte costituzionale ha bocciato il referendum sull'autonomia differenziata

Come spiega Pagella Politica, la motivazione fornita dalla Corte costituzionale ha a che fare con il requisito dell'omogeneità per i quesiti referendari stabilito implicitamente dai giudici nel corso degli anni nel pronunciarsi sulla legittimità dei referendum. In passato la Consulta ha sempre bocciato i quesiti che costringevano gli elettori a esprimere un unico voto su più questioni.

È questo il caso del referendum sull'autonomia differenziata, dal momento che la legge affronta questioni diverse tra loro. La legge, oltre a stabilire il percorso istituzionale e i principi in base ai quali le regioni possono chiedere maggiore autonomia, stabilisce che questo può avvenire solo dopo che sono stati determinati i cosiddetti “livelli essenziali delle prestazioni” (LEP) e fissa la durata degli accordi tra lo Stato e le regioni stesse.

Alcuni politici di centrodestra avevano già paventato una bocciatura del referendum per la sua mancanza di omogeneità, come alcuni costituzionalisti. Proprio per questo i consigli regionali di Campania, Emilia-Romagna, Toscana e Sardegna avevano depositato un altro quesito referendario, che chiedeva di abrogare singole parti della legge. Il referendum era stato però bocciato dalla Corte di Cassazione lo scorso 12 dicembre.

La Corte costituzionale si era già espressa sulla legge sull'autonomia differenziata

Non è chiaro se nel giudizio della Corte costituzionale abbia pesato la sentenza emessa sulla legge stessa lo scorso novembre, che l'aveva dichiarata parzialmente illegittima.

Infatti, la Consulta aveva sottolineato che alcune porzioni della legge risultavano incompatibili con la Costituzione, invitando il Parlamento a una revisione di sette profili del testo, dai Livelli essenziali di prestazione (Lep), alle singole materie trasferibili alla competenza delle regioni fino alle aliquote sui tributi.

Ci si era quindi già chiesti se avesse senso fare un referendum su una legge che, scritta in quel modo, non può entrare in vigore. Le motivazioni complete della sentenza chiariranno questo punto.

La Corte costituzionale ha giudicato ammissibili altri cinque referendum

La Corte Costituzionale ha ritenuto validi altri cinque referendum abrogativi per cui erano state raccolte le firme lo scorso autunno.

Uno di questi è quello proposto da +Europa per modificare le norme sulla concessione della cittadinanza agli stranieri e quelli promossi dalla Cgil sul Jobs Act, l'indennità di licenziamento nelle piccole imprese, contratti di lavoro a termine e responsabilità solidale del committente negli appalti.

Per questi cinque quesiti si andrà a votare tra il 15 aprile e il 15 giugno: la data precisa dovrà essere fissata nelle prossime settimane dal presidente della Repubblica, su indicazione del Consiglio dei ministri. Perché siano validi serve che vada a votare più di metà degli aventi diritto.

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